La Stampa, 31 luglio 2022
Intervista a Giorgio Chiellini. Parla della sua partita d’esordio con il Los Angeles
I bandieroni arcobaleno sfilano lungo il perimetro del Bank, nome affettuoso per il campo del Los Angeles battezzato da uno sponsor danaroso. Da queste parti, dentro il calcio Mls (Major League Soccer) spettacolo e soldi viaggiano a sandwich: a strati riempiti di sport.
Una volta il soccer correva solo dietro allo stile Nba, al Football e proprio qui, nella città degli angeli caduti in terra, ha trovato una via. Una volta erano i Galaxy, la franchigia più vincente, quella che ha iniziato a importare campioni, che ha comprato Beckham, che ha diffuso il verbo e l’interesse. Ora sono in crisi, perdono, addirittura contestati e non è facile con le tifoserie che non smettono di cercare la kiss-camera pure quando prendono un gol. Ma il fastidio sale perché la rivalità cresce e il Los Angeles di Giorgio Chiellini e Gareth Bale ne è la prova. Un tempo piccoli e alternativi, ora impostati per vincere, segno che la competizione aumenta e i Mondiali prenotati, quelli ospitati da Usa-Canada e Messico nel 2026, alzano la posta.
Le mega agenzie hollywoodiane investono: la CAA si è fusa con la ICM per avere in dote i suoi calciatori e parliamo di un colosso che rappresenta Spielberg e Hanks e voleva pure Cristiano Ronaldo. Per portarlo qui. A breve.
Chiellini vive l’esordio vincente contro il Seattle (2-1) nello stadio di casa come un bambino e l’entusiasmo conquista il pubblico, già pronto a considerarlo un capitano anche se non porta la fascia. Adottare è d’obbligo, tra i titolari non c’è uno statunitense, trai i 16 che entrano solo Hollingshead è nato negli Usa, il resto è Sudamerica, Africa, sprazzi d’Europa con un Giorgio d’Italia pronto a trasferirsi nella nuova casa di Beverly Hills e già amico dei Daft Punk. Lui, una volta sostituito, sta in panchina a sostenere i compagni. Come era d’obbligo alla Juve e come insegna ora, mentre semina tradizione.
Debutto al Bank America Stadium con mezza Juve nei posti d’onore a bordocampo. Una partita su misura.
«Folle, i vecchi amici e i nuovi amici: se avessi dovuto disegnarla non sarebbe uscita così. La serata mi ha travolto, eccitato e ho provato a segnare, ci ero quasi riuscito. I ragazzi bianconeri mi avevano detto che sarebbero entrati in campo. Pensa che bolgia, tutti mischiati. Non ce l’ho fatta».
Una serata ponte tra una vita e l’altra?
«Sentimenti contrastanti. A 38 anni mi devo gestire, non posso più pensare di stare in campo ogni minuto. Sono sicuro che la mia storia da giocatore con la Juve fosse finita, ho dato tutto quello che avevo, ma ho scoperto che ho ancora forza per una nuova avventura. Ho ancora la voglia di allenarmi ogni giorno».
Non si sente in esilio?
«Tutt’altro. Ora che ci sono, so che l’intuizione era giusta: posso mostrare al mondo quanto e come cresce il calcio qui».
Quanto cresce?
«Non ha senso guardare le differenze con l’Italia, noi viviamo un calcio tattico che negli Stati Uniti non esiste. Ci sono continui cambi di fronte, difese larghe. Però parliamo di un approccio molto fisico e bisogna rispettare l’impostazione. Se pensi sia tutto facile perché arrivi dall’Europa allora sei finito. Faccio un pronostico: questo stadio è da 25 mila posti, tra 5 anni non basteranno».
Crede che il soccer diventerà sul serio popolare?
«Lo sviluppo è costante, parliamo di investimenti importanti, probabile che a un certo punto la Mls si debba dare altre regole, studiate su questo sport e non mutuato da altri».
Come vive la California?
«Per ora mi adatto, curioso, imparo. Del Piero mi ha dato una mano e finalmente la prossima settimana arriva la mia famiglia. Senza è impossibile sentirmi a casa, per fortuna, nei giorni in cui la Juve ha fatto base a Los Angeles, sono stato con i miei fratellini. Me li sono voluti godere. Mi mancavano già».
Come li ha trovati?
«Motivati, rinvigoriti, ci sono facce nuove e si avverte la vibrazione del cambiamento. Bene. La mia partenza è servita anche a questo ed è giusto cosi. Li vedo concentrati e soprattutto rinnovati».
Pronostici di stagione?
«Figurarsi l’annata sarà lunga e difficile, però questa Juve è attrezzata e rivedo le motivazioni giuste».
Qui adorano McKennie.
«Un idolo sì. E come potrebbe essere diversamente, lui è fantastico, un matto e un perfetto numero 8. In un anno comunque è molto cambiato, ha capito come stare attento al proprio fisico. Ha 24 anni, corre come pochi, attacca gli spazi, deve ancora crescere ma di certo possiede l"easy touch”, il tocco facile. Più starà alla Juve e più migliorerà».
Ha assaggiato la pizza con il condimento ranch che lui le ha consigliato?
«No. In Italia non ci sarei mai riuscito, glielo avevo detto “se non mangio sano, non gioco”, ma qui posso magari provarla».
Sogna la doppietta? Il Los Angeles, ora in testa alla Western Conference, che vince la Mls Cup e la Juve campione d’Italia?
«L’allineamento dei pianeti. Possiamo dividerci il tifo: qui la finale playoff è il 5 novembre, fino a lì loro sostengono noi, poi noi seguiamo loro. Staffetta. Anche se per me è un noi su entrambi i fronti». —