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 2022  giugno 15 Mercoledì calendario

Biografia di Patrick George Zaki

Patrick George Zaki, nato a Mansoura, nel Nord Est dell’Egitto, il 16 giugno 1991 (31 anni). Attivista e ricercatore egiziano.
Titoli di testa «Mi sono trovato in tribunale perché ho parlato di una minoranza religiosa. Adesso rischio molto: ma la mia è una questione di libertà di parola».
Vita «Da bambino Patrick amava il calcio. Viveva per quello, studiava solo perché in cambio gli lasciavamo guardare le partite in televisione o lo portavamo a vedere gli allenamenti della sua squadra durante le vacanze» (la mamma Hala al giornalista Mohamed Tarek) • «Quando l’ho iscritto alla squadra di calcio di Mansoura e ho cominciato ad accompagnarlo agli allenamenti, ho capito che l’allenatore lo escludeva sempre perché era l’unico cristiano» [ibid.] • «Sono cresciuto in una casa piena di calcio: io e mio padre eravamo maniaci. E mia sorella Marise, solo per farmi diventare matto, guardava le partite e tifava per la squadra opposta a quella che sostenevamo noi. Da parte mia, da subito, ho scelto lo Zamalek. All’inizio perché mi piacevano i giocatori. Poi, crescendo, perché ho capito che non era una squadra appoggiata dalle autorità, di quelle che vincono sempre perché devono vincere, insomma» [Carlo Bonini, Rep] • «Fra una partita e un incontro seguito in tv il ragazzo cresce. Il grande salto lo fa alla fine della scuola, trasferendosi nella capitale per proseguire gli studi. Nel 2011 frequenta la facoltà di farmacia all’Università tedesca del Cairo (Guc), una delle più prestigiose. Studia una specializzazione che, nonostante la laurea a pieni voti, risulterà troppo arida per lui. La scelta successiva di dedicarsi a qualcos’altro verrà anche da qui: «Sapevo che avrei potuto imparare in maniera diversa e non solo leggendo libri di testo» • Intanto piazza Tahrir inizia a riempirsi. La gente vuole la fine del regime: «Sono cresciuto in un ambiente chiuso, come tanti egiziani ero un ragazzino molto ordinario. Non solo: direi che a un certo punto, da adolescente, sono stato anche piuttosto conservatore. La rivoluzione del 2011 è stata una finestra per aprirmi all’informazione, a quello che c’era fuori. In più, sin da piccolo, mi interessava l’idea delle minoranze: chiaramente a causa di quella che era stata la mia esperienza personale a scuola. Ho sempre fatto attenzione ai problemi di quelli che appartenevano a gruppi diversi dalla maggioranza. Dopo la rivoluzione, ho cominciato anche a scoprire i problemi che le donne dovevano affrontare nella loro vita quotidiana e che avevano cominciato ad essere più evidenti» • Patrick organizza sit-in, conferenze. L’università gli vieta di entrare nel campus. Carlo Bonini: «Come è finita, lo sappiamo tutti: il 3 luglio del 2013 un colpo di Stato guidato dall’attuale presidente Abdel Fatah al Sisi rovescia il governo del presidente Mohamed Morsi, esponente dei Fratelli Musulmani che avevano trionfato nelle prime elezioni libere. Con al Sisi si schierano alcuni dei più importanti intellettuali egiziani, spaventati dal controllo sempre maggiore della sfera pubblica che gli islamisti hanno imposto nei loro mesi al potere. E la Chiesa copta, terrorizzata da una leadership percepita come manifestatamente nemica. Quello che nessuno può immaginare è che quelle caldissime giornate estive inaugurano un’era di repressione che neanche negli anni più bui della presidenza di Hosni Mubarak (deposto nel 2011) il Paese aveva sperimentato • Dopo una laurea in farmacia, inizia a lavorare per l’Egyptian Iniciative Personal Right, l’Eipr • Nel 2019 riprende gli studi e si trasferisce prima a Granada, poi a Bologna per il Master in studi di genere e sulle donne Gemma dell’Erasmus Mundus • «La prof è Rita Monticelli, docente