24 giugno 2022
Tags : Roberto Vecchioni
Biografia di Roberto Vecchioni
Roberto Vecchioni, nato a Milano il 25 giugno 1943 (79 anni). Cantante. Paroliere. Scrittore • «Canzoni colte, ricche di citazioni e riferimenti letterari. Costruzioni complesse. Accenti spesso amari. Temi impegnativi, sociali e autobiografici» (Treccani) • Laureato in lettere antiche alla Cattolica di Milano, dal 1969 al 2004 ha insegnato latino e greco in vari licei classici lombardi. «Un docente scrupoloso che non ha mai pensato di abbandonare l’insegnamento per aumentare le sue chance di successo. Eppure scoprì giovanissimo il potere della canzonetta» (Giuseppe Videtti, Rep 1/5/2011) • Suoi brani più famosi: Luci a San Siro (1971) e Samarcanda (1977). Premio Tenco 1983. Vincitore del Festivalbar nel 1992 con Voglio una donna. Vincitore del Festival di Sanremo nel 2011 con Chiamami ancora amore. Ha inciso 37 dischi, da ultimo: I colori del buio (2011), Io non mi appartengo più (2013) e L’Infinito (2018). Ha visitato e rivisitato tutti i generi musicali, compresi il jazz e la canzone classica napoletana. Ha collaborato con cantautori come Lucio Dalla, Antonello Venditti e Eugenio Finardi. Ha scritto canzoni, tra gli altri, per Ornella Vanoni, Iva Zanicchi e Gigliola Cinquetti • «Un personaggio che si può permettere di vincere il Festivalbar e di far coppia con i più bei nomi della nostra canzone sul palco del Club Tenco, di scrivere canzoni raffinate e suadenti, di riscrivere la storia di Orfeo e Euridice, di citare Oscar Wilde e al tempo stesso di scherzare, cadere di tono, frequentare la canzonetta senza perdere lo spirito e la faccia» (Ernesto Assante, Rep 23/9/1993) • Ha scritto 14 libri, tra raccolte di racconti, raccolte di fiabe, antologie di versi, saggi e romanzi. Da ultimo: La vita che si ama (Einaudi, 2016), Lezioni di volo e di atterraggio (Einaudi, 2020), Canzoni (Bompiani, 2021). Nel 2020 è stato ospite fisso a Le Parole della Settimana (con Massimo Gramellini, Rai 3) • Di sé ha detto: «Io sono fondamentalmente un insegnante, non importa il mezzo che si usa. Mi piace la parola: il mio mito, che poi è proprio il primo tra i miti, è la parola. Quando nasce lei, nasce il mondo: “Fiat lux!”».
Titoli di testa «Ho appuntamento con Roberto Vecchioni alla redazione di via Paleocapa e ci vado a piedi, passando per via Meravigli e poi via Carducci, fino a oltrepassare piazzale Cadorna. Ma prima di arrivare lo vedo che passeggia lì, con il sigaro in mano, più o meno davanti all’ingresso del parco Sempione, e lo fermo con un “buongiorno”. Mi invita a bere un caffè. Ed è bellissimo vedere che tutti ancora lo riconoscono e gli chiedono un autografo» (Michele Brambilla, Sta 11/10/2015).
