20 luglio 2022
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Biografia di Alessandro Bergonzoni
Alessandro Bergonzoni, nato a Bologna il 21 luglio 1958 (64 anni). Scrittore. Drammaturgo. Attore. Comico. Vincitore del premio Ubu al miglior attore nella stagione teatrale 2007/2008 per lo spettacolo Nel, da lui scritto e interpretato. «Con le parole bisogna portare la “surrealtà” all’altezza della realtà. […] Non si deve mai dimenticare che sotto la parola c’è il pensiero: la parola è come un iceberg che cela di tutto, dalla filosofia all’antropologia. Occorre guardare sotto le parole, sotto i giochi di parole, sotto i calembour e i doppi sensi per far diventare protagonista la “surrealtà”» (a Rita Bugliosi) • Figlio dell’imprenditore Luigi Bergonzoni, fondatore negli anni Cinquanta dell’Officina meccanica B.B., specializzata nella produzione di viti a ricircolo di sfere. «Da bambino che cosa sognava di realizzare? “Credendo che il sogno non fosse cosa vorremmo fare/desiderare, ma proprio il sogno in sé, descrivo questo: cosparso di sottoli da un passante, cerco sul vocabolario senza trovarla la parola ‘untodalsignore’”» (Alessandra Mattirolo). «Ai tempi del liceo scrivevo novelle. Ne avevo letta una sul palco della mia scuola, Storia di una mano» (a Enrico Regazzoni). «Laureato in Giurisprudenza, tesi sui Patti lateranensi (“Mi fecero giurare che non avrei mai esercitato”), da studente in tribunale s’innamorò di una donna cancelliere» (Chiara Beria di Argentine). «All’Antoniano, dove mi ero iscritto alla scuola di teatro, non mi hanno voluto diplomare per due anni. Mi dicevano che dovevo trovare una strada tutta mia, perché per quella dell’attore, della commedia, non ero tagliato. Avevano ragione. […] Devo a Claudio Calabrò, che poi ha firmato le regie di tantissimi dei miei spettacoli, la prima entrata su un palcoscenico. […] Claudio aveva scoperto da tempo le cose che scrivevo al liceo: fu lui a spingermi a fare teatro» (a Francesca Parisini). «A 24 anni, mentre stava laureandosi in Giurisprudenza, debuttò in teatro col doppio ruolo di attore-autore, brevettando un monologo che era già un programma di sberleffo linguistico, Scemeggiata. Poi il repertorio personale è consistito sempre in grigliate miste di parole capaci di esercitare un’incredibile presa» (Rodolfo Di Giammarco). «Al Festival di Loano, tanti e tanti anni fa, mi dissero che i miei testi non avrebbero avuto successo. Per far ridere, sostenevano, avrei dovuto usare il dialetto, la cadenza bolognese. Ma io, insieme a Claudio e agli altri da sempre con me, non abbiamo mai lavorato per scuole, per sette, per gruppi. Qualcuno ha cercato di etichettarci come “scuola bolognese”, ma non è così». Intorno alla metà degli anni Ottanta «è la volta del Maurizio Costanzo Show e de Il bello della diretta, condotto da Loretta Goggi, il classico varietà di prima serata di Rai 1, che sanciscono il suo ingresso nella televisione. Come andò? “Le mie prime esperienze televisive sono state un pugno nello stomaco per la tv di quei tempi. Nei miei monologhi non davo dei riferimenti. Ai tempi della Goggi e di Costanzo si utilizzava la caricatura, la presa in giro, la parodia, che ho sempre poco amato. […] I canoni della comicità erano quelli dell’imitazione, dell’ironia. Per me l’imitazione era una limitazione, quella di essere televisivo. Ho capito subito che i miei riferimenti dovevano essere altri: la radio, la scrittura, i giornali, il teatro, gli incontri. Il mio linguaggio si è evoluto anche attraverso l’abbandono del medium televisivo”» (Massimo Melotti). «Rifiuta da subito il reale come