La Stampa, 30 luglio 2022
Intervista a Pierferdinando Casini
Roma
Pier Ferdinando Casini ragiona su una semplice dinamica di causa-effetto. «Non dico che chi ha fatto cadere il governo Draghi si è mosso su sollecitazione di Mosca – spiega l’ex presidente della Camera – ma, di certo, il risultato ottenuto è stato accolto con soddisfazione dai russi». In ogni caso, è meglio sperare che dietro certe posizioni politiche, certi rapporti e contatti poco chiari, ci sia solo «la sprovvedutezza, perché se ci fosse malafede sarebbe una cosa enorme, di una gravità assoluta».
Quindi, per capirci, dobbiamo augurarci che Salvini sia solo uno sprovveduto…
«Il che non ci conforta, perché dare il governo in mano agli sprovveduti non è una buona cosa. Ma io non emetto verdetti e non faccio un processo alle intenzioni, mi meraviglio solo del provincialismo di chi si stupisce, come se non sapesse che queste ingerenze sono all’ordine del giorno, in tutti i Paesi democratici. E aggiungo che, purtroppo, in tanti non capiscono come, in questo tipo di rapporti, l’elemento di cautela sia fondamentale, altrimenti si rischia di cadere nelle trame di chi cerca di destabilizzare il nostro Paese».
È un consiglio anche per Berlusconi? Lui ha smentito di aver parlato con l’ambasciatore russo.
«Prendo atto della smentita, che ritengo quantomai opportuna. Berlusconi ha preso un grande abbaglio su Putin, come ha ammesso lui stesso pubblicamente. La sua idea di associare Putin alle scelte dell’Occidente, e penso a Pratica di Mare, fu giusta, ma si è scontrata con i fatti. Poi ricordo che sia lui che Salvini sono andati in visita in Crimea dopo il 2014, dando così legittimità all’occupazione russa, condannata da tutti i Paesi occidentali. Comunque, io fisserei un principio di trasparenza nelle relazioni internazionali per tutti i leader politici, nessuno escluso».
Cioè?
«Vorrei che ogni anno fossero tracciati e documentati tutti i loro contatti con rappresentanti diplomatici stranieri, come avviene per i membri del Congresso americano. Quante volte hanno incontrato quell’ambasciatore? In quali occasioni? Dovrebbero rendere pubbliche riunioni e telefonate… credo ne vedremmo delle belle».
Ora, nel centrodestra è Giorgia Meloni ad aver assunto il profilo più atlantista e affidabile sul piano internazionale: un modo per aprirsi la strada verso palazzo Chigi?
«Voglio vedere il bicchiere mezzo pieno, ritengo sia positivo che Meloni abbia assunto questa impostazione, perché almeno dimostra maggior consapevolezza rispetto agli altri componenti della sua coalizione. Le sue affermazioni fanno sperare che abbia percepito la minaccia mortale che l’Italia ha di fronte. Questo non cancella il fatto che Fratelli d’Italia non ha sostenuto il governo Draghi, schierato in modo deciso con l’Occidente e a fianco dell’Ucraina e, quindi, inviso al Cremlino».
Questo centrodestra al governo rischia davvero di farci allontanare dal nostro quadro di alleanze e rapporti internazionali?
«Dico solo che la posizione più coerente, rispetto alla guerra all’Ucraina, l’ha avuta il Pd di Letta, insieme a Renzi e a Calenda. E, dall’altra parte, Meloni. Gli altri li ho visti in grande affanno, preoccupati di trovare delle giustificazioni per Putin, senza capire che il tema vero non è l’Ucraina, ma lo scontro tra l’impero zarista di Putin e l’Occidente. E che se andiamo in ordine sparso abbiamo già perso, basta guardare quanto avvenuto sul fronte della dipendenza energetica: Draghi è finito nel mirino dei russi perché ha lavorato per garantire all’Italia maggiore autonomia nell’approvvigionamento».
Le missioni in Africa non sono piaciute a Mosca?
«Qualcuno ha notato che, dopo le visite del nostro presidente del Consiglio, con i vertici dell’Eni, in alcuni Paesi africani, anche il ministro russo Lavrov è stato in quegli stessi Paesi? Hanno provato a ostacolare il nostro piano di diversificazione delle forniture di gas. E, restando in Africa, è peccato pensare che ci sia chi, come apre e chiude i rubinetti del gas, faccia lo stesso con i rubinetti dell’immigrazione clandestina?».
Gli stessi che potrebbero provare a inquinare questa campagna elettorale con fiumi di disinformazione?
«L’azione degli hacker russi per influenzare i processi elettorali è stata ormai verificata in molti Paesi occidentali, dagli Stati Uniti alla Gran Bretagna. Anche stavolta cercheranno di diffondere a piene mani fake news per condizionare l’opinione pubblica. Dobbiamo affidarci alle autorità che hanno il compito di vigilare, ai nostri servizi e apparati».
E anche alla responsabilità dei partiti di non farsi strumento della disinformazione?
«Certo, un vecchio amico diceva che più le bugie hanno le gambe corte e più chi lavora su questo terreno rischia di rimanerci impantanato».
Dicevamo della coalizione che sta costruendo Letta: secondo lei è la più credibile, ma quanto sarà larga?
«Non lo so, io non sono tra i manovratori. Ma credo sia giusto ripartire dalla mozione che ho presentato in Senato, a sostegno del governo Draghi, che comunque è stata approvata. Chi ha votato a favore, ha seguito una linea chiara, che è quella che serve al Paese. Guardi, io credo che la partita sia aperta e l’esito tutt’altro che scontato. Con il livello di astensionismo che abbiamo, con la campagna elettorale fatta d’estate, i sondaggi sono poco affidabili».
Anche per un veterano come lei è la prima campagna elettorale in pieno agosto: come sarà?
«Sarà affidata soprattutto ai leader, alla loro comunicazione attraverso i media e i social network. Ci sarà meno contatto diretto con gli elettori, anche perché nel prossimo mese molti non saranno nelle proprie città e sarà complicato andare a rincorrerli sulle spiagge».
Lei sarà in campo, puntando alla sua undicesima legislatura?
«Ci sto riflettendo, lo dirò al momento opportuno». –