di Letteratura inglese e coordinatrice del master. Incontra per la prima volta lo studente tutto ricci in aula C. Lo ascolta, lo consiglia nelle letture, è colpita dalla sua curiosità e fame di sapere. Gli studi di genere significano immaginare un mondo diverso, renderlo migliore, le spiega il ragazzo. Per questo ha scelto quel master. A Bologna Patrick divora libri e morde la vita sotto i portici. Ci mette poco a diventare l’egiziano che conosce tutti, a conquistare con la sua simpatia anche il vicino di curva allo stadio. Animo buono, mente aperta. Una quotidianità da fuorisede. Le videochiamate con la sorella Marise più volte al giorno: “La pizza è buonissima, un giorno ti porto qui”. La mamma che lo consiglia quando è al supermercato e l’aiuta a distanza in cucina: “Mi dai la ricetta che invito a cena gli amici?”. Fuori dalle aule gli studenti internazionali si danno appuntamento sotto le Due Torri, luogo simbolo. Le osterie e i bar della zona universitaria, i gelati, il koshari e la piadina, tirare a far tardi in piazza San Francesco, lo stadio a tifare Bologna, il campetto del Cusb per giocare a pallone ogni settimana […] La sua casa è in via Senzanome, una strada stretta e antica dentro porta. Le risate tra una lezione e un’altra, anche quando l’amica Clarissa Savastano gli insegna l’italiano: “Esordiva con Ciao bella. Ci provava ma con scarsi risultati”. Il centro sociale Làbas, le tagliatelle al ragù dopo il primo esame in italiano all’osteria dell’Orsa, il Caffè La Sfinge, bar egiziano dove può parlare arabo. E la famiglia internazionale degli studenti Erasmus che si ritrova nelle notti di una città che è universitaria da secoli. La meglio gioventù che studia fuori dai confini, senza confini. “Ci vediamo presto, ciao”» [Bonini, cit.] • È un attivista per la comunità Lgbtq+ e coordinatore della campagna per supportare le comunità cristiane nel nord del Sinai. A settembre del 2019 pubblica un articolo scritto in inglese sul sito Daraj: «Non passa un mese senza che vi siano episodi contro i copti egiziani, da tentativi di spostarli in Alto Egitto a rapimenti, chiusure di chiese o attentati dinamitardi. Questo articolo è un semplice tentativo di monitorare gli eventi di una settimana. Una settimana è sufficiente per rendersi conto delle prove terribili a cui sono sottoposti • A febbraio del 2020 decide di tornare in patria per qualche giorno. «Prima di partire per il Cairo, Giada Rossi, compagna di studi, lo aveva visto a cena. Avevano chiacchierato per ore, e poi erano stati in giro per la città. Con Rafael Garrido aveva festeggiato l’esame superato insieme, il penultimo del semestre: “Siamo andati a ballare”, racconterà l’amico. Poi c’erano state le telefonate alla vigilia del volo: “Sarà una mini vacanza dai miei, mi hanno regalato il biglietto. Al ritorno partiamo per la gita a Torino”» [Bonini, cit.] • «Il 7 febbraio, quando Patrick arriva al Cairo, è pomeriggio inoltrato. Il piano è chiaro: fuori dall’aeroporto lo aspetta il papà, Michel. Andranno a casa e poi per cena lui vedrà Reny, la sua ragazza: una pausa breve, solo per loro due. Sa che la famiglia chiama, la mamma Hala prima di tutto, colei che più degli altri ha insistito perché Patrick tornasse a casa per un po’. Patrick pensa a Reny e a suo padre quando accende il telefono una volta sceso dall’aereo. A entrambi manda un messaggio per dire che è arrivato. Poi si avvia per i corridoi lunghi dello scalo del Cairo, supera la scala mobile con le fontane alla base e va dritto verso l’ultimo controllo […]. Ma quando la luce sopra la telecamera diventa rossa e il militare di turno gli prende il passaporto e chiede di farsi da parte capisce subito che le cose non si stanno mettendo bene […] Patrick viene preso in consegna dalla Sicurezza nazionale e interrogato in aeroporto e poi in