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 2022  giugno 22 Mercoledì calendario

Biografia di Zinédine Zidane (Zinédine Yazid Zidane)

Zinédine Zidane (Zinédine Yazid Zidane), nato a Marsiglia (Francia) il 23 giugno 1972 (50 anni). Allenatore di calcio (2014-2021: Real Madrid Castilla, Real Madrid). Ex calciatore, di ruolo centrocampista (1988-2006: Cannes, Bordeaux, Juventus, Real Madrid; Nazionale francese). Vincitore di un Pallone d’oro (1998) e del titolo di Miglior giocatore del mondo Fifa (1998, 2000, 2003). Tra i numerosissimi trofei conquistati, in qualità di calciatore, un Campionato mondiale (1998), un Campionato europeo (2000), una Coppa dei campioni (Real Madrid, 2001/2002), due Supercoppe Uefa (Juventus, 1996; Real Madrid, 2002), due Coppe intercontinentali (Juventus, 1996; Real Madrid, 2002), due Campionati italiani (1996-1998), una Supercoppa italiana (1997), un Campionato spagnolo (2002/2003), due Supercoppe di Spagna (2001, 2003); in qualità di allenatore del Real Madrid, tre Coppe dei campioni (2015-2018), due Supercoppe Uefa (2016, 2017), due Coppe del mondo per club (2016, 2017), due Campionati spagnoli (2016/2017, 2019/2020) e due Supercoppe di Spagna (2017, 2019). «Ci sono quelli che sognano di, e poi c’è Zidane» (Alessandro Tommasi) • Figlio di una coppia di algerini di ascendenze berbere emigrati nel 1953 a Parigi e in seguito stabilitisi, per ragioni di lavoro, nel sobborgo marsigliese di La Castellane. Lì il padre, Smaïl Zidane, «lavora come magazziniere e ha già altri 4 figli (3 maschi, Djamel, Farid e Nordine, e una femmina, Lila) quando […] nasce Zinédine Yazid Zidane. Una “tribù” affiatata, quella di casa Zidane, dove la semplicità e il rispetto sono basilari regole di vita. […] “Yaz” (così lo aveva soprannominato la sorella Lila) cresce tra abbuffate di calcio in tv, poca voglia di studiare e tanto, tanto sport, attraverso cui scaricare la sua grande vitalità. Calcio, certo, ma anche discese mozzafiato con lo skateboard e judo: “Lo ha praticato fino a undici anni, diventando cintura arancione: era sempre pieno di lividi, ma non si arrendeva mai”. Ed era anche instancabile, al punto che anche dopo aver firmato il primo tesserino, a 8 anni, per il club di Saint-Henri, continuerà a praticare anche il judo. […] La scuola di Zidane è stata quell’incomparabile fucina di talenti che sa essere solo la strada. È lì […] che Zidane ha affinato la sua incomparabile tecnica: “L’ho appresa sulla strada, giocando per divertimento e per impressionare gli amici, creando movenze solo mie. È lì che si imparano le cose più belle e inimitabili”» (Stefano Salandin). «Bisogna immaginare un bambino che gioca in una strada popolare di Marsiglia. […] Insieme al bambino, che si chiama Zinédine, c’è suo fratello, che si chiama Djamel. […] Solo un vantaggio ha Djamel rispetto a Zinédine: sa fare la veronica. Nel senso che gli riesce un giochetto che prevede di girare attorno al pallone, spostandolo appena con la suola della scarpa, il pallone quasi fermo e il giocatore che gli ruota intorno. […] Quella cosa che gli spagnoli chiamano “ruleta” (sarebbe la roulette) e non veronica. […] Alla fine, Zinédine convince Djamel a renderlo partecipe del segreto: sarà, calcisticamente parlando, l’inizio di Zidane e la fine del fratello di Zidane. […] “Ci ho messo sette anni, per imparare la ruleta: sette anni di calcio in strada per sei ore al giorno”, ha detto» (Maurizio Crosetti). «Ma quella della strada è stata anche una grande scuola per il carattere. […] “Provengo da un quartiere duro, dove non si cerca mai la bagarre fine a se stessa, ma, se vieni