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 2022  giugno 28 Martedì calendario

Biografia di Chef Rubio (Gabriele Rubini)

Chef Rubio (Gabriele Rubini), nato a Frascati (Roma) il 29 giugno 1983 (39 anni). Cuoco. Personaggio televisivo. Ex rugbista. «Se ho imparato io a cucinare, può farlo chiunque. Rimetto il cibo al centro, con la sua capacità di emozionare, smettendola, finalmente, di parlare di “opera d’arte”. L’arte è arte, il mangiare è mangiare» (a Paolo Conti) • «Famiglia di origine? “Classe media. Entrambi i genitori avvocati. Ma onesti, e siccome non hanno fatto ‘impicci’ non abbiamo mai navigato nell’oro. Un fratello di quattro anni più giovane. […] Tutti e due abbiamo imparato a ‘scansarci’ da soli fin da piccoli. Ogni volta che facevo una cazzata, i miei mi toglievano la paghetta”. Che genere di cazzate? “Tante, ma oggi mi rendo conto che erano piccolezze da dilettante. Tipo fuggire da casa in mutande e canotta, fare mezzo chilometro e tornare indietro”» (Enrica Brocardo). «“Comunque mi hanno dato un’educazione rigida…”. Quanto? “A letto alle 21.30, anche da grande non potevo tornare dopo mezzanotte, niente motorino, niente cellulare, e quando ne ho avuto uno era un modello da Medioevo”. Giusto? “Li ringrazio”» (Alessandro Ferrucci). «Com’è nata la passione per la cucina? “Vedendo cucinare mamma e nonna”. Da piccolo che sognava di fare? “Il macellaio, il pescivendolo o l’oceanografo. Sono appassionato di squali, animali affascinanti che rispetto. Dopo il liceo classico ho provato a fare il test di ingresso a Biologia, non è andato e non mi sono incaponito. L’ho tenuta come passione”» (Silvia Fumarola). «I primi anni di scuola studiavo pochissimo: giocavo quasi solo a rugby, poi a casa mi dedicavo ai manga giapponesi». «Com’è entrato il rugby nella sua vita? “A dieci anni avevo una scoliosi importante e ho cominciato a fare sport. Crescendo, l’ho fatto a livello agonistico. […] Con le nazionali giovanili ho avuto la fortuna di uscire dai confini: mi è servito a stimolare l’attitudine al viaggio. Facevi la figura dell’italiano medio a un’età inferiore rispetto agli altri… Le prime trasferte sono state importanti: ho scoperto il cibo di strada in Irlanda, Galles, Inghilterra, quartieri interi dove si faceva solo fish and chips. Sono stato in Sudafrica prima del mitico viaggio in Nuova Zelanda a 21 anni, quando sono rimasto a vivere fuori”» (Fumarola). «Come mai la Nuova Zelanda? “Un insieme di fattori: mi ero stufato un po’ in generale, in particolare dell’università: ero iscritto a Giurisprudenza ma senza dare nemmeno un esame”. Non studiava? “Quello sì, ma quando mi chiamavano non mi alzavo, non mi piaceva quella liturgia, con tutti appresso ai voleri del professore, ai suoi capricci: magari non si presentava, stoppava all’improvviso gli esami, rimandava. Non ne potevo più. Così, per affinità rugbistiche e non solo, sono partito per la Nuova Zelanda”. I suoi genitori? “Pensavano tornassi dopo due settimane”» (Ferrucci). «Ho inviato il mio curriculum a tutte le squadre dell’isola del Nord e del Sud, ricevendo risposte positive da tutti. Ho scelto di giocare con il Poneke, uno dei più importanti club di Wellington. Anche se il livello del rugby in Nuova Zelanda è altissimo, non si percepisce stipendio, se non nel massimo campionato. Per questo motivo dovevo trovare un lavoro, così ho sfruttato la mia passione per la cucina (gonfiando un po’ il mio cv) e mi sono proposto al ristorante “Il Casino”, all’epoca uno dei più famosi della capitale neozelandese, e dopo una settimana di prova sono stato assunto. Nelle tre ore di pausa che avevo, andavo in palestra e mi allenavo. A volte non facevo nemmeno la doccia dopo l’allenamento per riuscire ad arrivare in tempo per il turno serale. Una settimana prima di giocare la finale contro il Norths sono rientrato in Italia». «Le due squadre a cui è più legato sono la Lazio e il Rovigo: con quest’ultima ha giocato anche la Coppa Europa. Ah, e poi ha partecipato ai Mondiali Under-19. Il suo ruolo è quello di terza linea. Il rugby professionistico, lo ha mollato per i gravi infortuni subiti, anche se mi confida che stava già pensando di lasciare tutto per dedicarsi alla cucina: “L’ho preso come un segno del destino”» (Fabio Guarnaccia). S’iscrisse quindi «all’Alma, la Scuola internazionale di cucina italiana di Parma fondata da Gualtiero Marchesi. Dove, nel 2010, si è diplomato chef internazionale di cucina italiana. […] Dopo un breve trasferimento in Canada sempre per affinare le sue tecniche culinarie, è tornato a vivere a Roma» (Chiara Dalla Tomasina). «Con un amico facevamo video per spiegare le ricette in modo leggero: li hanno visti un paio di produttori, ma non avevano capito cosa m’interessasse davvero. Quelli della casa di produzione Pesci Combattenti […] sono stati intelligenti, hanno detto: “Raccóntati per quello che sei e ti cuciamo un vestito addosso”. Così è nato Chef Rubio, ma è autentico». «Ha […] esordito nel 2013 nel programma Unti e bisunti, serie tv cult dedicata allo street food, in onda su Dmax. La trasmissione gli ha regalato subito una grandissima popolarità. In ogni puntata, lo chef andava alla scoperta di