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 2022  agosto 01 Lunedì calendario

Ricominciare a studiare la storia

Nella nostra scuola la storia si studia poco, si studia male, si studia marginalmente. E, soprattutto, non si studia la storia contemporanea. Qualsiasi studente cui si parli di Annibale o della conquista delle Gallie, dimostra che qualcosa ha orecchiato: se gli si cita Aldo Moro, o Piazza Fontana, o i Paesi d’oltre cortina, invece, non si coglie alcuna reazione. La colpa non è degli studenti svogliati: la colpa è del sistema scolastico.Lucetta Scaraffia, su La Stampa del 28 luglio scorso, ricordava giustamente che la comprensione del presente è legata alla conoscenza del passato, come dimostrano gli interventi sulla guerra in Ucraina, ricchi di riferimenti alla Russia zarista, alla geopolitica di Stalin, alla Guerra Fredda; e denunciava i limiti della scuola delle “Tre I” (inglese, informatica, impresa), lo slogan inventato dal ministro Moratti nel 2003 per aggiornare (?) il nostro sistema formativo secondo le esigenze del mondo della globalizzazione. Considerazioni sacrosante, che meritano un approfondimento e una proposta.La prima considerazione è che la storia è diventata una materia secondaria almeno dalla fine degli anni Sessanta: l’esame di maturità introdotto nel 1969, con il sorteggio di quattro materie orali, ne ha sancito l’emarginazione perché la storia è stata sorteggiata sporadicamente solo nei licei classici, mai negli scientifici, nei tecnici, o nei professionali. Una materia «che non si porta all’esame» è una materia che non conta, con trascinamento automatico del discredito anche negli anni precedenti. Questo limite strutturale si è intrecciato con un pregiudizio ideologico: non si deve parlare di fatti contemporanei perché altrimenti «si fa politica in classe». La storia, è vero, non è una scienza oggettiva, perché (come scriveva Marc Bloch) nasce «dalle domande che il presente pone al passato» («la storia è sempre storia contemporanea», diceva a sua volta Benedetto Croce, «perché se anche studiamo gli antichi Egizi o l’età feudale, lo facciamo dal punto di vista del nostro presente»): però essa ha una sua deontologia, è figlia di ricerche documentate, di fonti confrontate tra loro, di percorsi che partono da una domanda per approdare a una risposta e non da risposte in virtù delle quali costruire le domande. Questa metodologia scientifica vale per l’età più remota come per quella più recente e i suoi risultati (la cosiddetta storiografia accademica) trovano sintesi nei manuali. Perché dunque il passato recente dovrebbe essere oggetto di manipolazione ideologica, di propaganda politica e, come tale, escluso dalle aule scolastiche?Partendo da queste considerazioni, nel 1996 il ministro dell’Istruzione Luigi Berlinguer ha introdotto una riforma potenzialmente significativa: dedicare l’anno terminale delle scuole superiori allo studio esclusivo del Novecento. Iniziativa lodevole, seminari di aggiornamento per docenti, aggiornamento dei manuali, convegni, articoli sui giornali: ma, nella pratica, l’indicazione del “Novecento a scuola” è rimasta un’affermazione di principio, soffocata dalla marginalità percepita della materia, da una società sempre più proiettata sulla rapidità del presente, da un corpo docente che a sua volta non si è formato sulla contemporaneità. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: un’ignoranza disarmante di ciò che è stato e che si riflette nell’ignoranza di ciò abbiamo intorno. Qualche anno fa ha destato scalpore la decisione ministeriale di abolire la traccia di storia all’esame di maturità: chi l’ha presa, non ha inferto un vulnus alla materia, ha semplicemente preso atto dei numeri. La percentuale di studenti che sceglievano quella traccia era da prefisso telefonico, perché da prefisso telefonico era la percentuale di coloro che avevano studiato seriamente la storia.E allora? Posto che i limiti di qualsiasi settore della società sono il riflesso di limiti culturali generali e che non si può chiedere alla scuola di essere altro che un segmento della società stessa, una proposta è possibile.Oggi i programmi stabiliscono di studiare il percorso dell’umanità dalla preistoria all’età contemporanea nella scuola primaria e secondaria di primo grado, e di ripeterlo in quella secondaria. Perché non stabilire, invece, una ripartizione diversa e dedicare il triennio della scuola superiore al periodo compreso dalla Rivoluzione Francese a oggi? Cioè al periodo in cui il mondo, attraverso convulsioni, conflitti, elaborazioni, sintesi, si è ridefinito sino a diventare quello di oggi? E cercare, in questo modo, di capire l’oggi, le sue contraddizioni, le sue vulnerabilità? Questo significherebbe rinunciare a conoscenze che (da storico) fanno sanguinare il cuore, ma se non si può (o non si vuole) studiare tutto, almeno studiamo il periodo più recente: perché la coscienza del presente è figlia della conoscenza del passato prossimo, non del passato remoto.