17 giugno 2022
Tags : Jürgen Habermas
Biografia di Jürgen Habermas
Jürgen Habermas, nato a Düsseldorf (all’epoca Prussia, Germania) il 18 giugno 1929 (93 anni). Filosofo. Sociologo. «Io non ho mai avuto come obiettivo quello di raggiungere un vasto pubblico. Non vado nemmeno in televisione. Il mio mondo è quello dell’università. Ciò cui io miro non è avere tanti lettori, ma far circolare determinate idee» (a Markus Schwering) • Figlio di Ernst Habermas, direttore esecutivo della Camera dell’industria e del commercio di Colonia iscritto al Partito nazionalsocialista, fu egli stesso – come all’epoca tutti i maschi di età compresa tra i 10 e i 14 anni – membro della Deutsches Jungvolk, organizzazione statale nazista per preadolescenti, della quale, in qualità di paramedico titolare di corsi di primo soccorso, continuò a far parte anche in seguito, evitando così l’iscrizione alla Hitlerjugend. Nel febbraio 1945 riuscì a evitare anche l’arruolamento nella Wehrmacht, nascondendosi dalla polizia militare fino a quando gli statunitensi non ebbero occupato la zona. In seguito alla fine del conflitto Habermas concluse gli studi scolastici, e nel 1949, ottenuto il diploma liceale, «iniziò gli studi di filosofia, psicologia, storia, letteratura tedesca ed economia, prima alle Università di Gottinga (dal 1949 al 1950) e di Zurigo (dal 1950 al 1951), poi a Bonn (dal 1951 al 1954). Collaborò quindi come giornalista per vari testate, tra cui la Frankfurter Allgemeine Zeitung, Merkur, Frankfurter Hefte e Düsseldorfer Handelsblatt, occupandosi prevalentemente delle tendenze sociali e intellettuali del suo tempo» (Elisabeth Alber). «A dire il vero, Habermas non pensava di diventare un filosofo. Il suo primo intervento pubblico di rilievo fu un articolo del 1953 sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung, molto polemico verso Martin Heidegger. La sua attività come giornalista freelance si interruppe però nel 1954, quando Adorno lo invitò all’Istituto per la ricerca sociale di Francoforte a far parte di un progetto su “Studenti e politica”, che si concluse nel 1959. I rapporti con il direttore dell’Istituto, Horkheimer, erano intanto divenuti tesi per via di divergenze teorico-politiche, al punto che a Habermas fu impedito di sostenere la propria abilitazione a Francoforte, nonostante l’avesse completata. Fu così che chiese ospitalità a Wolfgang Abendroth (giurista e politologo socialista, esule dalla Germania Est), che gli permise di discutere nel 1961 quel lavoro che ben presto porterà molta notorietà a Habermas: Storia e critica dell’opinione pubblica. La trasformazione della sfera pubblica illuministica rimarrà uno degli assi portanti per la successiva teoria della democrazia deliberativa. Habermas fu poi accolto a Heidelberg come professore di Filosofia (1961-1964) da Hans-Georg Gadamer, il padre dell’ermeneutica contemporanea, che ebbe un’indubbia influenza sulla sua successiva elaborazione dell’interpretazione linguistica. Ma ancora una volta il dibattito politico fece capolino nella vita di Habermas con l’inizio delle rivolte studentesche» (Marina Calloni). «L’“eresia di Habermas”, come è stata definita, emerge fin dalla rievocazione della contestazione del ’68, quando il suo nome uscì dai ristretti confini della piccola repubblica della cultura. Evocando l’assalto all’“autoritarismo accademico”, gli studenti occuparono i locali dell’Istituto di ricerca sociale a Francoforte e T.W. Adorno fu costretto a interrompere il suo corso. Habermas accusò il movimento studentesco di “azionismo irrazionalista” e di “fascismo di sinistra”. “Linken Faschismus”, scandì Habermas. Di lì a poco la Rote Armee Fraktion avrebbe iniziato a uccidere con lo slogan “o porco o uomo”. Habermas respinse come “pseudo-rivoluzione” il rovesciamento dei rapporti sociali invocato da Rudi Dutschke, “Rudi il rosso” che diceva di lottare per un “socialismo per gli uomini”. Habermas non si rimangiò la clamorosa denuncia del ’68, anzi, un anno dopo scrisse: “Ho paura delle implicazioni irrazionali della rottura delle regole del gioco. L’uso della forza non è un mezzo accettabile di lotta politica”» (Giulio Meotti). «Habermas stava allora mettendo a punto un suo originale sistema, dove tradizione filosofica e confronto con altri modelli di pensiero si intrecciavano con la riflessione sulla logica delle scienze sociali, contro l’approccio positivista. Nel 1968 Habermas aveva