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 2022  giugno 20 Lunedì calendario

Biografia di Edward Snowden (Edward Joseph S.)

Edward Snowden (Edward Joseph S.), nato a Elizabeth City (Carolina del Nord, Stati Uniti) il 21 giugno 1983 (39 anni). Tecnico informatico. Ex spia. Già dipendente della CIA, che lo aveva reclutato perché si occupasse di sicurezza informatica. Già consulente per la National Security Agency americana. Divenuto famosissimo nel 2013, per aver passato al Guardian e al Washington Post migliaia e migliaia di documenti riservati che svelavano l’esistenza di un programma segreto di intelligence di sorveglianza di massa in tutto il mondo (con buona pace della privacy) • «La talpa del Datagate» • «La gola profonda» • «Il traditore» • «La spia» • «Il nemico della democrazia» • «L’alleato dei terroristi» • «La quinta colonna degli Stati canaglia» • «Per una parte d’America è diventato un traditore, per altri un simbolo della libertà e della lotta per la trasparenza del potere» (Raffaella Menichini, Rep 28/2/2022) • «Oggi vive in esilio in Russia da quel 23 giugno 2013 in cui atterrò all’aeroporto Sheremetyevo di Mosca, mentre era in volo da Hong Kong verso l’Ecuador di Rafael Correa. Subito dopo le sue rivelazioni, infatti, gli Stati Uniti lo avevano immediatamente incriminato con l’Espionage Act, una draconiana legge del 1917 che non fa alcuna distinzione tra le spie che passano documenti segreti al nemico e i whistleblower che li passano alla stampa per denunciare crimini di guerra, torture, sistemi orwelliani di sorveglianza. È la stessa legge per cui oggi il fondatore di WikiLeaks, Julian Assange, rischia 175 anni di prigione» (Stefania Maurizi, Fatto 20/6/2021) • Oliver Stone gli ha dedicato il film Snowden (2016), in cui è interpretato dall’attore Joseph Gordon Levitt (lui fa un cameo nelle scene finali) • La sua autobiografia Permanent Record (trad. it. Errore di Sistema, Longanesi, 2019) inizia così: «Mi chiamo Edward Joseph Snowden. Un tempo lavoravo per il governo, ora lavoro per le persone. Mi ci sono voluti trent’anni per capire che c’era una differenza tra le due cose e, quando è successo, ho iniziato ad avere qualche problema sul lavoro».
Titoli di testa «Immaginate di aprire il vostro computer e di trovare sul desk un documento non redatto da voi che raccolga in ordine tutti i dati della vostra vita. Quando vi siete diplomati, la foto in cui siete allo stadio, il documento della patente, gli audio mandati su WhatsApp. E poi, scavando, ogni singolo dettaglio: una foto di quando eravate ubriachi a una festa dieci anni fa, il dettaglio di un bacio dato alla moglie del vostro migliore amico che entrambi avete giurato di non raccontare e di non far accadere mai più. E ancora: l’elenco di tutti i porno che avete visto, la mappatura di ogni commento stupido e sessista detto in una telefonata. Un selfie da nudi, la foto fatta al compleanno di vostra madre, un video al museo del Louvre. Ebbene, questo documento esiste. O meglio, potrebbe esistere e non è una fantasia distopica, né un’esagerazione: la persona che di tutto questo ha portato prova, documentazione, esperienza diretta ce l’ho davanti ai miei occhi ora ed è Edward Snowden» (Roberto Saviano, Rep 13/9/2019).