Vita «Roberto Vecchioni, qual è il suo primo ricordo? “Ho un anno e mezzo e ho fatto la pipì sul pavimento. Mia mamma rientra a casa e io incolpo il cavallo a dondolo: ‘Avallo pipì terra’”» (Aldo Cazzullo, CdS 14/11/2021) • Primo di due figli. Nato a Milano, in una casa in piazza della Repubblica. Origini napoletane. Il padre, Aldo, è commerciante in cotone, liberale, allevatore di cavalli per diletto. «Non era un uomo ricco. E poi giocava, giocava a poker, all’ippodromo e al casinò: la nostra vita, quella della famiglia, voleva dire un mese la minestrina in brodo, quello dopo le ostriche. Sì, diciamolo: era davvero un folle». La madre, Eva Picardi, è casalinga. «Mamma aveva una nonna principessa: si chiamava Lonardi, parente di Eduardo Lonardi, presidente dell’Argentina. Si trasferì a Milano per seguire mio padre» • «Nella mia formazione come scrittore, come mediocre scrittore, mio padre e mia madre sono stati due personaggi mitici fondamentali. Perché hanno racchiuso tutto ciò che è razionale (mia madre: persona paziente, corretta, molto attenta) e tutto ciò che è stravagante, fuori dai limiti (mio padre). In casa c’era l’apollineo e il dionisiaco» • «C’era qualcuno in famiglia che cantava o suonava? “No, non ci sono mai stati musicisti. Il primo incontro musicale per me è stato a dieci anni con la lingua e, soprattutto, la poesia greca: lì ho iniziato a capire che cosa sono i ritmi”. A dieci anni? “Sì, con un libro di mio padre. Non capivo niente ma mi ha attirato: volevo rendermi conto di cosa ci fosse scritto e così ho iniziato a studiarmelo da solo. E poi, da lì, la poesia. Non ho mai amato la poesia dell’800 però, mi sembrava farraginosa. Quando invece mi capitò in mano un’antologia di Guanda sul Novecento curata, mi sembra, da Giacinto Spagnoletti, restai folgorato: Raboni, Sanguineti, Bertolucci, Arcangeli. Fu una scoperta incredibile, leggevo e dicevo, stupefatto: ‘Ah! Si può mettere anche così una parola...’ […] Da lì, ai greci: Kavafis, Seferis e poi i sudamericani e i russi Evtushenko, Anna Achmatova... C’era un afflato che per me era musica”» (Luca Valtorta, Rep 3/8/2017). Roberto ha una radio con cui si sintonizza sulle stazioni straniere. Radio Luxemburg, Radio Londra. Le ascolta di notte. Si appassiona ai francesi: Brel, Aznavour, Brassens. «Dicevo “guarda com’è bella l’armonia della musica messa insieme con le parole, queste sono poesie musicali”». Scrive i suoi primi tentativi a 15-16 anni. «Ma erano schifezze spaventose. A volte erano riduzioni delle tragedie greche. S’intitolavano T’impicheranno o Birra per due. Erano soft-rock all’americana alla Elvis Presley o alla Paul Anka, la musica che ascoltavo allora». Poi si mette di impegno, e impara a suonare la citarra. «Ho chiesto a mia madre se potevo andare a lezione e lei mi ha detto: “Scegli tu: io ti do i soldi per la partita o per la chitarra”. Così ho dovuto scegliere tra l’Inter e la chitarra, è stato drammatico ma alla fine ho scelto la chitarra. Dopo quattro lezioni il professore ha chiamato mia madre e le ha detto: “Guardi, io le rubo i soldi perché suo figlio non capirà mai niente di musica”. E infatti ho smesso: sono andato avanti per conto mio, ho imparato gli accordi e ho trovato un mio stile. Comunque non sono un grande suonatore di chitarra”. L’intonazione c’era già? “Quella sì. Un dono naturale. È molto strano perché mio fratello è stonato, i miei figli, tranne una, sono stonati”» (Valtorta) • «Le prime canzoni? “A 18 anni. Dedicate ad Aiace, e alla battaglia di Maratona. Immaginai che Filippide fosse un ladro d’armi, che razziando cadaveri sentì un morente sussurrare: vai da mia moglie e dille che abbiamo vinto”. Volava alto...