riferimento artistico: opta per l’esplorazione linguistica, e mette a fuoco l’assurdo elevandolo a mondo comico. La comicità per lui è una trama esplosa in frammenti, è un lessico destrutturato, è una sinossi sprogrammata, è un puzzle senza necessità di compostezza e soluzione» (Di Giammarco). «Eri veloce, soprattutto, e di una velocità impressionante. “La dinamica è il senso di tutto. Io portavo i miei spettatori a spasso, e allo spasso nel simultaneo. Era nuovo, allora”» (Regazzoni). «Le balene restino sedute nel 1989 è prima un libro (Palma d’oro di Bordighera, quando i libri dei comici non erano ancora instant book) e poi uno spettacolo. “È il primo passo verso la credibilità”, sostiene l’autore. Verso un teatro che ha per protagonista la parola, compagna di pensieri disposti l’uno dentro l’altro come in una matrioska. L’altro salto in avanti è con Madornale 33 (1999), poi Predisporsi al micidiale (2004) e Nel» (Parisini). Tra i suoi ultimi spettacoli, Nel (2007), Urge (2010), Nessi (2014) e Trascendi e sali (2018). «Perché Nel? “Per il ‘dentro’. È un ‘dentro’. È la parte ‘budellare’ di quello che io reputo il pensiero, e quindi è la parte più interiore. […] È sicuramente uno spettacolo sul pensiero. Pensiero che è anche comico, o anche ‘cosmico’ nel senso che comunque raccoglie una possibilità di cose che non sono solo quelle che si vedono o che ci appaiono: e quindi non parla della realtà, non parla dell’attualità, non parla del presente. Ma va un po’ oltre”» (Giulia Tellini). «“Nessi non è uno spettacolo. È una invocazione. […] Un monologo sui fili spinati e sui fili non più connessi. Uno spettacolo sull’inter nos, più che sull’internet”. […] Di quali connessioni parla? “Se io mi piego per allacciarmi una scarpa dietro un cassonetto, entro in connessione con un siriano pure lui chinato dietro un cassonetto: solo che lui lo fa per nascondersi da un cecchino. Se ho la faccia tirata, è perché qualcuno dall’altra parte in qualche modo me la sta tirando. Siamo costantemente invocati: dalla Siria, dalla Terra dei fuochi. Eppure non sentiamo”. Ha definito Nessi “un funerale ai vivi”. “Cioè noi. Siamo i pazzi peggiori, perché assuefatti alla propria pazzia. Ci commoviamo solo di fronte alla morte. E allora celebriamo gli esempi: i Gandhi, i Mandela, le rockstar. Non ne posso più, degli esempi. Oggi la prosecuzione dei discorsi di Mandela dobbiamo essere noi. Oggi Gandhi siamo noi. […] È avvenuto non tanto un genocidio, quanto un geniocidio”. L’olocausto del genio? “Delle nostre sensibilità. L’uomo è uno straordinario orditore di tessuti, ma abbiamo ammazzato il genio. L’artista è colui che risveglia la poesia e la purezza insite nell’uomo. Quando papa Francesco abbraccia un disabile, non fa nulla di eroico: si limita a riattivare la poesia”» (Andrea Scanzi). «L’ultimo spettacolo, Trascendi e sali, sempre fra profezia e verità, delirio e arte, […] dice che le parole devono diventare gesti, moto, “poesia che non si scrive su un foglio, ma si applica”, sprona ad agire, a “capolavorare” (per restare nell’universo immaginifico di Bergonzoni), che vuol dire fare capolavori, come per esempio “un avvocato che arriva in tempo a una causa per aiutare il migrante di un Cio”. […] Cosa bisognerebbe fare? […] “Lavorare su se stessi. Ogni cittadino dovrebbe trascendere: ‘trascendi e sali’, àlzati, vai oltre, mettiti in piedi, non stare più sotto, soggiogato dai dati, dai politici, oltrepassa quello che ti dicono i giornalisti che parlano solo e unicamente una lingua. Dobbiamo ‘capolavorare’, diventare sovrumani non solo umani, fare cose alte, ma molto più alte”» (Anna