cella. Gli chiedono di tutto: cosa faccia in Italia. Chi sia veramente. Perché abbia pubblicato post critici sul governo. E se abbia qualcosa a che vedere con la storia nera che da anni lega il Cairo e Roma: il sequestro e l’omicidio di Giulio Regeni per mano degli apparati di sicurezza egiziani. Non è un trattamento diverso dalla norma quello che lo studente dell’università di Bologna riceve: botte, scosse elettriche, cinghiate. Quando riappare - due giorni dopo - ­ è nel carcere di Mansoura, la sua città natale, un luogo che lui detesta perché troppo conservatore e troppo provinciale. Da qui è partito il primo ordine di cattura nei suoi confronti» [ibid.] • Cinque le accuse che potrebbero costargli 25 anni di detenzione: minaccia alla sicurezza nazionale, incitamento a manifestazione illegale, sovversione, diffusione di notizie false e propaganda per il terrorismo per dieci post di un account Facebook [Sole] • Il padre George Michael, che non ha notizie del figlio da due giorni, chiama Ghasser Abdel Razek, l’uomo che guida Eipr, un secondo padre per Patrick, che lo rassicura: «Lo tireremo fuori presto» • «Razek non è l’unico ad essere già in movimento. A Bologna il tam tam parte sui telefonini dei compagni di corso. “Patrick è stato arrestato”. Alla sera del quinto giorno sono già in piazza Nettuno coi cartelli #freepatrick. Sofia Selighini parla alla folla che le si stringe intorno: “Il nostro compagno di studi è in custodia cautelare in Egitto”. Hanno capito tutto, i suoi amici. “Se il procuratore deciderà di prolungare la sua detenzione abbiamo paura che questa situazione possa andare avanti a tempo indeterminato. Temiamo che a Patrick non venga data la possibilità di continuare a studiare. Non possiamo permettere che succeda”. Poi tocca a Giada, l’amica con cui aveva cenato l’ultima sera, che promette: “Ci saremo ancora, nei prossimi giorni”. Sono una ventina quella sera: diventano migliaia il 17 febbraio, dieci giorni dopo l’arresto» [Bonini, cit.] • «Il governo capisce: quattro giorni dopo l’arresto, l’ambasciatore italiano al Cairo, Giampaolo Cantini, incontra Mohamed Fayek, capo del Consiglio nazionale egiziano per i diritti umani. Il ministero degli Esteri dichiara che sta seguendo il caso. David Sassoli, presidente del Parlamento europeo, chiede il rilascio del ragazzo scatenando una crisi diplomatica fra Bruxelles e il Cairo, che lo accusa di “inaccettabile interferenza nel lavoro della magistratura egiziana”. Nelle settimane che seguono, la sorte di Zaki arriva fino al Congresso americano, dove il suo nome finisce nell’elenco che un gruppo di parlamentari invia all’ambasciatore egiziano a Washington con un monito al rispetto dei diritti umani nel Paese» [ibid.] • «Il 15 febbraio appare in aula stanco e affaticato: “Grazie per essere qui, Forza Bologna”, sussurra ai giornalisti che lo aspettano. Indossa la tuta bianca dei carcerati egiziani e scarpe senza lacci: l’espressione è smarrita e ancora infantile. Tratti che, con il passare dei mesi, il carcere cancellerà. Patrick questo non può immaginarlo e come lui nessuna delle persone strette nell’aula piena di fumo. Fa appena in tempo a raccontare della cella affollata in cui non riesce a dormire, della tosse che lo perseguita e della voglia di tornare a studiare. Poi, il giudice gli ordina di restare in silenzio. Al suo fianco c’è una presenza che nei mesi successivi diventerà fissa nel tribunale di Mansoura: si chiama Hoda Nasrallah ed è l’avvocatessa dell’Eipr. Un’amica personale per Patrick, ma soprattutto una legale che non ha paura di niente» [ibid.] • Il giudice ordina che il caso sia rinviato di una settimana. Sette giorni dopo, un nuovo rinvio, questa volta di quindici giorni. «Il 5 marzo 2020 viene trasferito nel carcere di Tora, al Cairo, considerato uno dei penitenziari peggiori