“Mi esibivo in locali dove pagavano duecento lire, cioè nulla, ma si poteva bere a volontà. C’erano Paolo Poli e Paola Borboni. Più tardi conobbi Alda Merini”. Che ricordo ne ha? “Era folle d’amore. Una volta prendemmo un taxi insieme. Il tassista la riconobbe, le disse che la figlia stava facendo una tesi su di lei. Alda lo pagò con diecimila lire: “Tenga il resto, per gli studi della sua bambina”. Poi mi chiese: “Roberto, mi presteresti cento lire per il pane?”» (Cazzullo) • Aldo Vecchioni non è proprio convinto della strada intrapresa dal figlio. «Eravamo molto diversi. Lui milanista, io interista; lui liberale malagodiano, io comunista; ma ci siamo sempre rispettati». «C’è un episodio che rende unico il vostro legame? “Sì, era l’anno della maturità al liceo classico. Io ero magro, sfinito dai libri e dalle interrogazioni, preoccupato per l’esame, con la tachicardia dei vent’anni. Lui mi prese e mi disse che ce ne andavamo in vacanza a Parigi, io e lui. Un mese prima dell’esame. Provai a resistere. Non ne volle proprio sapere. In quei giorni ho scoperto Versailles e il sesso, le risate. Metaforicamente mi ha riempito di quella cultura che mi serviva, quella rispetto alla quale non c’è scuola che tenga. Mi ha fatto scoprire il sesso e Pigalle. E non con lui, ovviamente… Quando sono tornato ho fatto l’esame a pieni voti, ma il mio esame con la vita fu più quei giorni di Parigi che non i cinque anni di liceo» (Emiliano Liuzzi, Fatto 27/4/2015). «Era una persona completamente amorale – giocatore d’azzardo, puttaniere, divertito dalla vita, innamorato delle cose belle – ma per i figli aveva un forte senso della tradizione. Il fatto che io facessi una vita “musicale” piena di tentazioni, di notti passate in bianco, lo faceva stare poco bene. Purtroppo è morto presto, prima di vedere il mio successo». «Era un grande signore, papà. Un generoso. Non ci ha mai fatto mancare mai niente e ci ha fatto vivere costantemente al di sopra delle nostre possibilità. Quando è morto non ci ha lasciato niente, ma chi cazzo se ne frega, no?» • «La Milano degli anni Sessanta, la mia Milano, era una città da narrativa: di notte c’erano solo i poeti e le prostitute, adesso invece incontri tutti e ti senti solo». «Cosa è stata per lei la città? “Un grande itinerario, la storia di un’educazione formativa, l’amore per la verità interna. Frequentavo Roma e Firenze già allora, ma lì era troppo facile, la bellezza te la sbattono in faccia. A Milano devi andartela a cercare, ma quando la scopri è quella più appagante. Per me è quella Milano, la mia, fatta di ritrovi notturni e notti tirate fino all’alba. È stata il Cabaret, ma non quello del Derby, più roboante e conosciuto. Dico del Refettorio e Le Clochard, dove le facce di Maurizio Micheli, di Gianni Magni e dei Gufi aprivano la vita”». «Dai 21 anni in poi andavo, la sera, a suonare alla Bullona o al Refettorio queste mie canzoni e c’erano alcuni ‘intellettuali’ che venivano a sentirle. Non guadagnavamo nulla: dalle due alle cinquecento lire e una consumazione gratis. L’ho fatto per tre, quattro anni: di notte cantavo le mie canzoni complicatissime e di giorno scrivevo canzoni facili, che potessero piacere a un pubblico più ampio possibile. Un ottimo esercizio che mi è servito molto e che mi ha consentito di mettermi un po’ di soldi in tasca per registrare il mio primo disco». «“Parabola l’ho fatto tardi, avevo già 27 anni”. Nel frattempo aveva scritto per molti artisti. “Sì, tantissimi: Gigliola Cinquetti, Patty Pravo, gli Homo Sapiens, I Nuovi Angeli e poi molti altri oggi persi di vista, dimenticati. Ho inciso anche il disco dei Barbapapà, per i bambini, che oltre ad avermi divertito moltissimo mi ha anche fatto uscire dalla torre d’avorio delle cose complicate”. In Parabola c’è già Luci a San Siro. “Che però è più vecchia ancora. È addirittura del ‘68. L’ho scritta la prima settimana di militare. Era una canzone per la vita e prevedevo persino il mio futuro (ride, ndr): ‘Mi venderò, farò schifo...’”» (Valtorta). «Luci a San Siro parla di una delusione d’amore. “Lei mi lasciò il giorno in cui partivo militare. Facevo il Car a Casale Monferrato e soffrivo come una bestia. Allora presi la chitarra e scrissi una canzone: così la donna che avevo amato avrebbe avuto vent’anni per sempre”. E la riempì di improperi. “Infatti la stessa musica fu portata a Un disco per l’estate con un altro testo, sempre scritto da me. Il ritornello faceva: “Ho perso il conto/ di chi ho rimpianto...”. Fu affidata a Rossano, un cantante molto bello, che sciaguratamente si era fatto crescere la barba. In semifinale gli suggerirono di tagliarla. Lui si presentò alla finale glabro: nessuno lo riconobbe, e perse miseramente […] Samarcanda invece racconta l’impossibilità dell’uomo di sfuggire al proprio destino. “Sì”» «In realtà la prima volta che si legge la storia che ho raccontato in Samarcanda è nella Bibbia, nel Libro della Sapienza di Salomone, quando vuole salvare due amici e l’Angelo della morte si arrabbia con lui; ma si trova anche nella cultura indiana e in quella persiana. E poi si ritrova in Maughan, dove il protagonista però è un servo, non un soldato, e in Borges. Ma è un tema che c’è in quasi tutte le culture, a sottolineare attraverso un paradosso l’impossibilità di sfuggire alla morte”. È vero che ha scritto questa canzone, che poi è diventata famosissima, dopo aver superato il casello della Milano/Bologna? “È verissimo. Avevo appena letto questa storia e volevo farne una canzone. Però dovevo andare a Bologna e mentre viaggiavo mi sono venute le parole: mi sono fermato un paio di volte per scrivere quattro frasi che altrimenti non avrei ricordato. Poi, per il resto, arrivato a Bologna avevo già la canzone, quasi tutta, tranne il ritornello”. Il famoso “oh oh cavallo, oh, oh”? “Esatto. Quello è nato perché uno davanti a me ha inchiodato improvvisamente e a momenti gli vado addosso. Allora gli ho gridato: “Oh oh coglione!” e immediatamente ho avuto una folgorazione ed è diventato “oh oh cavallo”. Fantastico» (Valtorta).
