il Fatto Quotidiano, 30 luglio 2022
Cosa non torna nel caso Ragusa
Ha l’aspetto di una spiaggia incontaminata. Il mare grigio scarica detriti sulla battigia. L’intrico della pineta, con quel gioco di ombre e di luce, sembra più adatto a nascondere i peccati degli uomini che gli animali che lo frequentano. L’ex residenza del presidente della Repubblica sorge qualche centinaio di metri oltre la barriera vegetale. Noi siamo nella sabbia bagnata, in fila, a due metri l’uno dall’altro, pronti ad avanzare verso l’entroterra con il compito di scovare tracce, residui.
Cerchiamo un corpo o quello che ne resta.
Parco di Migliarino – San Rossore, sulla spiaggia del Gombo, alle porte di Pisa. È il febbraio del 2013. Un confidente ritenuto attendibile, anche se tardivo, ha avviato la macchina delle ricerche. Dice di aver visto strani movimenti la notte tra il 13 e il 14 gennaio dell’anno prima. Due uomini, arrivati con l’auto a pochi metri dalla spiaggia, hanno trasportato nella boscaglia un grande sacco scuro. Seppellire qualcosa o qualcuno qui è relativamente semplice. Quella stessa notte è scomparsa Roberta Ragusa, 45 anni, madre di due figli adolescenti, moglie di Antonio Logli, accusato ora del suo omicidio. È una data che nessuno, da queste parti, può dimenticare. È la stessa notte in cui la Concordia si è inabissata non troppo lontano. Ma a Pisa, la notizia che predomina è quella che riguarda la sorte di una donna dagli occhi colore del cielo.
Le indagini sul presunto omicidio di Roberta sono dirette dalla Procura di Pisa e delegate ai carabinieri. È a loro che si è rivolto Logli quando ha denunciato la scomparsa della moglie. Ha riferito di averla vista per l’ultima volta la sera prima, dopo cena, quando Roberta si è seduta al tavolo della cucina per stilare la lista della spesa per il giorno dopo.
La lista della spesa. Cose che non avrebbe mai comprato.
Alle 6.45 del mattino la sveglia di Roberta ha suonato, ma lei non c’era più. Lei e il suo pigiama rosa. Il marito l’ha cercata, dice, invano. Convinto che sia uscita, durante la notte, forse in stato confusionale per un incidente domestico di qualche ora prima. I sospetti sull’uomo si sono subito addensati.
Le indagini sono dei carabinieri, ma la polizia partecipa alle ricerche con il placet del magistrato. Ecco perché noi della Squadra mobile siamo qui, alle prime luci di questa mattina gelida. Siamo in tanti. Ci sono anche i rinforzi venuti da Firenze. Poi gli uomini e le donne del Servizio centrale operativo e quelli del Dvi, il Disaster victims identification, specializzati nella ricerca e nel riconoscimento delle vittime di stragi o di eventi catastrofici. Utilizzano un georadar che indaga fino a tre metri di profondità. Ci sono i cani specializzati in ricerche cadaveriche (mai chiamarli cani molecolari, ché i loro istruttori si arrabbiano) che vengono da Milano.
È il momento. Io avvio le squadre. Una lunga fila che procede, lentamente, dalla spiaggia alla boscaglia. E poi sempre di più verso l’interno. Metro per metro. Frugando, scandagliando, scavando, a volte raccogliendo lembi di indumenti, ciabatte da mare, residui appartenuti a chissà chi e smarriti chissà quando. Perché non si può mai sapere.
La scomparsa di Roberta Ragusa è un mistero. Su cui s’è accesa una luce, pare, il giorno che è sbucato un super testimone. Che ci ha sorpreso. Si chiama Loris Gozi, è un giostraio con qualche precedente che però la Procura e i colleghi dell’Arma ritengono attendibile, ed è un vicino di casa dei Logli. Noi conosciamo bene Loris, soprattutto quelli della Narcotici. Un vecchio cliente. Anche simpatico. Ma attendibile? Qualche mese prima è stato fermato da una pattuglia della Mobile per un controllo. Lui si mostra agitato. Non perché abbia qualcosa da nascondere, ma perché ha paura di perdere il treno e far tardi a un appuntamento. “Io sono il testimone oculare!”, grida, e spiega che deve partecipare a un’importante trasmissione televisiva. I miei colleghi lo prendono in giro. Ma che t’inventi, Loris? Testimone oculare di che? Qualche ora dopo, increduli, lo vedranno in Tv, a rendere la sua versione dei fatti. Loris, quella fatidica notte, avrebbe visto Antonio Logli strattonare e caricare a forza una donna in macchina. Una donna con un pigiama rosa.
La battuta a San Rossore prosegue per giorni. Ci rende stanchi, infreddoliti. Ma non è che si possa abbandonare la ricerca una volta avviata. Proseguiamo. Non si trova nulla. Poi qualcuno solleva dubbi sul racconto del confidente. Ma lui che ci faceva a quell’ora di notte laggiù? Qualcosa non torna. Decidiamo di metterlo sotto pressione. Se non dice la verità rischia un’incriminazione. Alla fine il tizio cede. Racconta che la storia del corpo di Roberta seppellito tra quelle dune gliel’ha rivelata una medium. L’informazione proverrebbe dallo spirito della stessa Roberta. E lui sapeva che se ci avesse svelato “questa” verità non avremmo fatto nulla.
Pazzesco. Un giro a vuoto. Ma a volte succede.
Richiamiamo tutti quelli che stanno impazzendo da giorni e notti in quel tratto di spiaggia e nei boschi. Informiamo il magistrato e la chiudiamo lì. Roberta di certo non è stata sepolta a San Rossore. Ma noi continueremo a cercarla. Ci saranno altre segnalazioni. E anche le più assurde saranno verificate.
Logli è stato condannato in Cassazione a venti anni di reclusione (il pm ne aveva chiesti trenta). I giudici hanno ritenuto sincero Loris Gozi. La difesa sta tentando di riaprire il processo. Roberta non è mai tornata a casa. Il suo corpo non è mai stato trovato.