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 2022  luglio 29 Venerdì calendario

Un Po al secco

Perdere il Po, il Grande Fiume, quello dei racconti di Zavattini e Guareschi, nel suo viaggio da Est ad Ovest, dal Monviso al Delta del Po, dei tanti luoghi che attraversa e storie che racconta, ha il sapore amaro della sconfitta.
Guardando le Alpi dalle risaie del vercellese, Andrea Lavatelli, risicoltore, sapeva già, a maggio, che il raccolto quest’anno sarebbe stato a rischio. «Manca la neve sulle montagne, il lago Maggiore è ai minimi storici, speriamo nelle piogge», diceva. Piogge che non sono bastate.
La siccità è iniziata decisamente troppo presto in questo 2022, disegnando uno scenario da fine agosto, in anticipo di cinque mesi, con il 60 per cento in meno di precipitazioni rispetto alle medie, che associato all’aumento di 2 gradi della temperatura diventa una vera emergenza di portata storica. Il Po sta soffrendo la crisi idrica più grave degli ultimi 70 anni, avvicinandosi pericolosamente, secondo i dati dell’osservatorio Anbi sulle riserve idriche (l’Associazione Nazionale dei consorzi di gestione e tutela dei terrori e acque irrigue), alla soglia dei 100 metri cubi di portata al secondo, misurati nel Ferrarese precisamente a Pontelagoscuro, meno della metà del record negativo registrato nel 2006 di 237 metri cubi al secondo. Sfiorata quota 100, si decreterebbe la fine della condizione di «Grande fiume». Oltre al valore storico e romantico oggi inaccettabili sono le ricadute ambientali e sociali di questa emergenza. È in pericolo la biodiversità, il nostro capitale naturale, come l’agricoltura, la produzione di energia, il turismo, tutto il sistema delle acque interne. Intere comunità dipendono dall’acqua potabile prelevata nei tratti terminali di buona parte dei fiumi del Nord. Migliaia di persone vivono dell’economia ittica del Delta del Po.
Il cuneo salino che risale per ben 40 chilometri dalla foce altera totalmente gli equilibri biologici già minacciati dall’inquinamento e dalle alte temperature, compromette i servizi ecosistemi di un’area fluviale ricca di habitat protetti. Il prezzo da pagare è altissimo anche per le imprese primarie che già registrano perdite drammatiche in tutti i settori, agricolo, zootecnico, vitivinicolo. I raccolti di frutta e verdura registrano crolli del 70%, il mais del 50 per cento, ricadute anche sugli allevamenti per la riduzione dei foraggi con un pil agricolo in picchiata, meno 10 per cento. Per Coldiretti, la perdita è di un miliardo di euro.
Con il cambiamento climatico la desertificazione rappresenta oggi una nuova minaccia per il Mediterraneo e l’Europa meridionale, tra gli hot spot mondiali più sensibili alle variazioni climatiche. Un allarme sollevato dal Wwf che poche settimane fa ha sollecitato all’Onu un maggior impegno per combattere la desertificazione.
A livello globale, tra il 1983 e il 2009, circa tre quarti delle aree coltivate globali (454 milioni di ettari) hanno subito perdite di rendimento indotte dalla siccità meteorologica. La siccità sta alterando pesantemente tutti gli ecosistemi, provocando danni a tutti gli organismi che vivono in particolare nelle acque interne, minacciando quindi gli anfibi in riproduzione nelle grandi zone umide in questo periodo dell’anno, provocando morie di pesci nei tratti fluviali e nei Delta, favorendo la proliferazione di specie aliene.
Secondo Unicef, un miliardo di bambini (quasi la metà dei bimbi del pianeta) vive nei 33 Paesi ad alto rischio per il cambiamento climatico e il miliardo di persone che non ha accesso all’acqua aumenterà. Il rapporto del comitato intergovernativo sul cambiamento climatico delle Nazioni unite non lascia spazio a dubbi: la crisi climatica non è una minaccia futura. È qui, sta accelerando e continuerà a colpire in modo sempre più devastante. In Paraguay dovrebbe essere inverno, ma le temperature hanno raggiunto il nuovo record di 39 gradi centigradi. Gli incendi e le ondate di calore che stanno devastando vaste aree del pianeta mostrano che l’umanità sta affrontando quello che è stato definito un «suicidio collettivo», mentre i governi di tutto il mondo si affannano a proteggere le persone dagli impatti del caldo estremo. Le soluzioni ci parlano di mitigazione, rafforzando il nostro impegno nella riduzione delle emissioni climalteranti, di adattamento e resilienza. Ci parlano di sviluppo sostenibile «nature positive», di energie pulite e di riduzione dei consumi, di suolo, di acqua, di energia, di lotta allo spreco. Ieri l’annuncio di Antonio Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, dell’adozione della risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che riconosce il diritto umano a vivere in un ambiente sano quale «strumento importante per una giustizia climatica». Un diritto, appunto, che da quest’anno è entrato a pieno titolo tra i principi della nostra Costituzione.
Siamo appena entrati nella campagna elettorale più «calda» della storia repubblicana, l’unica in piena estate. Le dichiarazioni dei politici, di ogni età, da destra a sinistra, riportate sui principali quotidiani, vertono su Ucraina e Russia, economia, soprattutto alleanze, strategie, sondaggi, veti incrociati in vista delle elezioni. Argomenti importanti, ma nulla sul cambiamento climatico, che pure comincia a incidere pesantemente sulle nostre vite, sul nostro quotidiano. Oggi dobbiamo pretendere che questi temi non scompaiano in campagna elettorale dall’agenda politica, che nei programmi entrino come priorità, che la scienza venga ascoltata. Qualcuno ha detto che «la transizione ecologica sarebbe stata un bagno di sangue», gli effetti della crisi climatica lo sono molto ma molto di più.