al mondo. Nel frattempo la sua famiglia lancia un appello: Zaki soffre di asma e senza le sue medicine potrebbe peggiorare. In più, in quel periodo è scoppiata la pandemia di Covid in tutto il mondo e i genitori temono ancora di più per le condizioni del figlio» [Serafini e Scaglioni, cit.] • A marzo 2020 il Covid-19 arriva anche in Egitto e le autorità sospendono le visite e la presenza degli imputati in aula. Nessuno vedrà più Patrick fino al 27 luglio 2020. Solo ad agosto potrà ricevere la prima visita, quella di un parente stretto, che nel suo caso mamma Hala» [Bonini, cit.] • «Tra udienze non convocate e udienze svolte, ci saranno state almeno 20 occasioni in cui il giudice ha ritenuto che Patrick dovesse restare in carcere» dice Riccardo Noury, portavoce dell’organizzazione non governativa Amnesty International [Sole] • Il 7 dicembre il giudice della terza sezione del tribunale antiterrorismo del tribunale del Cairo annuncia il rinnovo per 45 giorni della custodia cautelare • «Nel corso di una mobilitazione internazionale, a chiedere la libertà di Patrick è l’attrice Scarlett Johansson. Il video con la star hollywoodiana fa il giro del mondo e contribuisce a riaccendere i riflettori sul caso» [Serafini e Scaglioni, cit.] • «Il 19 dicembre Patrick incontra nuovamente la madre nel carcere di Tora. “Sono fisicamente e mentalmente esausto, non ne posso più di stare qui e mi deprimo a ogni tappa dell’anno accademico mentre sono qui invece che con i miei amici a Bologna”, le racconta. In questi mesi la famiglia ha ricevuto solo due brevi lettere a fronte delle almeno 20 che il ragazzo aveva scritto e inviato» [Amnesty International] • Solo a dicembre del 2020 l’avvocatessa Nasrallah sarà ammessa a colloquio con il suo cliente. In tutto questo periodo, la sua richiesta resta senza risposta: nessuno le consegnerà le carte che l’accusa usa per tenere in cella Patrick • L’11 gennaio 2021, con delibera unanime del consiglio comunale, Patrick George Zaki diventa cittadino bolognese • «A raccontargli che non è solo e a far arrivare fuori le sue idee, i suoi ringraziamenti, i suoi pensieri, al Cairo ci pensa un team tutto femminile. C’è Marise, che dopo mesi di dinieghi sceglie di parlare per la prima volta, raccontando sul Venerdì di Repubblica chi è Patrick. C’è Reny che sceglie di rimanere nell’ombra ma è presentissima: nelle lettere che Patrick le invia dal carcere e che sceglie di far filtrare, nelle decisioni che famiglia e avvocati prendono. C’è Yosra, l’amica del cuore, anche lei nascosta ma con un ruolo di primo piano: tenere in piedi la campagna sui social network. E infine Hoda, l’avvocatessa, sempre timorosa di svelare la sua strategia ma decisa nel non fare mai un passo indietro di fronte al rifiuto delle autorità egiziane di mettere a disposizione della difesa i documenti che costituiscono l’atto d’accusa contro Patrick» [Bonini, cit.] • Con 208 sì, nessun contrario e 33 astenuti (la compagine di Fratelli d’Italia), il Senato approva la mozione che chiede la cittadinanza italiana per Patrick Zaki. Presente in aula anche la senatrice a vita, Liliana Segre: «C’è qualcosa nella storia di Patrick Zaki che prende in modo particolare, ed è ricordare quando un innocente è in prigione. Questo l’ho provato anch’io e sarò sempre presente, almeno spiritualmente quando si parla di libertà». La mozione è stata presentata dal senatore dem Francesco Verducci [Stefania Leo, sapere.it]. Tre mesi dopo anche la Camera approva, con 358 voti a favore e 30 astensioni, la stessa mozione • Si viene a sapere che in carcere Zaki legge Gabriel Garcia Marquez, Fedor Dovstoeskji e Nagib Mahfouz e anche Elena Ferrante • Dopo diciannove mesi, resta in piedi solo un’accusa «diffusione di notizie false per l’articolo pubblicato nel 2019 per il sito libanese Daraj, mentre