La Lettura, 30 luglio 2022
L’ultimo storione
Quando la fragranza gelatinosa del caviale si scioglie nella bocca (di chi può permetterselo) e ci si sente dei privilegiati, non dimentichiamo che si stanno divorando le uova di un gruppo di pesci, gli storioni, con una storia assai particolare. Sono sopravvissuti alla catastrofe che 66 milioni di anni fa estinse quasi tutti i dinosauri. Con il loro muso spesso allungato, i barbigli e le tipiche placche ossee protettive, quando al museo incontriamo i loro parenti fossili di 100 milioni di anni fa, li riconosciamo subito: hanno infatti mantenuto fino a oggi caratteristiche molto antiche, benché non siano fossili viventi (sotto sotto, cioè nel Dna, sono cambiati anche loro). Mentre la nostra specie è nata in Africa 200 millenni fa, loro prosperano su questo pianeta da almeno 200 milioni di anni.
Prosperavano.
Gli storioni hanno resistito a cambiamenti ecologici epocali, ma dinanzi all’ingordigia di homo sapiens stanno soccombendo.
La International Union for Conservation of Nature (Iucn), fondata nel 1948 dal grande evoluzionista Julian Huxley (Londra, 22 giugno 1887-14 febbraio 1975, fratello dello scrittore Aldous, primo direttore dell’Unesco e membro fondatore del Wwf), aveva già classificato dodici anni fa l’ordine degli Acipenseriformes come il gruppo di specie più a rischio del pianeta. Ora la Red List Authority del Gruppo specialistico sugli storioni della Iucn – coordinata dall’ecologo e zoologo dell’Università di Padova Leonardo Congiu – ha aggiornato i dati: in peggio. Lo stato precario di conservazione degli storioni li rende oggi ancora più vicini all’estinzione.
Il bollettino globale sembra quello di una guerra. Il pesce spatola cinese, endemico del Fiume Azzurro, è stato dichiarato estinto nel 2020. E a meno di improbabili resurrezioni genetiche, l’estinzione è per sempre. Così il conto complessivo delle specie scende da 27 a 26. Un’altra forma che viveva solo nel Fiume Azzurro, lo storione di Dabry, non è più «gravemente minacciata», ma estinta in natura. Quanto allo storione cinese, dati genetici suggeriscono che solamente undici maschi e undici femmine abbiano partecipato all’ultima riproduzione della specie registrata nel 2015. Se la passano male anche gli storioni siberiani. L’Europa non è più virtuosa: le otto specie del nostro continente, benché poste sotto protezione dal 1992, sono tutte o minacciate o gravemente minacciate. Una di queste, lo storione galatdik, risulta estinta nel Danubio.
Il dato è scioccante, ma non sorprendente. Le cause della scomparsa degli storioni sono note. La prima è il nostro amore per il caviale, che fa schizzare i prezzi anche a migliaia di euro al chilo. Un tempo cibo per poveri, da metà Settecento divenne un lusso. Sebbene il commercio della carne pregiata e delle uova di storione sia severamente regolamentato da accordi internazionali, e benché si possano mangiare le 500 tonnellate di caviale prodotte ogni anno negli allevamenti, alcuni vogliono fare i buongustai e vanno in cerca di quello selvatico, che sicuramente avrà il gusto aggiuntivo del proibito.
Risultato: un residuo di pesca di frodo e un’ulteriore rarefazione delle poche popolazioni rimaste in natura.
La seconda causa è la nostra abitudine di deviare e interrompere il corso dei fiumi per prelevarne l’acqua, del cui bisogno ci siamo decisamente accorti in questa estate di siccità. Molte specie di storioni vivono e crescono in mare, ma poi risalgono i fiumi, dove le femmine, nel periodo della frega, depongono le uova in aree specifiche. Devono essere lasciati liberi di risalire e di tornare al mare. I prelievi dai fiumi di sabbie e ghiaie per costruzioni distruggono i loro terreni di cova. Infine, a questi fattori si aggiungono l’inquinamento dei corsi d’acqua, il loro riscaldamento e la diffusione di fameliche specie invasive introdotte dall’uomo, come il pesce siluro, che occupano gli habitat delle specie autoctone.
