27 luglio 2022
Tags : Federico Buffa
Biografia di Federico Buffa
Federico Buffa, nato a Milano il 28 luglio 1959 (63 anni). Avvocato. Giornalista. Telecronista. Per anni con Flavio Tranquillo commentatore su Sky del basket Nba. Sempre per Sky dal 2013 realizza e conduce Federico Buffa racconta, dedicato a grandi campioni o grandi eventi dello sport. Porta anche a teatro i suoi monologhi sportivi. «Uno dei pochi commentatori di sport di livello internazionale in Italia» (Aldo Grasso).
Vita «Uno stile inconfondibile, direttamente mutuato da quello dei migliori cronisti americani (lui che proviene dal commento del Basket Nba), una conoscenza enciclopedica, la capacità di snocciolare aneddoti che rendono la sua narrazione completamente “diversa”, in positivo, rispetto a qualunque collega» (Gabriele Capasso) • «“Mi riconosco una dote. So sovrapporre i contesti. E questo lo devo a mio padre”. Significa che una storia non c’è se non guardi che cosa c’è attorno. Lui porta in una partita, in un personaggio tutto quello che sembra fuori e invece è dentro. È l’eredità della vita. Avrebbe dovuto fare la Bocconi, Buffa. “Poi un giorno andai da mio padre e gli dissi: Pà, io proprio non ce la faccio. Ebbi la felice idea di avere già il piano B. Volevo fare il giornalista, ma non gli dissi: Sai mi iscrivo a Lettere o Filosofia. Mi presentai con l’alternativa: Faccio giurisprudenza. E per dimostrare quanto ero serio mi iscrissi a Pavia, non a Milano, come sarebbe stato naturale. Mio padre accettò”. Avvocato Federico Buffa. Vero. Iscritto all’Ordine di Milano senza esercitare. La tesi fu sul contratto di lavoro nello sport. Mentre si laureava già lavorava: faceva l’agente dei giocatori di basket. Alt, qui si prende fiato per capire e avvolgere il nastro. Federico ha vissuto molto e va spiegato. Perché c’è la Milano degli anni Settanta e poi l’America: aveva frequentato il liceo Classico Manzoni. Il periodo era quello lì, dal 1973 al 1978. Per intendersi: “Prima settimana del primo anno: al sesto giorno eravamo già in agitazione per il Golpe in Cile”. Contesto, un altro. C’era la scuola, c’era il basket: ogni pomeriggio in un campo sotto casa e poi negli altri in giro per la città. Avrebbe potuto diventare un giocatore di calcio, però il giorno del provino per il Milan finì con un girotondo intorno al tavolo: lui davanti e il padre dietro, a spiegargli che quella non era proprio la scelta che lui si aspettava dal figlio. In compenso il regalo per la maturità fu un viaggio all’università della California, a Los Angeles. “Venivo dalla Milano degli anni Settanta. Diviso tra lo scetticismo e l’ammirazione per gli Stati Uniti. Arrivai in California e lo scetticismo finì”. È lì che è cominciato Federico Buffa: l’America, lo sport, il basket, la cultura. Il contesto, ancora. Tornò e scrisse il suo primo articolo per la rivista Superbasket: “Era il racconto della mia esperienza a Ucla”. Rientrò a Milano: l’università, giurisprudenza, le lezioni di diritto anglo-americano con il professor Ziccardi: “Il lunedì alle 13. C’erano quattro persone a seguirle. Un giorno io mi alzai e dissi: Prof, io mi occupo di contratti per atleti e lavoro con gli americani, può darmi una mano? Lui mi invitò al suo studio e lavorammo al contratto per gli sportivi americani”. Il procuratore Buffa viene prima del radio-telecronista. Sta lì a creare tutto quello che è arrivato dopo. Perché l’America è diventata un infinito campo da basket. Federico arrivava a Jfk, prendeva un’auto e magari guidava per 25 giorni. “Ho visto tutte le università che potevo vedere. Ho dormito nelle sedi delle confraternite in attesa di vedere un giocatore da poter portare in Europa. Ho girato tutti e 50 gli Stati Usa. Ho rischiato di morire non so quante volte in non so quanti modi diversi. Ho conosciuto migliaia di stanze di motel”. C’è tutto questo, adesso. C’è nelle telecronache, c’è nel racconto dell’Nba dei vostri padri, il programma di storie di basket che è il bignami televisivo della pallacanestro globale […] Lo sport è una mammella dalla quale non ci si può staccare: ti allatta con le sue storie e non ti lascia. Buffa è specialista di una cosa e curioso di ogni cosa: a 53 anni è lo stesso che non si perdeva una sola informazione utile, quello che segnava sui quaderni punteggi, biografie, statistiche. Sa tutto, perché ama tutto. È il gioco dei rimbalzi che riesce perfettamente nella coppia con Tranquillo. Lavorano insieme dalla metà degli anni Ottanta: Buffa era già un agente, ma faceva anche le radio-telecronache dell’Olimpia Milano. “Un giorno in un campo vicino a via Lorenteggio si avvicina un ragazzo. Mi chiede: Sei tu Buffa che fa le cronache dell’Olimpia? Ciao sono Flavio Tranquillo, studio alla Bocconi e se ti va, la prossima partita potrei venire a tenerti il quaderno con i punti”. Nacque la coppia, all’epoca con posizioni opposte: