La Stampa, 2 agosto 2022
L’Aids è ancora un problema
«Nel 2020, tra i nuovi infetti da Hiv, 100 casi avevano meno di 25 anni. Se anche i giovani si ammalano vuol dire che serve più informazione, soprattutto sui test». A dirlo senza mezzi termini è la professoressa Antonella Castagna, primario dell’Unità di Malattie Infettive dell’Irccs Ospedale San Raffaele di Milano.
Secondo l’ultimo monitoraggio ufficiale del Centro Operativo Aids, nel 2020 sono state segnalate 1.303 nuove diagnosi di infezione da Hiv, nel 79,9% dei casi maschi, con l’incidenza più alta tra i 25-29enni. I casi sono in diminuzione dal 2012.
Il report però mette in guardia: le nuove infezioni potrebbero essere sottostimate a causa della pandemia da Covid-19, che potrebbe aver ridotto il numero totale dei test effettuati. Anche se non esiste una cura definitiva, ricevere oggi una diagnosi di Hiv non è più una condanna a morte: «Rispetto agli Anni 80 ci sono stati progressi enormi nel campo della prevenzione e anche nel trattamento – spiega la dottoressa Castagna – chi inizia la terapia antiretrovirale può avere un’aspettativa di vita simile a quella della popolazione generale. Siamo riusciti a trasformarlo in un’infezione cronica con cui si può convivere». I farmaci oggi a disposizione permettono un duplice risultato: «In primis sopprimere la replicazione da Hiv, cioè uscire dall’immunodeficienza, che portava all’Aids e alla morte: grazie alle terapie le persone che vivono con l’Hiv non trasmettono più per via sessuale l’infezione, e questo ha permesso loro di stringere di nuovo delle relazioni sentimentali».
Nel 2020, la maggior parte delle nuove diagnosi di infezione da Hiv era attribuibile a rapporti sessuali non protetti da preservativo (88,1% di tutte le segnalazioni). Diversamente dagli anni precedenti, in cui erano preponderanti le diagnosi associate a una trasmissione tra eterosessuali, nel 2020 sono maggiori nei maschi che fanno sesso con maschi (45,7%) rispetto agli etero (42,4%).
La diagnosi precoce rimane fondamentale: dal 2015 è in aumento la quota di persone a cui viene diagnosticata tardivamente l’infezione: «Molti scoprono di avere il virus quando è riuscito già ad erodere il sistema immunitario. Rendersi conto presto di averlo contratto vuol dire avere un recupero più brillante. Inoltre, più persone in terapia significano meno trasmissioni. I test di quarta generazione possono dare un risultato in poco tempo, anche dopo 30 giorni dall’infezione».
Uno dei più grossi traguardi degli ultimi anni nella prevenzione riguarda la profilassi pre-esposizione, che consiste nella somministrazione di antiretrovirali prescritta dall’infettivologo alle persone negative ma ad alto rischio di contrarre il virus: «Questo ha dato buoni risultati nella riduzione delle infezioni – aggiunge Castagna -. In Italia però questa profilassi è a pagamento, a differenza di altri Paesi, come la Francia, in cui è gratuita. Aifa (l’Agenzia italiana del farmaco, ndr.) ha approvato da poco le somministrazioni di farmaci long-acting, che consistono in un’iniezione intramuscolare ogni due mesi, anche per le persone infette. Sono già disponibili in Italia». Non è un dettaglio di poco conto per la qualità della vita di chi deve convivere con la malattia: per molte persone con l’Hiv questa terapia all’avanguardia significa non ricordarsi ogni giorno di avere il virus, come con la compressa quotidiana della terapia orale.
La ricerca non si è fermata durante la pandemia da Covid-19. Il New England Journal of Medicine ha pubblicato i risultati sull’efficacia e sicurezza di una nuova terapia nel trattamento di quei pazienti che hanno sviluppato una resistenza agli altri farmaci: «Molti Paesi stanno portando avanti programmi per la cura definitiva dall’Hiv – conclude Castagna -. Quello che differenzia questo da altri virus è la sua capacità di integrarsi nel genoma della cellula umana: lì non si riesce a stanarlo. Ora bisogna agire su due fronti: cercare nei prossimi anni di eliminare l’Hiv nella cellula e tenere alta l’attenzione verso i test. Si deve sconfiggere l’idea che l’Hiv riguardi solo le persone che vivono ai margini della società perché non è assolutamente così: chi ha avuto un rapporto sessuale non protetto, di qualunque estrazione sociale sia, è a rischio».