Bandettini). «Non possiamo lasciare solo alle religioni l’invito alla trascendenza e alla salvazione. In Trascendi e sali invito gli spettatori ad ascoltare tutte le parti dell’uomo: l’essere bambino, l’essere animale, l’essere divino» (a Katia Ippaso) • Autore di numerosi libri, tra cui Non ardo dal desiderio di diventare uomo finché posso essere anche donna bambino animale o cosa (Bompiani, 2005), Bastasse grondare (Scheiwiller, 2009) e L’amorte (Garzanti, 2013) • «È testimonial della Casa dei risvegli Luca De Nigris. Come è nato il suo impegno per sensibilizzare il pubblico sulla possibilità di tornare a una vita attiva dopo il coma? […] “Il mio ruolo è raccontare alle persone non coinvolte direttamente da questa tematica cosa significa uscire dal coma: mi piace farlo e credo sia importante”» (Bugliosi). «Il concetto di “curabile” è più importante di “guaribile”. Dicono che una persona quando guarisce si salva: no, quando è curata si salva. La Casa dei risvegli mi ha dato la possibilità di avvicinare la vita e la “vita della morte”. È proprio quello che ispira il mio libro di poesie L’amorte» • «Da anni ha scelto di parlare non solo attraverso il palcoscenico, ma nelle scuole, dentro gli ospedali e i musei. […] “Mi interessa mettere a confronto le opere d’arte con l’opera d’arte uomo”. Per lui è opera d’arte ogni gesto che vada in direzione dell’altro. […] “Io ho fatto un voto di vastità, impegnandomi a creare ponti su cui poi le persone possano salire per essere pronte a loro volta a creare altri ponti”» (Ippaso). «Vado negli ospedali, nelle prigioni per far vedere il rapporto che c’è tra arte e scienza, tra dolore e bellezza. Il mio linguaggio è cambiato anche perché ha cominciato a infiltrarsi in ambiti che apparentemente non hanno niente a che vedere con il teatro, con il linguaggio, con l’arte. Ho fatto degli incontri con una persona affetta dalla sindrome “locked-in”, una persona che sentiva e vedeva ma non poteva muovere nessuna parte del corpo. Ho portato nelle facoltà di Medicina il corpo devastato, il corpo piegato, il corpo anomalo, e gli ho regalato una scultura che ho chiamato la “Lesion d’onore”. La comicità si è intrisa di drammaticità. Parlo sempre di “arte lesa”: mi costituisco “arte lesa”. L’arte lesa è quando un corpo viene leso nella sua bellezza e diversità e acquista un’altra bellezza. Gli studenti hanno potuto vedere un corpo che poteva rispondere solo muovendo un mignolo. Come lo vogliamo chiamare, questo? Teatro, arte, performance, comunicazione. Per me tutte queste cose sono collegate. Salvare una persona in mare e vedere i corpi abbandonati sulla spiaggia, morti annegati, non ha a che fare con la Pietà di Michelangelo o con il Cristo velato di Giuseppe Sanmartino a Napoli? E, ancora, non ha a che fare con la giustizia, con l’istruzione? Noi abbiamo il dovere di salvare. Ecco che cosa dobbiamo andare a dire nelle scuole: che nessuna persona può essere lasciata annegare. È una questione di sacralità, non solo di diritto, di giustizia, di politica. […] Non possiamo andare a vedere solo nei musei la bellezza, la tragedia, la paura, la morte: dobbiamo anche collegarle all’essere» (Melotti) • Dal 2003 si dedica anche a pittura e scultura. «Lo stimolo è venuto visitando gli studi di pittori e di scultori: ho sentito la necessità di conoscere la tridimensionalità, il colore, la materia, il tangibile. Certamente era qualcosa di dormiente in me, che è esploso a 45 anni e mi ha spinto a iniziare una nuova attività. È una ricerca dell’anima. Quando si disegna, si scolpisce, quando si tracciano segni, lo si fa perché si