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 2022  luglio 30 Sabato calendario

La vita dello scacchista Aleksandr Aleksandrovic Alechin in un romanzo

Gli scacchi, gioco, arte, sport, fate voi, sublime, fatale, mito delle menti in cerca di una legge suprema della razionalità e della vittoria, hanno una vita letteraria infinita: fin dal 1400, con Geoffry Chaucer nei Canterbury Tales, passando per Shakespeare, nella Tempesta, e via via per Edgar Allan Poe, Anne Brontë, George Eliot, Thomas Hardy, T. S. Eliot, Herman Hesse, Agatha Christie. E poi soprattutto Vladimir Nabokov ( che nella Difesa di Luzin delinea un legame tra la scacchiera e la sociopatia), Elias Canetti, Samuel Beckett ( conMurphyaccanto alla mossa del Cavallo fa ingresso la malattia mentale), Raymond Chandler, Asimov, George Orwell (che in 1984 anche attraverso la scacchiera fa esaminare al protagonista l’impotenza dell’individuo in un regime totalitario), e naturalmente Stefan Zweig con il suo celeberrimo La novella degli scacchi, atto di accusa contro il nazismo un anno prima del suicidio nel 1942 che mette in scena la lotta tra bene e male, fonte di ispirazione per tantissimi, in primis il nostro Paolo Maurensig nellaVariante di Lüneburg, dove in palio ci sono le vite di molti ebrei prigionieridi un lager. Già, alfiere, cavallo, pedone o coppia reale che siano, in letteratura il pezzo che si muove è quasi sempre metafora della morte, come nelSettimo sigillodi Ingmar Bergman. Aspetto chiaro anche ne La diagonale di Alechin, il nuovo romanzo di Arthur Larrue ( Neri Pozza) dedicato al russo naturalizzato francese che fu campione del mondo dal 1927 al 1935 e poi nuovamente dal 1937 al 1946 quando morì in Portogallo in circostanze oscure.
Larrue è nato a metà degli anni ’ 80, noto anche per aver insegnatoquattro anni letteratura francese all’Università Herzen di San Pietroburgo, un incarico che è stato costretto a lasciare nel 2013 in seguito alla pubblicazione di Partir en guerre, testimonianza della sua vita clandestina con il gruppo di artisti dissidenti Voina che realizzavano happening sovversivi, gli stessi da cui sono nate le Pussy Riot: un’opera che testimonia la curiosità e l’impegno con cui Larrue guarda alla mentalità russa e ai suoi legami con la violenza e che gli ha valso l’espulsione. In fondo tutto il suo La diagonale di Alechin indaga la forza brutale che il campione di scacchi dispiegava nelle sue partite ( anche Maurensig gli ha dedicato il suo romanzo analizzando le idee del gioco di un personaggio senz’altro ambiguo, sprezzante, narcisista, pazzo, Teoria delle ombre). Larrue entra nelle sue giornate, nelle performance strabilianti (partite a occhi bendati e contemporanee contro 26 rivali e più!), nei deliri, ubriachezze, fantasmi, nei suoi patti col diavolo.
Gli anni coperti in presa diretta sono quelli dal 1939 al 1946, ma il romanzo biografico diviso in tre parti, “Apertura”, “Mittelspiel” ovvero “mediogioco”, e “Finale di partita” raccontano tutta la sua vita. Chiamato «il sadico degli scacchi», Aleksandr Aleksandrovic Alechin, nato da una famiglia russa nobile e ricca, inizia a giocare e a vincere prestissimo, sviluppando un’idea di difesa aggressiva che lo rende presto famoso. Quando la Rivoluzione bolscevica lo imprigiona e lo condanna a morte a Odessa, sarà una partita con Trotzkij (che riconosce il suo nome già noto nella lista dei prigionieri) a salvarlo, o almeno così dice la leggenda: ilrivoluzionario infatti lo convoca davanti alle sessantaquattro caselle bianche e nere, lo sfida, perde ovviamente, lo libera e lo manda a Mosca a lavorare con un incarico di traduttore governativo. Poco tempo dopo Alechin raggiunge la Francia: eccolo là, occhi d’acciaio, presuntuoso, aggressivo, avviluppato al gioco e alle sue vittorie – fino a quella epocale sul campione mondiale Capablanca, cubano – quattro pacchetti di sigarette al giorno, un bicchiere sempre in mano, incapace di amare, mantenuto dalla quinta moglie milionaria americana, Grace.
Ci sono anche gli schemi delle sfide, si intuiscono la potenza della sua astrazione e le danze che i pezzi riescono a comporre nella sua mente (come non pensare alla bella serie tvLa regina degli scacchi che proiettava nell’aria le visioni e le mosse geniali della campionessa?) ma è l’occupazione tedesca della Francia a cambiare il destino di Alechin: se vuole essere bene accetto ai nazisti deve scrivere degli articoli antisemiti. E lui lo fa, senza esitare, inventando un supposto modo ebraico di giocare, che copia anziché inventare, che è subdolo anziché coraggioso. In premio, il governatore del Reich in Polonia Frank lo prenderà con sé, gli farà combattere miriadi di partite e tornei sotto la svastica.
Il passo aumenterà le visite delle ombre che lo tormentano quando sarà sopraffatto dall’alcol, allontanerà per sempre la moglie: sempre più escluso dalla società civile (e da quella scacchistica) a guerra finita, morirà in miseria in un alberghetto, forse ucciso da vendicatori ebrei, forse dai servizi sovietici che vogliono un nuovo campione del mondo russo, forse strozzato da un pezzo di carne. Non l’amava nessuno, lui non aveva amato nessuno. Scacco matto Aleksandr.