Un cinico potrebbe dire: pazienza, ce ne faremo una ragione e vivremo in un mondo senza storioni. Sarebbe un grave errore, non solo perché alcune specie svolgono un importante ruolo ecologico, ma perché un ambiente sano per gli storioni lo è anche per molte altre specie e per gli esseri umani. Viceversa, un fiume senza storioni è un fiume sofferente.
Due anni fa, le maggiori società scientifiche mondiali dedite allo studio e alla protezione della fauna ittica hanno sottoscritto un documento drammatico nel quale informavano che dal 1974 a oggi la biodiversità delle acque dolci è crollata per più dell’80%. In mezzo secolo, abbiamo spolpato i laghi e i fiumi di tutto il mondo.
Il declino apparentemente inarrestabile degli storioni fa dunque parte della degradazione generale di ecosistemi che sono fondamentali per il benessere umano. Dovremmo recuperare una vecchia tradizione inglese: gli storioni sono un bene comune, quindi appartengono solo alla regina.
Ma non tutto è perduto e possiamo ancora fare molto. Nel Caucaso, nel fiume Rioni, lo storione galatdik è ricomparso dopo anni di assenza. Il piccolo e rarissimo storione del fiume Amu Darya in Asia centrale era stato dato per spacciato e invece due anni fa è ricomparso in Uzbekistan. In Italia, sono in corso da oltre trent’anni rilasci controllati dello storione cobice (Acipenser naccarii) nel Po e nei principali fiumi del nord, con risultati incoraggianti. Sembra che alcuni esemplari stiano ricominciando a riprodursi e quindi la specie è passata, in controtendenza, da estinta in natura a gravemente minacciata.
Per evitare la scomparsa delle specie a rischio è importante – oltre che interrompere la pesca e mantenere connessi habitat e percorsi migratori – tutelare la loro diversità genetica, che garantisce potenziale adattativo, maggiore protezione dagli agenti patogeni e capacità di resistere a cambiamenti ambientali rapidi. In cattività, bisogna quindi pianificare gli incroci per tenere basso il grado di consanguineità degli animali. La diversità genetica è un’assicurazione sul futuro, il materiale più prezioso.
Oltre allo storione cobice, popolavano le acque della nostra penisola anche lo storione comune e lo storione beluga, il gigante del gruppo che può superare i sette metri in lunghezza e la tonnellata e mezzo di peso. Gli storioni risalivano fino a Torino e i romani li chiamavano lupi del Tevere.
Ricordiamo che l’Italia è il Paese con la più alta biodiversità in Europa. Camminiamo sopra un patrimonio e per fortuna le iniziative per tutelarlo aumentano. L’Autorità di Bacino del Po, assieme ad Ispra e a diverse amministrazioni locali e università, sta lavorando alla costituzione del Centro per la Conservazione della Biodiversità del bacino del Po, con gli storioni come specie emblematica, presso un impianto dimostrativo di acquacoltura dismesso dell’Enel.
EndemixIT è un progetto che studia la variabilità genetica di cinque iconiche specie endemiche italiane, a rischio di estinzione: oltre al già citato storione cobice, l’orso bruno marsicano, la farfalla di Ponza, il rospo ululone appenninico e la lucertola delle Eolie.
Ad alimentare la speranza sono soprattutto i fondi europei del Piano nazionale di ripresa e resilienza, se saranno spesi con lungimiranza. Uno dei nuovi Centri nazionali di ricerca si chiamerà National Biodiversity Future Centre e sarà dedicato proprio alla biodiversità. Coordinato dal Cnr, vi partecipano una cinquantina fra università, centri di ricerca, fondazioni e aziende, e promuoverà tutto il sistema italiano per il monitoraggio, il ripristino, la conservazione e la valorizzazione della biodiversità mediterranea. Entro la fine del 2025 formerà una nuova classe di ricercatori, creerà quattro grandi piattaforme di dati sulla biodiversità di terra e di mare e getterà le basi affinché un terzo del territorio italiano sia posto sotto protezione ambientale.
Sarà un’occasione unica per dimostrare che l’Italia può raggiungere in tre anni, dandosi continuità politica, un obiettivo lungimirante che ora è scolpito anche nell’articolo 9 della Costituzione. Per il bene degli storioni e di tutte le altre icone dell’estinzione, quelle più carismatiche e quelle più invisibili. Soprattutto, per il bene di chi quei fondi ce li sta dando in prestito: i nostri figli.