scritto un saggio su Lavoro e interazione, dove aveva messo in luce la nozione di riconoscimento come elemento intersoggettivo che precede la relazione materiale fra soggetto e oggetto. La critica all’impostazione marxiana della priorità del lavoro sull’interazione sarà il perno attorno a cui ruoterà la teoria dell’agire comunicativo. Nel 1971, Habermas fu nominato direttore del Max-Planck-Institut di Starnberg per un’indagine sulle condizioni di vita nel mondo tecnico-scientifico. Si trattava di un’ulteriore sfida: lavorare con un gruppo di giovani ricercatori per lo sviluppo di un’inedita teoria sociale e per innovative ricerche empiriche. Da questa esperienza nacque l’imponente Teoria dell’agire comunicativo, dove, attraverso i concetti ideal-tipici di sistema e mondo della vita, l’autore tematizza i fondamenti di una teoria critica della società. […] Nel 1983 Habermas fece ritorno a Francoforte con una cattedra di Filosofia, che terrà fino al pensionamento nel 1994. Difficile riassumere il decennio francofortese, tanto fu denso sia di pubblicazioni filosofiche (dal discorso sulla modernità all’etica del discorso, fino al primo libro sul pensiero post-metafisico) che di scritti politici (dall’inclusione dell’altro alla costellazione post-nazionale alle rivoluzioni post-socialiste, fino al multiculturalismo). La curiosità intellettuale di Habermas lo portava a gettare ponti, a trovare luoghi di confronto e di scontro con altri modelli di pensiero. […] La scelta di ritirarsi a 65 anni dall’insegnamento attivo non ha impedito a Habermas di continuare a tenere conferenze, a sviluppare il pensiero post-metafisico, a scrivere di politica. I due ambiti principali che hanno ispirato la sua opera negli ultimi anni sono stati la questione della religione e la riflessione sul futuro della democrazia e dell’Ue» (Calloni). Nel 2019 Habermas diede alle stampe Auch eine Geschichte der Philosophie («Anche una storia della filosofia», attualmente in corso di traduzione presso Feltrinelli), «un’opera sorprendente per le sue dimensioni (due volumi, più di 1.700 pagine) e per i suoi contenuti. Una duplice sfida appare rapidamente chiara dalle pagine di Auch eine Geshichte der Philosophie: sfida alla interpretazione corrente della modernità come secolarizzazione e sfida alla “disintegrazione” accademica della filosofia in tante diverse tecniche. Da una parte il filosofo, erede e capofila della teoria critica, propone di interpretare l’intero progresso umano alla luce della “costellazione di fede e sapere”, e dall’altra richiama la filosofia al suo compito primario: rispondere alle grandi domande sull’origine e la destinazione dell’umanità, quelle sintetizzate da Kant più di due secoli fa: che cosa posso sapere? Che cosa devo fare? Che cosa posso sperare? Che cosa è l’uomo? Habermas vuole spingere i filosofi a riprendere un cammino, mai finito, anche nell’epoca attuale, che è post-metafisica. Il che significa che non possiamo più rifugiarci nel mito o nella garanzia di un Essere che faccia tutt’uno con il bene, il bello e il giusto e detti regole. Ma non dobbiamo rinunciare a un “pensiero generale”. […] Il problema cui Habermas dedica queste 1.700 pagine è proprio quello delle “fonti” della normatività, delle energie che tengono insieme e possono far crescere la solidarietà tra gli esseri umani. Per questo ha voluto fare la storia di queste risorse cercandone le tracce a partire dagli inizi di homo sapiens, nei tre millenni della “costellazione” religione-conoscenza-vita delle comunità. Dove stanno le chiavi che spiegano come dai riti degli ominidi siamo arrivati fino alla Costituzione americana del 1787, alla Carta dei diritti umani del 1948 o all’Unione europea? E, se le troveremo, non saranno queste le stesse chiavi che ci possono rimettere in cammino? Come preannunciato dalla riflessione “post-secolare”, fin dal dialogo del 2004 con il cardinale Ratzinger, e più recentemente con Verbalizzare il sacro, Habermas mette qui al centro del suo pensiero la religione, la dimensione sacrale e rituale che precede la formazione del linguaggio e della razionalità che il linguaggio incorpora. […] L’ipotesi di continuare ad attingere ai depositi di senso, alle “riserve semantiche” della religione appare ad Habermas plausibile» (Giancarlo Bosetti). «La modernità laica si è allontanata dal trascendente per delle buone ragioni, ma la ragione svanirebbe con la scomparsa