provocato, non puoi far finta di niente. Io detesto la violenza e l’ingiustizia e sopporto i colpi degli avversari. Fino a quando arrivo al punto in cui non ce la faccio più: allora mi ribello ed esplodo”. Uno di poche parole, insomma, ma tutt’altro che timido e pauroso, al punto che i compagni più vecchi lo avevano nominato capitano ed era lui a strigliarli quando perdevano. […] Tra una partita e l’altra da raccattapalle, Zidane comincia a giocare in squadre “vere”. Prima l’associazione Nouvelle Vague di La Castellane, […] poi il Saint-Henri. Gli avversari erano impressionati dalla sua forza e dal suo fisico, tanto che il padre, ogni volta, doveva esibire i documenti per confermarne l’identità. Ma anche i compagni restavano spesso di stucco quando lo vedevano esibirsi in certi “numeri” d’alta scuola. Zidane giocava nello Sports Olympiques di Septèmes, un piccolo centro a nord di Marsiglia: un campo di sabbia che non intaccava la sua classe. “Una volta – ricorda un compagno – stavamo vincendo per 2-1 una gara importante e, nel finale, arrivò un pallone fortissimo nella nostra area. Lui, invece di liberare, stoppò il pallone e lo fece passare sulla testa di un avversario prima di far partire il contropiede”. Un fenomeno simile, ovviamente, non poteva passare inosservato» (Salandin). «Zinédine Zidane lasciò Marsiglia per il centro di formazione di Cannes a tredici anni. Jean Varraud, all’epoca osservatore del Cannes: “Un giorno andai a Aix-en-Provence per vedere un ragazzino promettente, si chiamava Monachino. Selezione del Mediterraneo contro il Marsiglia. Monachino non giocò: al suo posto col numero 11 giocò Yazid, […] che saltò la seconda frazione e rientrò nella terza, come libero. Da libero giocò esattamente come da ala: dribblando tutti quelli che incontrava. Presero un paio di gol per colpa sua. Alla fine attraversai il campo e dissi: ‘Mi interessa quel ragazzo’. Risposta: ‘Se lo può prendere anche subito: è troppo violento’. Non era un violento: era un guerriero di calcio da strada. A me interessavano la qualità, i piedi, che erano già come quelli di adesso. Usava poco testa e sinistro, ma il destro passava da una parte all’altra del pallone a una velocità impressionante. Incredibilmente, nessuno se ne era accorto”» (Luigi Garlando). «Il 20 maggio del 1989, un mese prima di compiere 17 anni, l’allenatore Fernández lo fa debuttare in prima divisione contro il Nantes, in trasferta: “Pareggiammo 1-1 e mi guadagnai un premio di 5 mila franchi: ero pazzo di gioia”. Una felicità che sarebbe diventata ancora più grande quando, un anno dopo, vede le luci della Croisette riflettersi sul parabrezza della sua auto nuova: una Clio rossa che il presidente Pedretti gli aveva regalato per festeggiare il suo primo gol in Serie A, sempre contro il Nantes. […] L’ultimo anno a Cannes è pieno di difficoltà: la squadra retrocede, e anche Zidane, salito giovanissimo alla ribalta nazionale, paga una normale crisi di maturazione. Niente, però, che possa scoraggiare chi crede in lui: come Rolland Courbis, marsigliese appena nominato allenatore del Bordeaux. Così, nell’estate del 1992, Zidane conosce i profumi di un altro mare: quelli dell’Oceano che spazza con le sue maree l’estuario della Garonna. […] “Ho scelto il momento giusto per il gran salto – commenta a posteriori Zidane –: quel club è stato il mio trampolino di lancio, e devo ringraziare Courbins (il tecnico che ha coniato il soprannome Zizou), che mi ha fatto crescere sia dal punto di vista umano che professionale”. […] Anche l’avventura con la Nazionale inizia da Bordeaux. Jacquet lo convoca il 17 agosto 1994 per sostituire