sente dentro di sé un’urgenza, una richiesta». «Dipingo dietro i quadri che faceva per hobby mio padre. Non ho mai lavorato, come lui voleva, nella nostra azienda, ma così ora stiamo facendo un’opera insieme» • Un paio di apparizioni cinematografiche: in Pinocchio di Roberto Benigni (2002), nel ruolo del Direttore del Circo, e in Quijote di Mimmo Paladino (2006), nel ruolo del Mago Festone • Divorziato, una figlia • «Mi parli delle donne della sua vita. “Parto salutando la mia madre perenne, poi una suora di tutti i miei asili, una professoressa amata, la mia strasorella, la mia figlia delle meraviglie e anche la mia ex moglie, fino alla mia compagna della grandezza, un’ondata di madri adottive, di nonne putative, di amiche compulsive, di guardinghe, estatiche, immani e reiterate ‘conosciute/sconosciute’ che spero di incontrare ancora nelle prossime vite sbalordite”» (Mattirolo) • «La sua azienda, l’Officina meccanica B.B. fondata dal padre, è gestita dalla sorella Alessandra. […] “Sono socio anch’io, ma mi hanno tolto la firma”» (Luciano Nigro) • «“Non mi importa la religione, ma la spiritualità. Che è ben altra cosa”. E la politica? “Io voto, ogni giorno. Voto quando mi connetto o non connetto con quell’uomo e quella donna”» (Scanzi). «Se vogliamo cambiare le cose, la sola politica è quella interiore, politica e anima. […] Non voglio fare il profeta. Cominciai a dire queste cose in piazza a Bologna accanto a Grillo al V-Day, è vero, ma il mio desiderio non è fare il capopopolo, dire “seguite me”, ma “cambiate voi”, dire “non aderite al mio partito, ma alla vostra interiorità”» • «Ha fatto il servizio civile da accompagnatore di ciechi» (Beria di Argentine) • «Io non sono favorevole all’eutanasia per me, ma riconosco il bisogno che vada regolamentata, e soprattutto non obbligherei mai nessuno a vivere. La questione però è ben più complessa. […] Ognuno di noi dovrebbe guardarsi dentro, indagare su cosa abbiamo paura di perdere nella malattia. Analizzare cosa la malattia può cambiare e forse persino portare di nuovo e bello nella nostra esistenza. […] Ho incontrato chi viveva intensamente quello che altri ritengono insopportabile» (a Caterina Pasolini) • «Usa i social network? “Li detesto, tutti, con foga”. […] La rilassa guardare la tv? “Sì, ma senza accenderla: la trovo grave. Preferisco sedermi sul davanzale e vedere passare il male. Non amo leggere (sono scrittore, mica lettore), ma ho dei libri che amo”. Quali? “Finnegans Wake di Joyce, che finisce e inizia per continuazione. Perché entrare nell’analisi psicologica dei protagonisti mi squama, riconoscermi nei personaggi mi rattrappisce e farmi prendere dalla storia mi uccide”. Le piace andare al cinema? “Anche tre volte alla settimana e anche due al giorno. Il film che mi ha segnato è stato Stalker di Andrej Tarkovskij: arte dell’idea di splendori”. […] Come spende i suoi soldi? “Uscito da periodi compulsivi del passato (anticaglie, scarpe, orologi, canarini, pipe, penne e sorprese continue per i miei ‘bambini’) ho chiesto ai soldi altri favori e ho comprato viaggi, cataloghi e libri d’arte e poesia e colori. Il primo stipendio, da operaio magazziniere, l’ho dissolto in una caparra per la moto”» (Mattirolo) • «Spostamenti in macchina e in nave, mai in aereo, “che non prendo. L’unico modo per farmici salire sopra è che mi prenda lui”» (Sara Chiappori) • «Aver voluto da anni abbinare all’idea di comicità tutto, tutti, la televisione, il mondo del lavoro, fino all’aria che respiriamo, ha fatto sì che ora come non mai si confondano parodia con riso, imitazioni con inventiva, comicità con