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 2022  agosto 01 Lunedì calendario

La vita da incubo di Marilyn Monroe

Billy Wilder, che l’aveva diretta inQuando la moglie è in vacanza e A qualcuno piace caldo, spiegò il fallimento dei suoi matrimoni più celebri con una battuta feroce: «Quello con Joe DiMaggio entrò in crisi quando lui capì che lei era Marilyn Monroe, mentre quello con Arthur Miller quando lui capì che lei non era Marilyn Monroe». Ne conosceva il talento e la fragilità, il regista, e aveva capito che il suo dramma era quello di non essere più né Norma Jeane, il nome che le avevano dato la madre schizofrenica e il padre assente, né Marilyn Monroe. Gli incredibili ritardi sul set e i capricci da diva avevano trasformato le lavorazioni dei due film in altrettanti incubi, ma appena lei entrava in scena Wilder dimenticava tutto, perché succedeva qualcosa di unico e irripetibile: è con Marilyn che divenne popolare l’espressione “fa l’amore con la macchina da presa.”
Non era soltanto la travolgente sensualità a farla impadronire di qualunque scena in cui recitasse, riducendo le star al suo fianco al livello di comprimari, ma un senso di sincerità e vulnerabilità, che suscitava l’istinto di proteggerla: non è un caso che sia tuttora amata in egual misura dal pubblico maschile e femminile. Quando cantò davanti al mondo intero Happy Birthday Mr. President, l’allusione a un rapporto erotico con John Fitzgerald Kennedy era talmente sfacciato da generare non solo desiderio, ma un afflato di profonda tenerezza: è quello che avviene ogni volta che recita una qualunque battuta, o semplicemente appare, anche per pochi secondi, come inEva contro Eva o inGiungla d’asfalto.
Da un punto di vista recitativo era un’attrice istintiva che tentò di migliorare la propria tecnica frequentando l’Actors’ Studio, ma anche questo generò enormi problemi: nei film imponeva come coach Susan Strasberg, la quale contestava regolarmente le indicazioni dei registi con il fine di preservarne l’integrità artistica, e, secondo lei, anche psicologica. «Hollywood ti dà mille dollari per un bacio e cinquanta centesimi per la tua anima», ripeteva, eppure l’aver conquistato la fabbrica dei sogni partendo dalla miseria ne aveva fatto il simbolo in carne e ossa del sogno americano, sigillato dall’apparente glamour dei matrimoni infelici. Scherzava con intelligenza e autoironia dei propri limiti culturali e considerava l’amicizia come il più sacro dei tesori: quando arrivò a Hollywood condivise sogni e amori con Elizabeth Short, un’attrice che ebbe una sorte più tragica della sua, passando alla storia come la Dalia Nera. Può sembrare incredibile che una donna così amata e desiderata si sentisse perennemente inadeguata, ma questo complesso, che negli ultimi anni la portò ad abusare di alcool e barbiturici, era alla radice di ogni sofferenza, e si intrecciava con l’anelito di calore e protezione. Non è un caso che chiamasse Arthur Miller “Daddy”, ed è sintomatico che abbia avuto relazioni conpersonalità forti che la guidavano e accudivano, a partire da Elia Kazan che la voleva come Blanche DuBois inUn tram che si chiama desiderio, a Johnny Hyde, l’agente che la lanciò e morì d’infarto durante un amplesso. Le sono stati attribuiti molti amanti, tra i quali Frank Sinatra e Marlon Brando, ma è sui fratelli Kennedy che si sono scatenate le teorie del complotto: c’è chi sostiene che quando morì aspettasse un bambino da Robert. Nulla di confermato, ma è proprio il mistero a formare l’ultimo tassello del suo mito: non sapremo mai se la morte a trentasei anni sia dovuta al suicidio, all’aver ingurgitato senza rendersene conto troppi barbiturici, o se invece sia stata uccisa per mandare un messaggio ai fratelli Kennedy. L’unica cosa certa è che, come esige il mito, il cadavere è stato rinvenuto completamente nudo.