l’infortunato Djorkaeff. La Francia gioca in amichevole, contro la Repubblica Ceca, proprio a Bordeaux. […] Le cose si mettono male per i francesi, che perdono 2-0, fino a quando Jacquet si decide a mandare in campo Zidane: è lui a pareggiare, prima con una stupenda azione personale e poi con un colpo di testa» (Salandin). Nel frattempo, con il Bordeaux stava vivendo «quattro anni pieni di soddisfazioni, ma anche qualche intemperanza, espulsioni futili per falli di reazione che costelleranno tutta la sua carriera. L’acme comunque è un formidabile 3-0, nel 1996, con cui i girondini ribaltano, in Coppa Uefa, lo 0-2 subìto all’andata dal grande Milan di Maldini, Baggio e Weah. Zizou è decisivo con i due assist per Dugarry. Il Bordeaux arriverà poi in finale, battuto dal Bayern Monaco. Queste prestazioni eccezionali gli valgono la chiamata alla Juventus di Lippi l’anno successivo, per 7,5 miliardi di lire (meno di 4 milioni di euro). In bianconero arriveranno due scudetti, una Coppa intercontinentale, una Supercoppa italiana e una Supercoppa Uefa. Anche se mancherà l’alloro più grande, battuto due volte in finale di Champions» (Matteo Cruccu). «Una volta mi fa: “Sai qual è la cosa che più mi piace di Torino? Le partite con gli immigrati davanti alla stazione di Porta Nuova, la sera. Sono cresciuto in periferia e ho sempre giocato per strada con quelli come me. Integrazione vuol dire stare insieme a loro senza alzare muri”. Una volta fu beccato da Lippi. Il mister prima non vuol credere ai suoi occhi, poi lo squadra, pensa “Questo è matto” e se ne va» (Massimo Giletti). «“Da grande voglio giocare una finale dei Mondiali e segnare”: questo scrive il piccolo Zidane in un tema da bambino. Accadrà per davvero, anzi ne farà due, di gol, nel 1998 ai Mondiali casalinghi contro il Brasile del fenomenale Ronaldo, al culmine di una traiettoria anch’essa significativa: con uno dei suo famosi colpi di testa (non calcistici), Zizou viene espulso contro l’Arabia Saudita. Squalificato, ritornerà ai quarti, in tempo per battere gli azzurri ai rigori e condurre i transalpini fino al trionfo definitivo. E a fine anno sarà Pallone d’oro per lui» (Cruccu). «Da qui la leggenda metropolitana che il francese si impegnasse di più con la sua nazionale che in bianconero. Falsità virali di tifosi che preferivano Del Piero o che scambiavano per altezzosità la riservatezza di Zidane, abituato a farsi i fatti suoi e a lavorare duro, per mantenere il talento donatogli dalla natura. […] Torino, per Zizou, è stata la città dell’incontro con Carlo Ancelotti, suo allenatore alla Juve tra il 1999 e il 2001. Alchimia immediata e duratura. […] Zidane lasciò la Juve nel 2001, ceduto al Real Madrid per 150 miliardi di lire, plusvalenza mostruosa» (Sebastiano Vernazza). «Ricordo le sensazioni del mio primo giorno al Bernabéu, quando il Real mi comprò dalla Juventus. Non avevo mai neppure giocato lì, fui presentato al pubblico, provai un’emozione indimenticabile, come uomo e come calciatore, e mi dissi: “Qui starò da dio. E farò cose meravigliose”» (ad Andrea Sorrentino). «Zizou ripagherà il Real di simile stratosferica spesa vincendo anche qui una Liga e una Coppa intercontinentale. E soprattutto la Champions del 2002, dove siglerà un gol al volo straordinario, nella finale contro il Bayer Leverkusen, entrando nella leggenda» (Cruccu). «Nel febbraio 2006 Pérez si dimise, schiacciato da 3 stagioni senza vittorie, a maggio Zizou giocò contro il Villarreal la sua ultima gara al Bernabéu. Se ne andò lasciando il campo in lacrime e tenendo sulle spalle la maglia di Riquelme, un Diez come lui. I giocatori