Vita Famiglia americana come tante. Il padre, Lonnie Snowden, ufficiale della Guardia Costiera. La madre, impiegata presso la corte federale del Maryland. Una sorella, avvocato • Edward è il classico ragazzino nerd. Introverso ma intelligente. Fragile ma idealista. Epilettico. Passa le giornate su internet e ai videogiochi. «So bene quale luogo tossico e insano sia diventato oggi il web, ma dovete capire che per me, quando ci sono entrato in contatto per la prima volta, internet era qualcosa di totalmente diverso. Era come un amico, un genitore» • «Il suo primo hackeraggio lo fa a sei anni quando, per andare a dormire due ore dopo l’ordine della madre, cambia l’orario di tutti gli elettrodomestici di casa, riuscendo a ingannare la famiglia. La sua prima operazione importante a sedici anni, quando scopre che il sito di Los Alamos può essere “bucato” per trovare documenti a uso interno. Chiamano a casa, la madre crede che abbia fatto danni, invece vogliono assumerlo, ma non sanno che è minorenne» (Saviano) • Il giovane Edward simpatizza per i repubblicani. «Orgoglioso possessore di armi, sogna di entrare nell’esercito. Quello fu, forse, il suo più grande fallimento: nel 2004 si arruolò in Georgia, a Fort Benning […] “Volevo combattere in Iraq perché mi sentii obbligato, come essere umano, ad aiutare le persone a liberarsi dall’oppressione”. Ma il campo di addestramento non andò come sperato, soprattutto a causa di limiti fisici – il ragazzo vedeva poco e aveva piedi troppo stretti – e di un infortunio: durante un’esercitazione di fanteria si ruppe entrambe le gambe, e fu rimandato a casa» (Valerio Bassan, Linkiesta 5/2/2014) • Decide di ripiegare sull’informatica. Nel 2005, a 22 anni, diventa addetto alla sicurezza presso il Centre for Advanced Study of Language dell’università del Maryland. Il suo talento è indiscutibile. Impara facilmente. Fa carriera in un lampo • Nel 2006 è assunto dall CIA, deve curare la sicurezza dei computer dei diplomatici in servizi. Per un periodo presta servizio all’ambasciata americana a Ginevra, in Svizzera. «Lì vidi cose che mi disillusero riguardo alla funzioni del mio governo e del suo impatto nel mondo. Capii di essere parte di qualcosa che faceva più danno che bene». Decide di licenziarsi • Nel 2009 è alla Dell Inc., specializzata in calcolatori e sistemi informatici. L’azienda, visti i suoi trascorsi, lo manda in una base militare in Giappone, a seguire dei progetti della Nsa, «un leviatano grande tre volte la CIA, dipendente direttamente dal Pentagono, capace di assorbire da sola un terzo del budget che gli Stati Uniti riservano all’intelligence (85,8 miliardi di dollari solo nel 2020)» (Maurizi) • «Il periodo trascorso nel Paese asiatico, in cui sognava di vivere sin da piccolo, fu per Edward un momento di ulteriore svolta, e trasformò la sua disillusione in necessità di reazione. “L’intento della NSA era di venire a conoscenza di ogni conversazione e di ogni comportamento in tutto il mondo”» (Bassan). Quando scoppiano le primavere arabe, mentre i giovani di mezzo mondo morivano per combattere i regimi che fermavano il web e i social, comincia a sentirsi in colpa. «Per tutto il Medio Oriente civili innocenti vivevano sotto la costante minaccia della violenza; lavoro e scuole erano paralizzati, mancava l’elettricità, niente fognature. In molte regioni la gente non aveva accesso neppure alle cure mediche più basilari. Ma se in ogni momento dubitavo che le mie ansie sulla sorveglianza e la privacy fossero rilevanti, o addirittura appropriate, di fronte a tali privazioni e pericoli immediati, dovevo soltanto fare più attenzione alle folle per la strada e alle proclamazioni che facevano, al Cairo come a Sana’a, a Beirut come a Damasco, e poi ad Ahvaz, nel Khuzestan […] Le folle reclamavano la fine dell’oppressione, della censura, della precarietà. Sostenevano che in una società veramente giusta non erano le persone a dover rispondere al governo, ma era il governo che doveva rispondere alle persone». Poco alla volta, il suo genio informatico comincia a essere accompagnato da comportamenti eccentrici: indossa spesso un cappuccio con una parodia del logo della NSA, gira per i corridoi maneggiando un cubo di Rubik, tiene una copia della Costituzione sulla scrivania • Deve fare qualcosa. Ormai ha deciso. Gli manca solo il tassello fondamentale: l’accesso a una grande mole di informazioni riservate. «Quando capitò l’occasione era il 30 marzo 2013, l’offerta di lavoro portava l’intestazione di Booz Allen Hamilton, un grande contractor privato con sede alle Hawaii, con funzioni di manutenzione e consulenza nella NSA. Snowden diventò uno dei 1000 sysadmins in grado di accedere ai file della Agency statunitense come ghost user, ovvero senza lasciare tracce tangibili della sua presenza. Dopo aver raccolto quantità industriali di dati top secret (il “come” abbia tecnicamente raccolto le informazioni e i documenti è ancora oggetto di dibattito), Snowden cominciò a contattare il giornalista Glenn Greenwald e la filmmaker Laura Poitras, del Guardian, che sarebbero poi divenuti i due compagni nel suo viaggio più avventuroso» (Bassan) • Gleen Greenwald inizialmente è molto scettico («Era troppo vago»). Si incontrano per la prima volta in un hotel nel centro di Hong Kong. Il video registrato in quell’albergo diventa il più visto nella storia del Guardian. «La nostra conoscenza di questo ragazzo cominciò per noi proprio da quel video, quell’inquadratura semplice, quel viso pallido di chi sta troppo davanti al computer e poche, elementari parole: “My name is Ed Snowden, I’m 29 years old”» (Bassan, guarda il video qui).
