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 2022  luglio 30 Sabato calendario

Lasciarsi a 70 anni

Questo è il romanzo che l’ha fatta conoscere a un pubblico più vasto – il primo tradotto dapprima in lingua inglese e ora anche in italiano ( ma è in corso di pubblicazione in altri dieci paesi) – come la “Anne Tyler norvegese”. E sin dal titolo non è difficile capire perché. Una famiglia moderna è uscito in patria nel 2017, a sette anni dall’esordio di Helga Flatland nella narrativa nel 2010 conStay if you can. Leave if you must,
vincitore di numerosi premi e primo capitolo di una fortunata trilogia, a cui sono seguiti altri acclamati romanzi, compreso uno per ragazzi. Ma il successo più grande è arrivato anche in patria con quest’ultimo libro, che ha vinto il Premio dei Librai norvegesi e venduto oltre centomila copie, in cui l’autrice – e qui il paragone con la Tyler è calzatissimo – rivolge la sua lente di ingrandimento verso quel microcosmo che è la famiglia.
Una famiglia “moderna” che, come recita il titolo del romanzo, dovrebbe essere a maggior ragione abituata o se non altro possedere tutti gli strumenti per affrontare “terremoti” psicologici come può essere una separazione. Qui invece il divorzio dei genitori settantenni mina le fondamenta dell’immagine di famiglia che i tre figli ormai adulti – Liv, Ellen e Hakon – si erano costruiti e in relazione alla quale progettavano il loro futuro.
Il romanzo si apre proprio con l’annuncio, dato durante i festeggiamenti in pompa magna per i settant’anni del padre, con tanto di viaggio in Italia con figli e nipoti al seguito, che i genitori hanno deciso di mettere fine a un rapporto ormai esaurito. «Vi siete allontanati l’uno dall’altra? Ma dico io, a settant’anni?» è la reazione immediata di Ellen, forse la più impulsiva tra i tre figli, lacerata al momento dell’annuncio anche da un’altra tragedia personale: un figlio che ripetutamente sta cercando ma non sembra mai arrivare, tra infertilità, aborti spontanei e continui tentativi di inseminazione artificiale mai andati a buon fine.
La narrazione portata avanti capitolo dopo capitolo alternando le voci e dunque i punti di vista dei tre figli scava in profondità nella psicologia di ognuno, portando a galla i traumi che ciascuno si tiene dentro e il modo diverso di affrontare la “bomba” sganciata dai genitori. E si sviluppa in una serie di monologhi interiori condotti come un flusso di coscienza in cui i pensieri si muovono tra presente e passatocon un taglio molto cinematografico in cui la critica, soprattutto norvegese, non ha potuto che vedere un accenno a Ingmar Bergman.
È infatti con una scrittura elegante, a tratti provocatoria e intrisa di sottile umorismo che l’autrice mette in scena, alternando le parti, una sorta di psicodramma a puntate. Ed è geniale nel consegnarci, mentre i fratelli ricostruiscono i loro ricordi d’infanzia, tre diverse e assolutamente incongruenti percezioni di sé e delle loro relazioni all’interno della stessa famiglia. Riusciranno a reggere all’onda d’urto che sta per cambiare le loro vite?
«Se i nostri genitori possono far sparire con uno schiocco di dita quarant’anni di matrimonio e l’affetto dal quale siamo scaturiti noi», dirà a un certo punto sempre la più pragmatica Ellen, «ecco che cala un velo di falsità su tutti i ricordi, tutte le esperienze, tutte le convinzioni relative alla famiglia». È questa la sfida dinanzi alla quale dunque Helga Flatland mette i suoi personaggi, divisi tra il bisogno di libertà e quello di sicurezza.
«Mi viene da pensare», e qui il punto di vista è quello di Liv, la maggiore dei tre figli, quarantenne sposata con due bambini, «che il motivo per cui me la prendo tanto per il loro divorzio è che sono ancorata alle persone che mi circondano, ma ho sempre considerato una cosa buona il fatto di relazionarmi agli altri, far parte di un organismo più grande di me… Il peggio è che l’unica persona con la quale sarei disposta a parlarne è mia madre. Vorrei che mi tenesse una lezioncina sul valore della perseveranza, come ha sempre fatto da quand’ero piccola. Ed è ciò che io ho trasmesso ai miei figli: qui non ci si arrende, qui non si tronca niente. Qui si sta insieme e si resiste».
Schietta, ironica e tagliente: restano queste le migliori qualità di Helga Flatland, acclamata tra le più promettenti giovani autrici norvegesi – è nata nel 1984 – abilissima nel districarsi tra sentimenti come la perdita, l’attaccamento e il rimpianto.