Buffa prima voce, Tranquillo spalla. Si sono ritrovati dopo, dal 1994, quando Federico ha smesso di fare l’agente ed è andato a Telepiù a raccontare il campionato di basket del college Usa. Insieme. Voce e voce. Non banalizzano mai: istruiscono, alfabetizzano. Scommettono sull’intelligenza di chi li guarda. Si divertono. Il basket aiuta, è uno sport dove il pubblico vuole di più: vuole lo schema tattico e vuole la storia che c’è dietro quel giocatore: sua madre, suo padre, l’università che ha frequentato, gli amici che aveva, lo Stato in cui è cresciuto. Federico sta lì, a dirglielo. Questo tocca a lui. Questo è lui. Stanotte si studia: “Non c’è un solo giorno che non legga qualunque cosa mi possa servire”» (Giuseppe De Bellis) • «Abbiamo già avuto modo di sottolineare la sua competenza su molti sport, la sua signorilità, il suo eloquio, ma da qualche tempo Buffa si propone come formidabile narratore. Difficile, anche nel passato, trovarne uno più bravo di lui. I suoi racconti su Arpad Weisz o su Maradona sono da antologia» (Aldo Grasso) • «I teatri con i suoi spettacoli – si tratti di Ali o di Kubrick – sono pieni di ragazzini, così come giovani sono i telespettatori che dai suoi lavori si fanno guidare nella conoscenza del passato. Che le pare della parola storytelling? “Oscena. Tra narratore e storyteller è meglio narratore. Non capisco perché tante volte una bella parola italiana sia sopravanzata da un’altra meno bella. Ora pare che tutto sia storytelling ma le storie sono sempre esistite. Casomai esistono stili diversi di narrazione”. Il suo qual è? “Quando ho iniziato presi a modello Philippe Daverio in Passepartout. Ho tutte le puntate registrate. Servizio pubblico puro”. Le mancano le telecronache di basket? “Mi mancano le finali. Dove vedi tutti i migliori al mondo del tuo sport che giocano forte. La Nba è troppo lunga e in tanti momenti della stagione si gioca perché si deve. Ma quando spingono per davvero, non c’è niente che ci vada vicino. Forse solo Federer-Nadal dal vivo”. Non le danno mai del passatista? “Sono abbastanza abile nell’anticipare l’obiezione. È un privilegio raccontare storie del passato anziché l’attualità. Ti salva. Non ho nessun problema ad ammettere che questo non è più il mio mondo. Non ho attrazione per i social media. Ho un’ossessione per la privacy. Vivo per conto mio con le persone che mi piacciono. Ammetto di essere un anziano”» (ad Angelo Carotenuto) • Nel 2011 era tra gli opinionisti del programma di Ilaria D’Amico Sky Calcio Show, ma vi rimase solo una puntata: «Ma perché è andato via? “Non mi andava la sovraesposizione. In 17 anni di Nba di me non è mai stata scritta, giustamente, una riga. Con due ore di quel palcoscenico sono usciti articoli su Corriere della Sera, Repubblica, Messaggero e addirittura la richiesta di tenere una lezione all’Università. Per stare lì ci vogliono le spalle larghe di un Mario Sconcerti. Io sono più da commento Nba”. Dica la verità: non ha gradito le critiche alla sua domanda di 40 secondi in spagnolo rivolta all’allenatore della Roma Luis Enrique. “Guardi, ho parlato in spagnolo con accento argentino ai calciatori argentini nella trasmissione Calciomercato perché Bonan (il conduttore, ndr) riteneva che funzionasse. Stavolta forse ho sforato di 15 secondi in un contesto diverso. Ma lo rifarei”» (a Romolo Buffoni) • Tra i suoi libri: L’ultima estate di Berlino (Rizzoli, 2015), Storie mondiali. Un secolo di calcio in 10 avventure (con Carlo Pizzigoni, Sperling & Kupfer, 2015), Muhammad Alì. Un uomo decisivo per uomini decisivi (con Elena Catozzi, Rizzoli, 2017), Nuove storie mondiali. Un secolo di calcio in 13 avventure (con Carlo Pizzigoni, Sperling & Kupfer, 2018). Da ultimo Il mio Kobe. L’amico diventato leggenda (con Christopher Goldman Ward, Baldini + Castoldi, 2022)
Tifo Milanista, come la madre. Ha collaborato con il canale tematico Milan Channel.
Politica Vota per i Radicali «Sono cresciuto con le battaglie per i diritti civili negli anni ’70» (ad Angelo Carotenuto).
Curiosità Non ha uno smartphone né profili social. «Ho una avversione istintiva nei confronti di questo mondo, la società costruita sui like e il problema della riconoscibilità. Sono già ossessionato dall’idea di essere rintracciabile perché pago con una carta di credito in Nuova Zelanda. Sono fatto così, ho un riserbo naturale e non vorrei mai parlare di me» (ad Andrea Parrella) • «Se vieni a casa mia, noti che, a parte i libri, ho pochissimi oggetti, tutti presi in Oriente, con prevalenza Giappone. Io mi circondo di oggetti che incidano sulla mia tranquillità d’animo. Ho una casa con dei grandi muri bianchi e pochissime cose dentro. Gli oggetti sono pochi e devono avere un potere taumaturgico, con l’eleganza, sulla mia tranquillità. Si tratta del mio modo di stare al mondo. Qualcosa che viene dall’Oriente» (a Francesco Boezi).