di ogni pensiero che trascende ciò che esiste nel mondo nel suo insieme». In quanto al titolo, «l’“anche” è un avvertimento: ha lo scopo di attirare l’attenzione del lettore e della lettrice sul fatto di non trovarsi di fronte al lavoro di un gruppo di specialisti di storia della filosofia, bensì a un particolare modo di leggere la storia della filosofia. Ciò è dovuto al fatto che vado alla ricerca di un filo conduttore che accomuni diverse tradizioni filosofiche e che possa essere utilizzato per ricavare processi di apprendimento dalla storia di queste ultime. In particolare, vado alla ricerca di un processo di apprendimento che, a partire dai discorsi elaborati in Occidente su fede e ragione, sviluppi e giustifichi un concetto post-metafisico di libertà razionale. In questo senso, l’“anche” non è solo un gesto di modestia: serve infatti a prefigurare una forte rivendicazione sistematica» (a Marina Calloni, Michele Nicoletti e Stefano Petrucciani) • «A Habermas sono state conferite numerosissime onorificenze, tra cui il premio Hegel nel 1973, il premio Sigmund Freud nel 1976 e il premio Theodor W. Adorno nel 1980. Nel 2004 è stato insignito del premio Kyoto per la carriera, uno dei riconoscimenti internazionali più importanti nel campo della cultura e della scienza» (Alber) • Sposato, tre figli • Affetto da palatoschisi alla nascita, dovette essere operato in tenera età, e in seguito ricondusse alle alterazioni della pronuncia causategli dalla malattia l’origine del suo interesse nei confronti della comunicazione linguistica • «L’intellettuale di sinistra ritenuto il più importante filosofo tedesco del dopoguerra» (Andrea Tarquini). «Figura chiave del dibattito intellettuale internazionale. […] Nonostante le critiche mosse al sistema habermasiano, incentrate soprattutto sull’eccessivo ottimismo riposto nell’applicabilità concreta dell’agire comunicativo, Habermas ha avuto e continua ad avere una ragguardevole influenza sulla filosofia, la sociologia e le scienze sociali contemporanee. Sempre propenso al dialogo con gli sviluppi del pensiero etico e socio-politologico, Habermas è sempre stato e continua a essere un forte sostenitore degli ordinamenti kantiani sopranazionali, ma anche del modello di vita europea» (Alber). «Habermas è una specie di tomista dell’illuminismo, di cui classifica pedantescamente tutto ciò che è stato un tempo mobile, empirico e vitale» (Matteo Marchesini) • «Filosofia, politica e critica della società si intrecciano nella sua vita intellettuale fin dai primi esordi giovanili, attraversando i dilemmi del XX secolo, fino agli scenari globali del nuovo millennio. […] Habermas […] può essere considerato l’ultimo dei pensatori sistematici del Novecento, dove il principio post-metafisico dell’agire comunicativo diventa una filosofia della comunicazione discorsiva, quale “comprensione del mondo e del Sé, una volta abbandonata la competizione con la metafisica, la religione e le scienze esatte”. Habermas viene solitamente considerato come un rappresentante della seconda generazione della Scuola di Francoforte, fondata e impersonata da Max Horkheimer e Theodor Adorno. Tuttavia, nel corso del tempo, Habermas si è molto differenziato dall’impianto della dialettica negativa sostenuta dai “padri fondatori”, che ritenevano che la ragione fosse strumentale fin dagli albori dell’umanità. Habermas è venuto piuttosto a sostenere una concezione procedurale e normativa della ragione comunicativa, che si esprime attraverso più voci e mira a conseguire l’intesa attraverso il linguaggio, incarnato nella vita di tutti i giorni» (Calloni) • «La persona laica o non credente si comporta con indifferenza agnostica nei confronti delle pretese religiose di validità. Invece, nei confronti di dottrine religiose che conservano rilevanza pubblica a prescindere dalla loro infondatezza scientifica, i laicisti assumono un atteggiamento polemico. Oggi il laicismo si appoggia spesso a un naturalismo hard, cioè fondato su assunti scientistici. […] Io mi chiedo se un’ipotetica mentalità laicistica della gran massa dei cittadini non finirebbe per essere – ai fini dell’autocomprensione normativa di una società post-secolare – altrettanto poco desiderabile quanto una deriva fondamentalistica dei cittadini credenti. Questa domanda tocca, del disagio presente, radici più profonde di quanto non faccia il cosiddetto dramma del multiculturalismo» • «Vero