Robinson, 30 luglio 2022
Intervista a Silvia Romano
Meglio cominciare dalla fine, dalle ultime 13 pagine di note che l’autrice intitola “breve portolano”, preparandoci più che a una placida lettura, a un viaggio avventuroso a vele spiegate, nella bonaccia e nel fortunale, di porto in porto, di secolo in secolo, di poesia in affresco in canzone, per raccontare ancora di un personaggio, nebbioso e reale, evanescente e vivo, mitico e storico, ricordato, reinventato, amato, esaltato, sin dall’antichità, mai dimenticato lungo i secoli: e di nuovo qui, oggi, in queste 195 pagine, Saffo, la ragazza di Lesbo. È stata l’Einaudi a proporre a Silvia Romani una ennesima Saffo, perché di quella incantatrice immortale pare di sentire il bisogno soprattutto nel tempo vuoto del disamore, del disincanto e della paura, come è questo. Di lei in realtà non si sa quasi nulla, se non, come scrive Romani «quanto ci lasciano intuire i frammenti sopravvissuti al naufragio della letteratura greca e le testimonianze, scarne, degli antichi. Troppo poco e insieme moltissimo». E infatti da millenni Saffo ci è compagna e maestra, una ragazza fragile e bruna che con i suoi versi ha parlato d’amore delle sue meraviglie e delle sue ferite, dell’amore sognato e di quello che la vita poi ti riserva. Dopo secoli nulla è cambiato, il sogno è sempre quello, la realtà pure: l’amore c’è prima di esserci, con tutte le varianti di sempre, ma poi come allora, come sempre, si smaschera e rivela il suo inganno. Anche allora, ai tempi di Saffo e degli dei, che dell’amore erano i guardiani, i nemici, i provocatori, i protagonisti. «C’è chi dice siaun esercito di cavalieri, c’è chi dice sia un esercito di fanti, c’è chi dice sia una flotta di navi sulla nera terra, la cosa più bella, io invece dico che è ciò che si ama». Silvia Romani approva, «io per scrivere un libro devo essere innamorata». Quanti ne ha scritti? «Sette». Sette amori? Sorride la bella signora dai lunghi capelli castani, che con lo zainetto sulla schiena pare una sua allieva della Statale di Milano, dove insegna Mitologia, Religioni e Antropologia del mondo classico. Cioè, qualcosa come Il trono di spade? E Saffo e Afrodite e gli Achei diretti a Troia come influencer per giovani eruditi?
Che sciocchezza: no, è una cosa seria, molto seria, se ti avvicini, quel mondo diventa una passione, è difficile uscirne, e non importa se sai che non ci caverai un futuro di denaro o di visibilità. L’incontro fatale di Romani con Saffo in questo suo libro avviene trovando chissà dove una gazzetta del marzo 1825 pubblicata in Tasmania con due notizie appaiate:un’asta che tra gli oggetti di poco valore mette in vendita un piccolo ritratto di Saffo, e l’inaugurazione di una scuola per fanciulle con corsi di scrittura, lettura, aritmetica, ricamo: come quella dove nel VII secolo a.C. Saffo preparava le sue allieve adolescenti alla danza, a intrecciare fiori, a cantare e forse anche alla seduzione, al piacere, a rinunciare alla libertà e alla gioia per diventare sposa e madre, imprigionata nell’inevitabile, invisibile ruolo domestico. Solo sei miglia marine separano Lesbo, l’isola greca di Saffo dalla Turchia, e in quel breve, ventoso tratto di mare, come ricorda Omero, attorno al 1230 a.C.passarono a vele spiegate 1186 navi che portavano Agamennone e il suo esercito sulle spiagge di fronte ad Ilio per raggiungere Troia e distruggerla. Nella famosa guerra lunga dieci anni di cui non c’è certezza, e che, come altri, Omero, ispirato dalle Muse, raccontò un infinito tempo dopo e un secolo prima che Saffo descrivesse la sosta di Agamennone e Menelao a Lesbo e il loro sacrificio a Era sposa di Zeus. È da subito che in questo incrociarsi di secoli e di eventi dalle tracce incerte, ci si ritrova indifesi e affascinati, in un tempo senza tempo, smarriti in migliaia di anni di sontuosa civiltà che non ci appartiene eabbiamo perduto: appunto un altro mondo, un’altra galassia, in cui gli umani convivevano con gli dei benigni e crudeli, con le ninfe, gli eroi e i semidei, ogni accoppiamento possibile, e le feste, e i sacrifici, e i riti, e i doni, che i mortali offrivano agli immortali e le suppliche, le rimostranze degli uni e i favori, le ripicche, le punizioni degli altri. Saffo e saffica, Lesbo e lesbica, da sempre nei versi della poetessa si è cercato il canto dell’amore tra donne: ma la meraviglia di questo libro è di scegliere la verità dell’incertezza, che ha consentito ogni interpretazione e ogni sogno, uno sguardo scabroso, un pensieropio, una fantasia sui costumi di una società arcaica e perduta. Però «le ragazze di Saffo conoscevano di sicuro i piaceri dell’amore. Un piccolo pastiche di frammenti riportati in un papiro del III secolo d.C. potrebbe addirittura evocare l’olisbo, un antico dildo o vibratore… C’è persino chi in questa e in altre allusioni ha voluto evocare l’immagine della poetessa come di una maestra del piacere».
L’omosessualità femminile era allora conosciuta, ne parla persino Platone ci informa Romani, ma disprezzata, mentre l’amore maschile era per gli eletti, il cardine dell’educazione aristocratica, il passaggio della sapienza e del potere tra generazioni. Saffo ha molto amato nei sui versi e nella vita, tanto da suicidarsi per amore di un giovane uomo, Faone concupito anche da Afrodite, gettandosi in mare dall’alto di una rupe. Figurina dipinta nell’abside della basilica sotterranea di Porta Maggiore a Roma, forse del I secolo d.C., sul punto di spiccare il volo nel vuoto, la vede nel 1949 la filosofa Maria Zambrano, e subito ne rimane sedotta, paragonando il suo coraggio a quello di Simone Weil. E se invece non avesse retto alla fine delle festa perenne della giovinezza e quindi della bellezza? «I doni belli delle Muse dai seni di viola, ragazze/amica del canto la lira sonora… Il corpo… un tempo e la vecchiaia ormai/ sono diventati bianchi da neri che erano i capelli,/e l’animo si è fatto pesante, non reggono più le ginocchia...». Che viaggio stordente ci propone Romani, nel mondo senza limiti di Saffo, dove Anna Maria Ortese la scopre nella traduzione di Quasimodo del 1944 e se ne innamora consegnandola alla Sicilia che ha davvero ospitato la poetessa, a Siracusa; e Auguste Rodin la scolpisce nel 1900 e il coreografo Didelot le dedica una balletto nel 1797 a Londra, e Lawrence Durrell nel 1950 mette in scena il suoSappho. A play in verse; Marguerite Yourcenar nel 1936 racconta la sua Saffo da circo inFuochi, che diventa per il teatroSaffo o il volo dell’acrobata con Manuela Kusterman.
Forse sono i miei anni a farmi vagare in questi luoghi della cultura a me sconosciuti o quasi (chiedo perdono per gli errori), con una curiosità che mi ha reso felice. «A me ha fatto felice scriverlo», dice Romani. Ma gli dei che fine hanno fatto, vorrei sapere, non potrebbero da dove se la spassano o dalle pagine di questo libro, darci qualche suggerimento per non buttarci nel vuoto, come Saffo, per di più con un amorino villano che anziché trattenerci ci spinge giù come (1843) nella litografia di Honoré Daumier?.