Esilio Snowden, progressivamente, passa alla stampa le prove del programma XKeyscore, in grado di leggere qualsiasi email. Poi svela PRISM, un programma di sorveglianza utilizzato per monitorare chat, videochat, comprese quelle via Skype. E poi Tempora, che il governo britannico utilizzava per spiare le cancellerie europee • Bum! Uno scandalo. Milioni di americani scoprono di essere schedati. La stampa si scatena. Nasce un dibattito: chi è Snowden? Un eroe civile, nella miglior tradizione dei whistleblower americani, che sfidano censura e conformismo per il bene comune? O uno che, agendo in questo modo, fa il gioco dei russi, degli iraniani, dei cinesi? • «In genere i secchioni sono cretini, ma Edward non è un cretino perché si sente un idealista: “Non mi nascondo perché non ho fatto nulla di male e anzi ho fatto quel che mi ha dettato la coscienza: informare il pubblico, il mondo, i cittadini americani. Siete tutti spiati, il governo controlla tutti i vostri messaggi e la vostra vita”. E dunque siamo nel campo del fattore umano, piuttosto che in quello della talpa. Edward si sente un crociato della società americana originaria basata sui cardini della libertà, del diritto a vivere e cercare la propria strada verso la felicità» (Paolo Guzzanti, Giornale 12/6/2013) • Molti notano: è normale, nel mondo dei servizi segreti, che tutti spiino tutti. Vincent Cannistraro, già direttore della Cia a Roma: «Non si tratta di spionaggio a tappeto su tutti i cittadini, ma di immagazzinaggio di dati elettronici e telefonici da usare esclusivamente nella lotta contro il terrorismo. Anche i Paesi nostri alleati, l’Italia ad esempio, hanno un programma di intercettazioni più o meno simile al Prism della nostra National Security Agency o Nsa. Non soltanto: noi, voi, gli inglesi, i tedeschi, i francesi, insomma tutti gli Stati membri della Nato si scambiano le informazioni così ottenute per difendersi dal nemico comune». Quanto alle telefonate immagazzinate «un dato può sembrare inutile per 5 anni, poi d’improvviso diviene cruciale» • Sia come sia, «è facile immaginare che Barack Obama, se potesse, infilerebbe Snowden a Guantanamo sicuro di non vederlo mai più» (Paola Peduzzi, Il Foglio 11/6/2013) • Snowden chiede asilo politico a 15 Paesi. Vorrebbe andare in Islanda. Mentre vola da Hong Kong all’Ecuador, scopre che da Quito gli hanno negato il permesso d’atterrare, ed è costretto a rimanere per 40 giorni nel terminal F dell’aeroporto di Mosca. Vladimir Putin, dell’intera vicenda, aveva detto «È come la tosatura di un maialino: poco pelo e molti strilli». Eppure si dice disposto a ospitarlo permanentemente, «a condizione che cessi le sue attività indirizzate a danneggiare i nostri partner americani, per quanto strano questo possa sembrare sulle mie labbra» • Inizia così la sua vita in Russia • Julia Ioffe, giornalista: «Snowden si siederà nella sua piccola cucina moscovita, bevendo Nescafè mentre Svetlana cucina qualcosa di unto e insapore, e lui siederà a fissare il suo caffè nero istantaneo, odiandola».
