il Fatto Quotidiano, 1 agosto 2022
Gli affreschi horror di Santo Stefano al Celio
Un pittore minore del Cinquecento con la psiche malata. Un potenziale assassino seriale? “Secondo me Pomarancio è il Dario Argento del Rinascimento, con la sola differenza che Niccolò Circignani non ha talento come pittore mentre Dario Argento ne ha eccome come regista (…). Questo ciclo di affreschi è veramente brutto. Eppure colpisce. (…) racconta il male che può abitare in una testa, e lo fa in modo esplicito, osceno, senza filtri”.
Ilaria Piatti parla subito dopo aver visto gli affreschi e vomitato a più non posso, come a suo tempo già alcune amiche di Stendhal. Siamo a Roma, nella basilica di Santo Stefano Rotondo al Celio e Piatti è la co-protagonista, cronista di nera e detective allo stesso tempo, dell’ultimo giallo di Dario Correnti, pseudonimo che secondo il gossip editoriale celerebbe il giornalista Andrea Accorsi e il criminologo Massimo Centini: Tutti i nomi della morte (Il Giallo Mondadori, 400 pagine, 18 euro).
Quasi sempre i misteri a sfondo religioso-artistico fanno scoprire una perla nascosta dell’enorme patrimonio italico (Dan Brown ha fatto scuola con Angeli e Demoni) e stavolta la “chicca” è una chiesa costruita a Roma nel quinto secolo, al Celio. Un millennio e passa dopo, nel 1582, il toscano Pomarancio, alias Niccolò Circignani, la affrescò con un ciclo cruento dedicato ad alcuni santi martiri: “C’è santa Cecilia nel calderone, sant’Agata con il seno amputato, sant’Artemio schiacciato da una lastra di marmo, san Dionigi con la testa in mano, san Lorenzo sulla graticola, sant’Apollonia arsa viva con i denti strappati, sant’Erasmo ustionato dal piombo fuso, santo Stefano lapidato, san Vitale sepolto vivo, santa Lucia trafitta dalla spada”.
Un ampio campionario di horror sacro che ispira quindi, da almeno quarant’anni, un serial killer nella Valle del Diavolo, a Larderello nel Pisano, laddove c’è puzza di zolfo e ci sono le “fummifere acque” dantesche: soffioni liquidi e bollenti. E l’omicidio che apre il giallo è quella di una donna buttata in un “lagone” e morta bollita. Si chiama Cecilia Magnani, una ricca imprenditrice. Sul posto arrivano da Milano, per conto di un grande quotidiano, Piatti e il suo mentore Marco Besana, collega veterano in pensione, ossia la coppia di “investigatori” già in azione nei libri precedenti di Correnti. Sarà proprio Piatti, cronista trentenne, a fare il primo collegamento tra i delitti e gli affreschi “romani” di Santo Stefano Rotondo. Sin dalla fine del 1978 l’assassino ammazza, a intervalli, un residente che ha il nome o il cognome di uno dei santi martiri raffigurati dal Pomarancio. Una coincidenza notevole, possibile solo nei romanzi.
In ogni caso, il giallo è ben congegnato e, appunto, innesca la curiosità per quest’opera “nascosta” nel giacimento artistico della Capitale, in una delle sue basiliche più antiche e che oggi è anche la Chiesa nazionale d’Ungheria in Italia. Oltre a Stendhal, il Martirologio del Pomarancio colpì pure Charles Dickens: “Nessuno potrebbe sognare un tale panorama di orrore e macelleria, nemmeno se avesse mangiato un intero maiale crudo per cena”. Accidenti! E buon appetito.