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 2022  agosto 02 Martedì calendario

Quando il bacio fa miracoli

«Salutatevi con il bacio santo», scrive san Paolo ai Cristiani. E lo ripete come un mantra nelle sue Lettere, ai Romani, ai Corinzi, ai Tessalonicesi. Lo ribadisce anche san Pietro che però usa l’espressione «bacio d’amore », cioè l’antenato del segno di pace che oggi ci si scambia durante la messa. E che a causa della pandemia si è trasformato in un cenno del capo per evitare ogni contatto fisico. Una bella differenza con i cristiani delle origini che invece si baciavano sulla bocca. Per riconoscersi tra loro e distinguersi dagli altri. Senza eccezioni né distinzioni, né di genere né di generazione. È la cristianità impressa sulle labbra che combaciano e diventano l’incarnazione fisica della comunione. In questo modo il bacio unisce la concretezza del contatto fra i corpi all’astrattezza del dogma eucaristico consentendo anche alle anime semplici di scalare gli impervi calanchi della teologia.
Col passare dei secoli, il contatto delle labbra diventa un elemento fisso del cerimoniale, religioso e politico. Dal battesimo all’ordinazione sacerdotale, dalla consacrazione episcopale all’incoronazione reale, dall’assoluzione dei penitenti alla celebrazione dei matrimoni. Il bacio che ancora oggi i novelli sposi si scambiano davanti al prete o all’ufficiale di stato civile non ha il significato romantico che amiamo attribuirgli. Ma è il sigillo di un patto di fedeltà e di reciprocità che fa di due persone un sol corpo.
L’agostiniano tedesco Johann von Staupitz, maestro di Lutero, arriva addirittura ad affermare che baciarsi significa «assaggiare Dio», sentire il sapore dell’amore divino, «un gusto indescrivibile ma sperimentabile sulla pelle». Una sorta di sesto senso del soprannaturale. Come se il bacio attivasse i recettori del sacro trasformando la fede in esperienza multisensoriale, in organolettica devota.
Ma Lutero tradisce l’insegnamento del suo maestro e decide di farla finita con baci e bacetti. In realtà i rigidi teologi protestanti temono che il contatto fisico possa indurre in tentazione facendo degenerare il gesto virtuoso in pretesto vizioso. La verità è che la potenza fisica e simbolica del contatto bocca a bocca suscita prima la diffidenza e poi l’indignazione di questi religiosi senza corpo, di questi algidi gendarmi del desiderio.
Ma con buona pace di Lutero e dei suoi divieti, il cristianesimo resta una religione del bacio. Lo attestano esempi celebri come il miracolo di san Martino che bacia il lebbroso e lo guarisce. La stessa cosa fa san Francesco con un mendicante ricoperto di piaghe ma, per incanto, il Poverello si ritrova tra le braccia Gesù. Qui la narrazione accosta i poli del materiale e dello spirituale con un folgorante cortocircuito fra la figura di Cristo e quella del povero cristo. Restituendo così all’opera di misericordia tutto il suo significato profondamente corporale. E il bacio, con la sua viralità tiene stretti su una lama di coltello contatto e contagio. Inseparabili perché l’uno è l’emblema del male che colpisce, l’altro del bene che guarisce.
E se il bacio misericordioso rappresenta lo zenith della fratellanza, ai suoi antipodi sta il bacio infame del tradimento che del primo rappresenta la degenerazione diabolica. Di questo anti-bacio il simbolo supremo è Giuda, il sommo traditore nel vero senso della parola. Che viene da “tra” e “dare” e in origine significa proprio “consegnare al nemico”. Nel nostro immaginario, l’episodio è legato al vertiginoso horror dellaDivina Commedia dove lo scellerato viene maciullato per l’eternità dai denti di Lucifero. E soprattutto alla sublime concitazione della scena dipinta da Giotto per la Cappella degli Scrovegni di Padova. Dove l’ispiratissimo pennello dell’artista fissa la tenebra che oscura il volto del traditore, mentre abbraccia Cristo con la ferociadi un uccello rapace che chiude le sue ali intorno alla preda. Proprio così il mantello di Giuda si serra intorno al corpo del Nazareno.
Ma prima ancora che nel cristianesimo è nell’ebraismo che si trovano le prime tracce del bacio santo. È quello con il quale il profeta Samuele, undici secoli prima di Cristo, consacra Saul primo re di Israele.
In effetti, il bacio religioso punteggia la vita degli ebrei anche nel quotidiano. La tradizione vuole che quando si oltrepassa una soglia si dia sempre un bacio alla mezuzah , una piccola pergamena affissa agli stipiti di ogni porta. E in sinagoga, quando il sacro rotolo della Torah viene aperto gli uomini baciano glitzitzit , le frange dello scialle da preghiera che simboleggiano i seicentotredicimitzwoth , i precettidel Signore.
Ma il bacio più spinoso dell’Antico Testamento è quello che Giacobbe riceve dal fratello Esaù, cui ne ha fatte di tutti i colori. Dopo essere rimasto a lungo lontano nel timore della vendetta, alla fine non può fare a meno di tornare e i due si scambiano il bacio rituale. Ma è un bacio che non è un bacio. E la Torah lo sottolinea con un’eccezione grafica, mettendo numerosi puntini sulla parola, qui vayshaqehu (letteralmente, lo baciò) (Genesi, 33, 4). Secondo gli studiosi questa sovrabbondanza di puntini, che non ha riscontri in altre occasioni, è il segno lasciato dai denti di Esaù sul collo di Giacobbe. L’episodio ha dato origine all’espressione yiddish vayshaqehu mit pintelach , lo baciò con i puntini, per indicare una persona o una circostanza in cui si dice una cosa ma se ne intende un’altra. Tra il bacio e il morso deve esserci un arcano legame filogenetico che affiora come un pop up dell’immaginario nella Pentesilea , la tragedia di Heinrich Von Kleist rappresentata per la prima volta nel 1876 e dedicata all’amore-odio fra la regina delle Amazzoni e Achille. L’autore cambia il racconto omerico, dove l’eroe dell’ Iliade uccide la fiera guerriera. Qui è Achille a lasciarci le penne. Alla fine del dramma l’autore mette in bocca alla fiera guerriera, che ha appena sbranato l’eroe invulnerabile, una celebre battuta: «Baci e morsi — in tedesco küsse e bisse — fanno rima e chi ama di cuore può ben scambiare l’uno con l’altro». Insomma, una ferale rima baciata che mette la parola fine a un amore bello e impossibile.