Prof/1 Rimandava e bocciava spesso. «Certo, anche perché il classico non è una scuola dell’obbligo; te la scegli. Molti erano figli di avvocati, di professionisti. Spesso viziati. Quindi è giusto avere un certo rigore nell’insegnamento. Un insegnante deve essere credibile. Un cantautore può esserlo meno».
Prof/2 «La maturità non serve più a nulla: una volta era troppo nozionistica, dagli anni Settanta in poi è troppo facilitata».
Prof/3 A scuola, ogni tanto, faceva uscire tutti dalla classe. «Le chiamavamo “Ore di follia”. Andavamo al parco, camminavamo, un po’ alla peripatetica, e partivamo da un tema, che so: le stelle. Quali autori hanno parlato delle stelle? E dal punto di vista scientifico? E poi: tu che cosa diresti sulle stelle? Inventati qualcosa in questo momento. Ognuno poteva dire la sua».
Amori Sposato in prime nozze con Irene (ne ha avuto la figlia Francesca), si lasciarono perché lei lo tradiva. Seconde nozze con la giornalista Daria Colombo (n. 1955, scrittrice, intellettuale, fondatrice del movimento dei Girotondi): dalla loro unione sono nati Carolina, Arrigo e Edoardo. Dice di lui la moglie: «Quando esce di casa non mette in tasca altro, nemmeno i soldi. Va al bar o in un negozio della nostra zona e al momento di pagare dice sempre: “Passa mia moglie”. E io mi trovo dal fiorista a saldare i conti dei mazzi che mio marito mi manda nei suoi slanci romantici…».
Figli La figlia Francesca è lesbica: conviveva con la compagna Alessandra Brogno, con la quale ha avuto le gemelle Nina e Cloe, ma poi si sono lasciate. Il figlio Edoardo è affetto da sclerosi multipla.
Politica Ex Pci. Ora Pd. «Io, per fortuna, sono rimasto a Pericle, alla democrazia che non è la maggioranza, ma il consenso del dissenso. Andrebbe scolpita nelle pietre questa frase, ovunque».
Religione «Lei crede in Dio? “Sì. E non le dirò la solita menata tipo ‘ci credo a modo mio’. Ci credo e basta. Da cattolico, sia pure poco praticante”. E come fa a essere sicuro della sua esistenza?
“Perché il mondo è imperfetto. Se fosse perfetto, senza un clinamen, senza deviazioni, allora non ci sarebbe Dio. Invece Dio c’è, perché ci ha permesso, con il libero arbitrio, di affrontare il male e il bene”» (Cazzullo).
Tifo Interista sfegatato. Il calcio per lui è «una metafora spaventosamente completa della vita. In esso c’è egoismo e solidarietà, esaltazione dell’individuo e senso del collettivo, c’è la società e c’è il nemico, infine c’è quell’insopprimibile metafora sessuale del perforare, del penetrare la rete». Nel 1971 scrisse il testo dell’inno Inter spaziale («Per fortuna se la ricordano in pochi perché la canzone era una merda. All’epoca, anche per ragioni alimentari, facevo quello che dovevo fare»). Nell’estate 2008 ha protestò con La Gazzetta dello Sport per il titolo “Luce a San Siro” con cui si annunciava l’acquisto di Ronaldinho da parte del Milan («sarebbe come se per definire Berlusconi usassimo “falce e martello”»).