quelle che gli imputavano attività sovversive sono crollate per assenza di prove» [Sole] • La svolta arriva il 12 novembre a Glasglow, in Scozia, dove alla conferenza Cop26 sul clima si annuncia che nel 2022 l’evento si svolgerà in Egitto, a Sharm el Sheik. «Da quel momento l’Egitto deve ripulire la sua immagine internazionale. È così che inizia a scarcerare tutta una serie di dissidenti che hanno legami con l’estero o a trattare con quelli di loro che sono in cella» [Bonini, cit.] • Il 7 dicembre la corte ordina il rilascio di Patrick. «Le indagini restano aperte: ma lui può seguirne lo svolgimento da casa. L’8 dicembre il momento che tutti aspettano: Patrick esce dal carcere di Mansoura, ancora vestito di bianco, con in mano gli abiti che la famiglia gli ha portato e che lui non ha voluto indossare per non perdere tempo. Fuori, la madre, la sorella, Reny e Yosra gli saltano al collo, quasi soffocandolo. “Grazie a tutti gli italiani, ai partiti politici che hanno preso a cuore il mio caso. E prima di tutto, Bologna: grazie. Bologna è la mia città, la mia università, la mia alma mater. Tornerò il prima possibile, perché lì c’è la mia gente”» [ibid.] • A Che tempo che fa, intervistato pochi giorni dopo, ha detto: «Mi sembra di essere in un sogno. Mi è mancato tutto. Gli amici, la mia famiglia, il cibo, i miei colleghi, i miei libri. Appena arrivato a casa mi sono fatto una doccia calda, avevo bisogno della sensazione dell’acqua calda addosso. Ho cercato di girare a mio favore ogni cosa successa, forte della mia innocenza e ho sentito la vicinanza della mia famiglia e di tutti i miei amici bolognesi. Fino a poche ore prima del rilascio ero molto preoccupato, poi improvvisamente mi sono ritrovato fuori. Ancora non ci credo. Quando mi hanno tolto le manette ero davvero confuso, davvero mi hanno lasciato libero?» [Giovanna Tedde, donnaglamour.it] • Il 28 gennaio annuncia di aver superato l’ultimo esame del primo semestre del master che non aveva potuto completare: un trenta e lode che segna il suo ritorno alla vita che ha sempre sognato. Rita Monticelli è in commissione: “In questo esame ho sentito concretamente cosa significhi diritto allo studio e la libertà di poterlo mettere in atto”, dice» [Bonini, cit.] • A ventiquattro mesi dall’arresto in Egitto Patrick Zaki si collega in video a Bologna per un breve saluto in occasione della presentazione del graphic novel all’oratorio San Filippo Neri di Una storia egiziana, il fumetto della giornalista Laura Cappon e dell’artista Gianluca Costantini, che racconta la biografia dello studente, dalle passioni all’attivismo, e la lotta di cittadini e istituzioni, in Italia, per chiederne la libertà. «Ho deciso di essere qua a Bologna perché ha fatto tanto per me» è il messaggio che ha rivolto alla sua città adottiva [Vista] • Sempre a febbraio, il giudice rinvia di nuovo il processo, pur confermandogli la libertà provvisoria. «Nel frattempo, in Ucraina scoppia la guerra e gli occhi del mondo si spostano lì. Ma distrarsi troppo in un caso come questo può essere pericoloso. “La diplomazia silenziosa non funziona con al-Sisi. Restare in silenzio vuol dire acconsentire a nuovi arresti, nuove torture, nuove morti orribili come quella di Giulio Regeni”, ammonisce l’ex prigioniero Shaat. Patrick, da parte sua, non si arrende: “Voglio tornare a Bologna e ci tornerò - dice - e voglio continuare a dire le cose che penso”. Ad aspettarlo, quando sarà, troverà molto più di una città e della sua università: un Paese intero» [Bonini, cit.] • Da ultimo ha aperto in videoconferenza il Wired Next Fest di Firenze. Prossima udienza al Cairo? Il 21 giugno.
Titoli di coda «L’unico fatto di cui sono sicuro è che alcune cicatrici non possono essere ritoccate. La cosa buona è che ora sono libero e spero che sarò libero anche alla fine».