liberale, capace di scrivere, contro i laicisti suoi allievi, che “il cristianesimo e solo il cristianesimo è la base definitiva della libertà, della coscienza, dei diritti umani e della democrazia, il punto di riferimento della civiltà occidentale. Attualmente non ci sono altre opzioni. Continuiamo ad abbeverarci da questa fonte. Qualunque altra cosa è una chiacchiera postmoderna”. Il filosofo francofortese ha distrutto anche tanti dogmi di sinistra, come quella che ha chiamato “eugenetica liberale”. Si è espresso contro l’interferenza inammissibile nella vita dei nascituri, fatta in nome del loro “bene”. Habermas ha denunciato i “lobbisti dell’ingegneria genetica”, il “futurismo naturalistico”, lo “shopping nel supermarket genetico” e “l’allevamento selettivo dell’uomo”. Habermas ha distrutto la zona grigia, quella dove è stata battezzata qualsiasi idiozia scientificamente corretta. Non è stato un ruffiano dell’ottimismo come John Rawls o un noioso di rango come Jacques Derrida. Un grande, piuttosto, che a differenza di tanti intellettuali pavidi ha avuto il coraggio di denunciare la designazione da parte dell’Unesco di Teheran come capitale mondiale della filosofia, mentre nelle galere della Rivoluzione islamica si strappavano le unghie a sociologi e filosofi. Habermas, un vero laico e liberale, contro i pericolosi teorici dell’engagement» (Meotti) • «Dall’inizio, da Storia e critica dell’opinione pubblica, mi sono interessato alle tensioni che esistono fra lo Stato costituzionale democratico e il capitalismo e alla contraddizione tra i princìpi in base a cui entrambi rispettivamente funzionano. […] Non vedo nessuna alternativa al corpo di princìpi dello Stato sociale democraticamente costituito. Ma oggi le nostre istituzioni democratiche diventano sempre più una semplice facciata per adattare lo Stato nazionale agli imperativi del mercato mondiale. In una società mondiale sempre politicamente frammentata, ma altamente integrata sul piano economico, non disponiamo di organizzazioni che possano compensare questo divario e dunque combinare la capacità di azione democratica e di controllo democratico. Mancano oggi le premesse minime per la formazione di regimi politici più ampi e meglio disposti a cooperare, i quali sarebbero in grado di addomesticare i mercati finanziari non regolati su scala mondiale al fine di diminuire le plateali disuguaglianze sociali che esistono all’interno delle società nazionali, ma soprattutto tra gli Stati e i continenti» (a Isabelle Aubert e Jean-François Kervégan) • «Da sempre l’Unione europea soffre di una mancanza di legittimità. Un deficit di legittimità che raggiunge il suo apice a causa di una politica delle crisi non solidale, che […] ha inciso profondamente sulla politica economica e sociale, soprattutto su quella degli Stati del Sud dell’Europa. Io considero la diseguaglianza sociale crescente all’interno degli Stati membri come la vera causa del populismo di destra. […] Il problema, ai miei occhi, consiste nel mantenere ciecamente lo status quo, poiché, in questo caso, la disposizione dei governi a cooperare diminuirà sempre di più mentre il populismo prospererà sempre più, e questo […] a spese della facciata, ad ogni modo sfregiata, dello Stato di diritto e della democrazia» • «L’atteggiamento che il filosofo deve assumere nei confronti della discussione pubblica non può più essere quello di una coscienza superiore, come accade in Platone. Il filosofo deve bensì porsi – come Socrate – quale cittadino tra i cittadini, desideroso di contribuire alla discussione corrente con un argomento chiarificatore. Nella migliore delle ipotesi, il filosofo può introdurre una nuova prospettiva per affrontare un problema pressante, o richiamare l’attenzione su una questione rilevante, ma rimossa. La filosofia dovrebbe contribuire alla discussione di temi politicamente dovuti. […] Gli atteggiamenti che i filosofi assumono dipendono naturalmente da attitudini personali. Alcuni si sentono più a loro agio di altri nell’intervenire come giornalisti occasionali in discussioni di attualità. Ma non deve con ciò diventare un dovere professionale generale. […] La filosofia non dovrebbe essere concepita come una disciplina specialistica tra le altre, poiché dovrebbe mantenere in sé ben salda la coscienza di poter apportare un contributo alla chiarificazione razionale in relazione al modo in cui comprendiamo il mondo e noi stessi».