del Madrid sulla maglia avevano una scritta: “Zidane 2001-2006”, gesto di eccezionale stima. […] Zinédine fece in tempo a perdere la finale mondiale contro di noi, chiudendo con la 14a espulsione una carriera vissuta sempre sul filo dei nervi, tra banlieue e grandeur» (Filippo Maria Ricci). «Espulso nella finale dei Mondiali 2006 per aver assestato quell’ormai famosa testata a Marco Materazzi, il capitano dei Bleus lasciò dietro di sé dei compagni di squadra disorientati e un Paese attonito. Soprattutto, diede la stura a una baraonda mediatico-sportiva senza precedenti. […] Si intromisero anche i politici, e la palma dell’interpretazione spettò a Laurent Fabius: “Esistono gli dèi, esistono gli umani ed esistono semidei che vengono chiamati eroi”, disse l’allora ministro degli Esteri. “Si pensava che Zidane fosse un dio ed è semplicemente un eroe. È dotato di qualità straordinarie e, nel contempo, è un mortale”. […] “Quest’ultima immagine è terribile per me, e di sicuro per molta gente. In una carriera, e nella vita tout court, ci sono alti e bassi. Non sono fiero della mia testata, è ovvio. Fa parte di quelle cose difficili da accettare. Sono già stato offeso. È successo nella finale dei Mondiali. È capitato quella volta lì. Ed è capitato male. Insomma, ecco…”. Teso, sospende la frase con un soffio triste. Le immagini sfilano probabilmente nella mente di quest’uomo, che aveva già deciso alcuni mesi prima di porre fine alla sua carriera sul suolo tedesco, qualunque cosa fosse accaduta» (Mathieu Le Maux). «Conclusa dunque la sua parabola sul campo, Zidane decide di rimanere a vivere a Madrid. […] Dopo un inizio dirigenziale al Real, Zidane sente la nostalgia del campo e diventa il secondo di Carletto Ancelotti. Dopo una stagione con Ancelotti, nel 2014 a Zinédine viene affidato il Castilla, la squadra B dei “blancos”, che milita nella terza divisione spagnola. Il primo anno manca la promozione, ma gli tocca in sorte di far esordire il figlio Enzo, centrocampista come lui, chiamato così in onore del suo idolo di gioventù, l’uruguaiano Enzo Francescoli. Nel frattempo Perez lascia intendere che il francese rileverà la panchina di Benítez a fine stagione. Le cose andarono molto più velocemente del previsto. […] A 43 anni debutta da allenatore sulla panchina più prestigiosa del mondo: vince tre Champions League consecutive, prima di dimettersi. Ed essere poi richiamato, in piena emergenza per il Real Madrid, dopo appena nove mesi» (Cruccu). Tornato ad allenare il Real Madrid nel marzo 2019, nel 2019/2020 riuscì a conquistare una nuova Supercoppa di Spagna e un nuovo Campionato nazionale, ma nel maggio 2021, deluso da una stagione priva di successi, rassegnò definitivamente le dimissioni • Nel 1998, all’indomani del prodigio mondiale, il presidente francese Jacques Chirac lo nominò Cavaliere dell’Ordine della Legion d’onore (in seguito, nel 2009, Nicolas Sarkozy lo promosse Ufficiale) • Sposato dal 1994 con la francese di ascendenze spagnole Véronique Fernández, quattro figli maschi – Enzo (1995), Luca (1998), Theo (2002) ed Elyaz (2005) –, tutti e quattro calciatori cresciuti nel vivaio del Real Madrid • «È musulmano, ma non si mostra: si definisce non praticante, che è una contraddizione in termini per un musulmano» (Mario Sconcerti) • «Celebre sguardo fiammeggiante, con quel taglio degli occhi che ormai è lo stesso di Diabolik» (Sorrentino). «Fatta la fortuna e conquistata la gloria, Zidane gode inoltre del “principio di George Clooney”, una legge di natura secondo la quale alcuni uomini, indiscutibilmente ricchi, hanno il privilegio di acquisire fascino con il