Amori «Snowden non ha sposato nessuna Svetlana. Si è unito in matrimonio alla sua fidanzata storica, l’americana Lindsay Mills, che si è trasferita a Mosca e sei mesi fa hanno avuto un bambino» (Maurizi, 6/2021).
Denari Grazie alle conferenze pubbliche tenute tra il 2015 e il 2020, ha incassato 1, 2 milioni di dollari.
Commenti «Il giovane Snowden fa parte dell’ultima generazione di ribelli al potere governativo in nome dello spirito della rivoluzione e della Costituzione […] Diciamo che due terzi dell’America sono oggi soddisfatti delle iniziative del presidente, il quale autorizza personalmente gli omicidi mirati di terroristi, fra cui anche cittadini americani di origine asiatica. Obama fa abitualmente ciò che Bush ancora non aveva il potere di fare: leggere un dettagliato rapporto su un supposto terrorista, decidere di ucciderlo e far partire un drone che colpirà il bersaglio sotto gli occhi delle telecamere che trasmettono nella Situation room della Casa Bianca. Nel luglio del 2006 fece scalpore una legge fatta passare da Vladimir Putin alla Duma con cui si autorizzava il presidente russo a consentire l’eliminazione fisica di chiunque fosse considerato “nemico della patria russa” e in qualsiasi luogo si trovi. Gli Stati Uniti hanno il loro apparato di legittimazione nel Patriot Act passato dal Congresso americano su richiesta del presidente Bush a un mese e mezzo dall’undici settembre 2001, in forza del quale gli Stati Uniti, considerandosi un Paese in guerra contro il terrorismo, usano leggi di guerra che prevedono il monitoraggio di tutte le forme di comunicazione civile fra i cittadini. Come sappiamo, sono stati in particolare gli utenti della compagna Verizon a cadere sotto lo spot del potere. Ma il potere afferma, per bocca dello stesso Obama, che questo è l’unico modo per prevenire attacchi, di averne anzi sventati almeno due di grandi proporzioni grazie al monitoraggio e aggiunge che in realtà non vengono ascoltate le conversazioni ma soltanto incrociati i dati di partenza e arrivo. È a questo punto che un tecnico civile, trovandosi in mezzo alle macchine tecnologiche usate dall’ultima versione del grande fratello, sente il richiamo del ribelle, impersonato nella mitologia americana da Yankee Doodle che se ne va alla guerra su un ronzino spelacchiato e la piuma sul cappello, e fa il grande passo: rivela, sputtana, mette allo scoperto, imbarazza e si chiama addosso la maledizione del potere, sicché annuncia di voler fuggire in Islanda, l’isola felice dei nuovi partigiani del web libero e della tutela delle libertà. Così facendo Edward Snowden incarna un’altra icona: quella di Robert Redford nei Tre giorni del Condor dove un altro contrattista della Cia, chiamato soltanto a leggere romanzi e a riassumerne le trame, si trova coinvolto nel gioco del potere che lo porterà a consegnare il suo dossier non al Guardian di Londra, ma al New York Times. Condor-Redford scoprirà però che il suo gesto plateale sarà del tutto inutile: “Cretino” gli dice il direttore della Cia nell’epilogo del film “tu pensi davvero che pubblicheranno? E poi, ammesso pure che pubblichino, che cosa pensi che cambi?”» (Guzzanti).