intrattenimento, villaggi turistici con creatività, spiritosare con inventare, vivere con tirare a campare, essere famosi con essere amati, credere con obbedire, combattere con avere ragione». «Odio la bassa satira e amo i satirici veri: Stefano Benni, Paolo Rossi, Corrado Guzzanti» • «Coi suoi spettacoli e libri non fa che scovare in ogni parola significati e allusioni sorprendenti, soluzioni inaspettate e tutte valide, e con questo lavoro di smontaggio e montaggio linguistico rimescola pregiudizi e giudizi, rovescia il pentolone dei luoghi comuni, spronandoci verso altri modi di guardare» (Bandettini). «Se non facessi il lavoro che faccio, avrei fatto quello che fa lui» (Umberto Eco). «Il comico bolognese porta alle estreme conseguenze alcune neoavanguardistiche premesse, dinamitando il campo semantico, scollando le parole dal loro primo o più evidente significato, trovandone subito un secondo, un terzo, un quarto, infine approdando al puro nonsense. Ma, novanta o cento minuti di nonsense, non li augurerei al mio peggior nemico, nonostante abbia constatato quanti amici (eventuali) e (eventuali) nemici si scompiscino, applaudano, lodino. […] Il suo nonsense a nulla deve approdare? E a nulla approda. Egli così diviene il comico più triste che abbia incontrato: non nel senso che sia triste lui, questo non so, non si direbbe; triste nel senso che egli rende triste il suo ascoltatore, benché rida e ignori d’esser triste, svuotato della propria energia, ipnotizzato, rimbecillito (non, s’intende, nel senso di Carmelo Bene). A tutti gli effetti, lo spettatore […] è un torturato che non si accorge di tutto il veleno che è stato iniettato in lui, mentre era così ingordo di dolci, prelibatezze, raffinate pietanze» (Franco Cordelli, recensendo Predisporsi al micidiale). «Fra le imprese impossibili ce n’è una più impossibile di ogni altra: raccontare uno spettacolo di Alessandro Bergonzoni» (Osvaldo Guerrieri) • «Fra scrittore, attore e pittore, lei si sente più… “Scrittore. Al cento per cento. Altrimenti non avrei mai fatto teatro. […] Il teatro non è un luogo sacro. Ma è sacro quello che ci si mette dentro. Non sono uno che si atrofizza sul concetto dell’immagine stupenda del teatro, del palcoscenico, delle tavole, perché credo che le tavole del palcoscenico siano le parole. […] L’attore è un esecutore con radici d’autore. È un movimentatore. Non è un virtuoso, non è un tecnico. […] È un portatore sano. È un accompagnatore di testi, è un accompagnatore di idee. È un Caronte che porta lontano. […] La comicità è invenzione. Invenzione con effetto risata. Invenzione detonante. È l’unica mina (che io adoro) pro-uomo e non anti-uomo”» (Tellini) • «La mia cifra resta il surreale, ma, della parola in sé, non me ne frega nulla. Non mi importa l’elettricità, ma l’energia che sono in grado di spostare». «Io dico “penso spesso”, ma lo “spesso” non è un avverbio di tempo: è un aggettivo che deriva da “spessore”. Sono strati che si accumulano uno sopra l’altro, con continui incroci, richiami. Ecco dove nasce il mio linguaggio» • «Ho globuli comici ma non sono i soli, o meglio i dominanti. C’è anche il surreale, il trascendente, il metafisico». «I miei spettacoli nascono dalla fantasia, dall’immaginazione, da quello che non c’è. La lontananza dei testi dall’attualità, però, non ha allontanato il sottoscritto dalla realtà» • «Chiedo molto. Non bastiamoci più. Il poco crea metastasi culturali, non è innocuo. Voglio avvenire, non essere avvenente. Voglio far succedere, non voglio successo» • «Le manca ancora qualcosa? “L’ubiquità e, a pari merito, il Gapufmaio”» (Mattirolo).