Vizi Nel 2014 ha smesso di bere («Mi accorsi che stavo male, che perdevo tempo e attenzione per i figli»). Grande fumatore di sigari, non esce mai di casa senza la sua scatola di Toscani.
Malanni «Ho avuto tre tumori, tre operazioni, a un polmone a un rene alla vescica» (Cazzullo).
Guai A ottobre 2014 fu condannato a due mesi di reclusione per guida in stato d’ebbrezza. Il fatto, risalente alla sera del 26 dicembre 2010, gli è costato anche una multa di 650 euro e la sospensione della patente di guida per sei mesi.
Curiosità Nel 2013 si era diffusa la notizia di una sua candidatura al Nobel per la Letteratura, ma l’Accademia Svedese smentì (i nomi dei non vincitori non vengono svelati se non cinquant’anni dopo la loro candidatura) • Il fratello più piccolo, Sergio, è notaio • Uno dei cavalli di suo padre, Nelumbo (nome giapponese), vinse il Derby d’Europa • Usa molto i cavalli nelle sue canzoni: Il capolavoro, Samarcanda, Horses, Morgana • Il suo portafortuna: un cavallino che tiene sempre in tasca • Nel 2014 ha interpretato se stesso nella puntata finale della nona stagione di Un medico in famiglia (Rai1) • «Per la canzone Voglio una donna fu accusato di anti-femminismo… “Non fu capita la mia provocazione. Dicevo Voglio una donna con la gonna per celebrare la donna nella sua femminilità, invitandola a non rinunciare alla differenza con il maschio. Io non parlerei mai di parità di genere, ma di parità tra i generi”» (Caterina Ruggi d’Aragona, Corriere Fiorentino 27/4/2022) • Ha una casa a Milano, una sul lago di Garda e una in Kenya • Fa spesso sogni premonitori («Ho sognato più volte di vincere Sanremo») • Secondo la moglie, ha scarso senso pratico • L’ispirazione per Chiamami ancora amore gli venne in un albergo di Roma «Non avevo neanche un pezzo di carta e l´ho scritta su una tenda - non volevo usare carta igienica (la tenda poi l´ho smontata, fatta lavare e rispedita all´hotel)» • «Non mi importa se non ho una platea sterminata. In questo sono un po’ snob, lo ammetto, ma è uno snobismo intellettuale, non sociale» • «Si sente un incompreso? “Un incompreso no, ma ho scritto quasi 300 canzoni e sono consapevole che 200 siano quasi sconosciute. Qualcuna è interessante, qualcuna come Viola d’inverno credo addirittura bella, ma al grande pubblico non arriveranno mai. Perché? Forse è stato un difetto di comunicazione. Non bisogna solo scrivere bene, ma anche arrivare al cuore”» • «Eco aveva detto che il più grande cantautore italiano è Guccini. Francesco ha risposto che in realtà sono io perché ho studiato il greco» • «Invecchiare le dispiace? “Gli amici iniziano ad andarsene. Ti giri e dici ‘vabbè, ma quello davvero non c’è più?’”. E lei ha paura della morte? “Nessuna. Non c’è niente di cui disperarsi. Ho avuto una vita bellissima e mi sento felice. Ho solo una raccomandazione da fare”. Dica Vecchioni. “Che vengano allegri, che bevano e che ballino, soprattutto”» (Pagani) • «Come immagina l’Aldilà? “In due modi. O come spiritualità pura, beatitudine assoluta, tipo Paradiso dantesco”. Oppure? “Oppure come la vita che ricomincia da capo”. E lei cosa farà in questa vita nuova? “Forse non il cantante. Probabilmente l’artista. Di sicuro, amerò moltissimo”» (Cazzullo).
Titoli di coda Oggi, Samarcanda, non la scriverebbe più. «Ma nel frattempo ho cambiato idea. Il destino è una cosa che ti porti dentro; e dipende soprattutto da te. Certo, esiste il Caso; ma non la Necessità. Siamo noi che costruiamo la nostra sorte» (Cazzullo).