il Fatto Quotidiano, 31 luglio 2022
Le critiche di David Broder a Giorgia Meloni
“Ti posso dire che abbiamo precisi elementi per dire che ambienti italiani della cultura, del giornalismo, della politica stanno lavorando in combutta con giornali stranieri di sinistra per dire loro quello che devono scrivere”.
Questa teoria complottista, lanciata dal vecchio missino Ignazio La Russa a Mezz’ora in più non mi ha sorpreso; già il sabato avevo letto Giorgia Meloni definire il mio articolo pubblicato sul New York Times “la classica cosa imbeccata”, prodotto delle manovre di “una serie di think tank della sinistra italiana”. Non solo, quindi, una comunità di posizioni o intenti tra le sinistre straniera e italiana, ma anche una congiura per attaccare Fratelli d’Italia.
Questo tipo di dietrologia non è limitata ai difensori di Meloni, soprattutto quando si vuole utilizzare il mio pezzo – un articolo di opinione – per capire gli intenti “degli americani”. Sebbene i miei scritti sull’Italia siano citati da pubblicazioni mainstream (dal Financial Times al Nyt) sono un redattore della rivista socialista Jacobin, e sono rimasto abbastanza stupito nell’osservare che il mio pezzo di opinione rappresentasse in qualche modo il pensiero dei poteri forti. Sebbene questo discorso sia strumentale al vittimismo di Fratelli d’Italia, mi sembra molto poco probabile che un governo guidato da Meloni possa diventare un paria, considerando anche la nota storia della politica estera Usa.
È vero che, sul partito di Meloni, le testate internazionali sono meno indulgenti di gran parte della stampa italiana: un articolo di opinione di Andrea Lorenzo Capusela pubblicato sul Ft parla di un “partito radicato nell’eredità nazionalista e autoritaria del fascismo”, distinto dalla Lega per il suo rivendicato “atlantismo” ed “euroscetticismo più maturo”, mentre un’analisi del Washington Post cita, tra l’altro, il suo “post-fascismo”. È possibile che anche loro lavorino in combutta con le stesse reti per danneggiare l’Italia, forse anche a mia insaputa? Senz’altro il senatore La Russa saprà indicare precisi elementi nel merito.
La sua non è stata l’unica lettura caricaturale. In prima fila il pezzo di Marco Zucchetti su Il Giornale, che mi ha dato del comunista che vede fascisti ovunque, mentre altri hanno piegato il bastone nella direzione opposta: Il Corriere della Sera ha inventato una citazione secondo cui avevo definito l’ex-premier Mario Draghi garante di una “lunga stabilità”, anche se nell’articolo non si trovava nulla del genere.
Meloni stessa ha ribadito che le paure espresse nell’articolo sarebbero smentite dalla sua posizione pro-Ucraina e pro-Nato, nonostante avessi scritto, testualmente, che Fratelli d’Italia vanta una posizione “fortemente atlantista [di] impegno nei confronti dell’Unione europea e della Nato e di ferma opposizione alla Russia e alla Cina – anche se il partito persegue un’agenda apertamente reazionaria in patria”.
Questa agenda reazionaria esiste, eccome.
Invitato a parlare del mio articolo a L’aria che tira, su La7, sono stato presentato come autore di un articolo che avrebbe affermato che l’Italia rischia un “ritorno al passato”, nonostante affermi sin dal titolo che gli ultimi lustri della storia italiana (democrazia ed economia bloccate, radicalizzazione delle destre) aiutano a vedere il futuro dell’Occidente.
In Francia, dove i Repubblicani gollisti fanno sempre più aperture al partito dei Le Pen; in Spagna, dove il Partido Popular si allea con i camerati di Vox; e nel Gop trumpizzato. Le destre seguono sempre di più il percorso iniziato da Silvio Berlusconi negli anni Novanta, integrando elementi ex e post fascisti, nonché gli elementi più identitari di quei partiti.
Più preoccupante è stato l’intervento del giornalista di Libero, Francesco Specchia. Ha ribadito di aver “controllato le dichiarazioni ufficiali” di Meloni dicendosi sicuro che la teoria della “grande sostituzione” “non l’ha mai lambita”. Ha suggerito con compiacimento che negli Stati Uniti gli standard giornalistici si stanno abbassando – insistendo che un giornalista deve saper documentarsi. Eppure le fonti in cui Meloni ha parlato del “progetto di sostituzione etnica dei cittadini europei” voluto “dal grande capitale” e da George Soros, sono davvero molte.
In realtà è sciocco ridurre il dibattito alla questione se “gli americani dicono che il fascismo sta tornando” o meno. Naturalmente l’Italia non diventerà un regime fascista. Il contesto non è quello di cent’anni fa: non si vede la stessa mobilitazione di massa, la stessa violenza sociale e nemmeno la stessa politica di massa degli anni Venti o anche degli anni Settanta.
Fratelli d’Italia non è identico al Msi di cinquant’anni fa. Eppure i “post-fascisti” possono essere pericolosi e dannosi senza imporre il fascismo, sfruttando il clima di declino per promuovere una guerra tra i poveri e una svolta autoritaria.
Fratelli d’Italia è un partito che insiste sul fatto che la sua auto-narrazione preferita come “moderata” deve essere accettata acriticamente dai suoi avversari, anche se li presenta come cospiratori anti-italiani. A giustificare questa moderazione è l’alleanza con l’European Conservatives and Reformists, vale a dire i Conservatori europei. Ma i partiti di questa alleanza, come Vox in Spagna o il PiS in Polonia, sono radicalmente di destra. Fd’I è un partito che promuove un disegno di legge per vietare l’apologia del comunismo, però taccia quasi tutta la sinistra e i movimenti antirazzisti di essere “comunisti”. È un partito che inveisce contro l’assistenzialismo e in difesa degli evasori fiscali, e di cui c’è da temere la risposta a una crisi inflazionistica in autunno.
Nei giorni recenti, Meloni ha invitato i suoi militanti a non fare “i nostalgici da operetta”; chi si comportasse così farebbe “gli interessi della sinistra e dunque un traditore della nostra causa”. Forse può espellere qualche neofascista e fare qualche dichiarazione pubblica di questo tipo, per prendere le distanze dal passato. Ma se molti media parlano della coerenza della Meloni, di cui lei stessa si vanta, è da interrogarsi su quale sia la “coerenza” di chi ha cambiato posizioni tante volte su tutto, dall’Eurozona al Green pass, fino al comizio di Marbella, definito da Meloni troppo duro nei toni (ha affermato di essere stata “troppo stanca”) ma corretto nei contenuti (cioè nell’attacco contro la “lobby Lgbt” e “chi vuole distruggere la nostra civiltà”). Così come c’è da interrogarsi sull’atteggiamento mediatico nei confronti di una leader che ha promosso a più riprese la teoria della sostituzione etnica, ma viene trattata da liberale, democratica e coerente.