Curiosità Ha una sua newsletter su Subtrack • Appare nel videoclip The Veil, composto da Peter Gabriel, per il film di Olver Stone su di lui • Usa un Mac Book su cui girano programmi di crittazione • Consiglia di non utilizzare una password, ma una passphrase («Una password può essere scoperta in otto secondi. Una frase lunga, che componiamo nella nostra mente ricorrendo ai nostri ricordi e alla nostra esperienza, è unica e come tale può essere difficilmente scoperta») • Dice sempre che la NSA può trasformare in un microfono un telefono cellulare anche se è spento • Quando racconta la sua storia, dice: «Hanno hackerato la Costituzione» • A un certo punto il governo americano ha ordinato il sequestro di 5,2 milioni di dollari che l’ex contractor ha accumulato tra discorsi e royalties del suo libro: a Washington ritengono che, essendo un ex dipendente della Cia e della Nsa, prima di scrivere e tenere conferenze, doveva sottoporre i suoi testi alla loro revisione • «Non puoi pensare che non ti interessa la privacy perché non hai nulla da nascondere, sarebbe come dire che non ti interessa la libertà di stampa perché non ti piace leggere o che non ti importa della libertà di culto perché non credi in Dio» • «Internet non è più un bambino, è un adolescente in preda a sentimenti diversi, che fa ancora fatica a comprendere. Sono convinto che la tecnologia maturerà e che maturerà la nostra relazione con essa: un giorno cominceremo a ragionare, non sarà più l’emozione a farci cliccare un link. E ci renderemo finalmente conto del valore della nostra partecipazione» • Da buon americano, anche ora che è a Mosca, mangia la pizza con i peperoni e beve Coca Cola • «Non senti di non star praticando i tuoi valori vivendo in Russia? “Molte persone dimenticano che non è stata una mia scelta vivere in Russia. Ero a Hong Kong in viaggio verso l’America latina quando il governo americano, l’ex segretario di stato John Kerry, mi ha annullato il passaporto e sono atterrato in Russia. Di sicuro avrei potuto collaborare con la Russia e dire che era il posto più sicuro del mondo per una persona come me e mi avrebbero accompagnato in limousine fino all’hotel, ma ho rifiutato. Mi è costato molto negli anni. Sono stato intrappolato in quell’aeroporto per circa 40 giorni. Da lì ho fatto domanda di asilo in 27 Paesi nel mondo, inclusa l’Italia, ma anche Francia, Germania, Norvegia: i Paesi che immaginiamo rispettino i diritti umani. Ma ogni volta che si arrivava alla decisione e pensavamo fosse una decisione positiva, i miei legali sentivano che una di “quelle due persone” aveva chiamato i ministri degli Esteri di quei Paesi, e quelle due persone erano John Kerry, il segretario di Stato o il vicepresidente Joe Biden. E così ero intrappolato. Non sapremo mai perché i russi mi lasciarono uscire dall’aeroporto, ma al momento ero l’uomo più ricercato al mondo. C’erano giornalisti che si affollavano là fuori tutti i giorni. Ho avuto un asilo temporaneo, per un anno, e dopo quell’anno non mi è più stato garantito asilo. Non ho più scorta, agenti di protezione, vado in metropolitana, prendo il taxi e pago l’affitto come chiunque altro. È una situazione rischiosa e non ne ho il controllo, ma la realtà è che il motivo per cui mi va bene vivere così, nonostante sia frustrante, - per quanto io abbia criticato il governo russo per le sue politiche di sorveglianza, per la gestione delle elezioni politiche, per come vengano effettuate e abbia supportato le proteste - è che se il governo americano o i loro amici provassero a uccidermi, confermerebbero la mia teoria, perché io non ho fatto nulla per danneggiare il mio governo. Volevo aiutarlo. Ciò che ho iniziato a fare, con questo lavoro di giornalismo, non è un atto di rivoluzione, ma un atto di ritorno agli ideali degli Stati Uniti. E penso che sia la parte più tragica della mia presenza in Russia che, ripeto, non è voluta da me”» (Saviano) • Si dice disposto a tornare negli Usa se nei suoi confronti ci sarà «un giusto processo» • Greenwald, del Guardian, ha vinto il premio Pulitzer.
Titoli di coda «Ti sei mai pentito? “Mai. Anzi mi sono pentito solo di una cosa”. Quale? “Di non essermi fatto avanti prima. Rimpiango ogni anno che ho impiegato a decidere in cosa credessi, per rendermi conto di ciò che succedeva e decidere di fare qualcosa”» (Saviano).