passare degli anni. […] “A me gli anni non sono mai pesati. Per esempio, non mi sono mai fatto problemi per i miei capelli”. […] Zidane è un uomo di poche parole. Visceralmente pudico, si lascia andare di rado a sfoghi personali. “Ho l’impressione di conoscermi già bene. Non mi confido facilmente”, ammette. […] “Nella vita sono timido e riservato, mentre in campo non lo ero. Ero un tipo molto duro. Con me stesso, prima di tutto. E con gli altri. Non ero un tipo facile, non lasciavo fare. Sapevo cosa volevo, dove intendevo arrivare”» (Le Maux) • «Il suo calcio è stato arte. Un tratto semplice, immediato e al tempo stesso raffinato. Il suo calcio non ha strillato, non ha intossicato. […] Gli occhi da tigre, la barba mai ben rasata, quel leggero ingobbirsi nella corsa che lo rende misterioso e al tempo stesso minaccioso, l’andatura caracollante, il passo indolente, il dribbling ondeggiante, il tocco del pallone in controtempo, il sorriso che è un ghigno e mai una risata aperta, piena, libera, lo sguardo duro, feroce quasi, che si trasforma, diventando dolce quando il gioco è finito: Zidane. Cioè qualcosa che non c’è stato prima e non ci sarà» (Beppe Di Corrado). «È stato un campione gigantesco, soprattutto di completezza: piedi memorabili, visione di gioco panoramica e istantanea, tecnica eccelsa, forza fisica spaventosa, eleganza innata, senso della posizione assoluto» (Crosetti). «Un artista con il fisico da stopper. Magic Johnson, ex stella dei Los Angeles Lakers, ebbe la fortuna di vederlo all’opera in campionato contro il Deportivo La Coruña. Segnò un gol superbo: “Zidane è un fenomeno – disse – è bravo come me e Michael Jordan messi insieme”» (Roberto Beccantini) • Come allenatore, «apparentemente non ha alcuna filosofia predefinita: è flessibile, e vince» (Jonathan Wilson). «Zidane ha abituato a prendere tutto quello che lo riguarda con naturalezza, ma è raro trovare un fuoriclasse del calcio diventare un grande allenatore. […] Zidane da allenatore ha messo sul tavolo entrambe le sue anime. Quella del ghetto di Marsiglia, del figlio di emigranti algerini onesti ma poveri, non sempre accettati, spesso insultati. E quella dell’eleganza che lo ha fatto ricco, un tranquillo filosofo esaudito con una casa di 600 metri quadri nel quartiere più esclusivo di Madrid. […] Il calcio di Zidane è semplice ma fatto da grandi giocatori. Il compito di Zidane è restare giocatore a sua volta. Vivere in mezzo a loro, con eleganza, quasi distacco, ma anche con momenti di furia, quelle chiarezze da spogliatoio che sanno di angiporti e fanno molto dialetto virile. Per essere creduto a Zidane basta apparire. Sarri, Allegri, Conte, Gasperini devono dimostrare di aver ragione. A Zidane basta entrare, salutare e mostrare la sua faccia come fosse un’enciclopedia del calcio. Capisci dagli occhi che lo conosce tutto, che per un lungo momento tutto il calcio è stato lui. Zidane non va per caso, rispetta il calcio, non ha bisogno di inventarlo. Sa che il calcio è già stato giocato tutto. Ma servono maestri che sappiano andare a cercarlo dove ama nascondersi. Avere due anime, essere stato l’ultimo e il primo, africano ed europeo, lo tiene eternamente su un ponte, sospeso tra modi di essere. […] Questa è la saggezza universale: stare nei due mondi e sapere che in entrambi conviene essere eroi» (Sconcerti) • «La vita di un allenatore è più lunga di quella di un calciatore… “Non è detto, anzi. Dipende. Dipende da molte cose”. Perché, non si vede in panchina a 60 anni? “Certo che no. Mi piace quello che faccio, ma a 60 anni starò senz’altro con la mia famiglia, non scherziamo”» (Sorrentino).