una località italiana per cercare i piatti della tradizione più “unti e bisunti”, appunto» (Dalla Tomasina). «Le posate sono abolite, il suo è un corpo a corpo col cibo: che siano lampascioni, pasta, carne, usa le mani. […] Un fenomeno social da mezzo milione di seguaci su Facebook (commenti romantici: “Mettimi sulla brace come una fetta di pancetta”) che va oltre il web: a Napoli Rubio pastore tatuato troneggia nel presepe di San Gregorio Armeno» (Fumarola). Dopo qualche altro programma minore, tra il 2018 e il 2019 fu la volta di Camionisti in trattoria, in cui «Chef Rubio […] ripropone la favola delle trattorie dei camionisti: ristoranti in prossimità delle reti stradali che offrono il miglior rapporto qualità/prezzo, vere “chicche” conosciute solo da una ristretta clientela di affezionati. […] Il format di Camionisti in trattoria è molto semplice: arrivato sul luogo, Rubio interagisce con cuochi e proprietari, entra nelle cucine, si fa raccontare le specialità del posto e poi, insieme agli altri avventori, prova il menù suggerito dal camionista che l’ha accompagnato. Prima va al Sud, a Caserta, e poi al Nord, a Vado Ligure. […] Per lui l’impiattamento conta poco, l’approccio al cibo è grezzo e pulp, le pietanze grondano calorie, sono fatte con materie prime semplici e “umili”. Però è bravo ad “alimentare” ancora la leggenda delle trattorie dei camionisti» (Aldo Grasso). A fine 2019, inoltre, «è l’anima del programma Rubio alla ricerca del gusto perduto. Nelle varie puntate Chef Rubio ha attraversato in lungo e in largo l’Estremo Oriente per scoprire la più autentica e originale cultura gastronomica locale, conoscerne i piatti nazionali mangiando e cucinando con la gente del luogo. […] Nel 2019, nonostante avesse condotto programmi di grande successo, abbandona Discovery» (Dalla Tomasina). «Nessuno mi ha cacciato: sono io che ho smesso di lavorare per un sistema pregno di sionisti che volevano i soldi degli ascolti ma non il mio pensiero». «Non avevo più la libertà di raccontare extra-lavoro la causa palestinese». Da allora, talmente acrimonioso nei confronti di Israele da tacciarlo esplicitamente di nazismo (come d’altronde pure l’Ucraina, e pressoché tutto l’Occidente) e da ravvisare ovunque complotti giudaici – tanto da abbandonare tutte le piattaforme di comunicazione amministrate da Mark Zuckerberg (Whatsapp, Facebook e Instagram), ree a suo dire di censurare le sue prese di posizione più violente –, sembra essersi di fatto ritirato a vita privata, continuando a professare il suo verbo su Twitter e Telegram, oltre che sul suo sito personale (ChefRubio.it) • Qualche esperienza da fotografo, produttore (Elias di Brando Bartoleschi, cortometraggio ambientato nella comunità rom di Roma) e scrittore (Mi sono mangiato il mondo, Rizzoli 2018, “un libro sui miei viaggi raccontati coi miei pensieri e l’altra mia passione: la fotografia”). Intorno al 2010 aprì insieme a un’amica un blog su cui, a distanza, avrebbero dovuto scrivere a quattro mani un libro intitolato Traslochi funebri. «I pezzi non sono firmati, come se fosse un autore unico, e l’immaginario è comune. Ed è un immaginario cupo, fatto di scambismo, divorzi, storie omosessuali. […] “Mi sono reso conto di quanto eravamo affini e mi è venuta voglia di raccontare tutti quegli scenari che piacciono a entrambi. Il nostro intento era quello di comunicare a tutti coloro che ci stanno attorno che in realtà sono dei morti ambulanti, ma volevamo dirglielo simpaticamente. Traslochi non è altro che un libro però incompiuto: sono tre storie che si sarebbero dovute evolvere e poi incastrare. Ci siamo fermati per lavoro”» (Gianluca Gliori) • Celibe. Nessuna relazione nota. «Il matrimonio o anche la coppia duratura non mi interessano. I figli mi piacerebbero di più, ma non credo ai figli al di fuori della coppia. Quindi niente. […] Credo anche nell’amore, ma non con la regola del “per sempre”» (a Paola Manfredi) • Tra i suoi libri preferiti ha più volte indicato Necrophilia Variations di Supervert, «un libro in inglese che dice che lo stadio ultimo dell’erotismo è la necrofilia. […] È obbrobrioso fare sesso con un morto, non c’è dubbio, ma il libro sposta l’asticella e sostiene che nulla impedisce di usare una parte di un cadavere come qualcosa che possa valorizzare quella persona e la sua memoria, senza metterla nel dimenticatoio per sempre» • Varie iniziative benefiche: «la battaglia contro lo spreco alimentare, il ruolo di cuoco ufficiale di Casa Italia alle Paralimpiadi, le videoricette girate con la lingua dei segni per i non udenti, il seminario di cucina nel carcere Dozza di Bologna. Da dove nasce questo bisogno? “Penso che in carcere ci siano o persone pericolose o sfortunate. Quelle sfortunate vanno aiutate immaginando modi diversi di correggere: ho trovato tanta umanità. In quanto al resto, io restituisco dopo aver fatto cassetta in giro”» (Conti) • «“Mi preoccupano molto le nuove generazioni. Parlano per sentito dire e non hanno personalità. Sono quelli che poi hanno portato i voti a Salvini & Co.”. […] C’è qualche politico che pensi possa portare un cambiamento? “Enrico Berlinguer. […] Con e da Berlusconi in poi abbiamo avuto solo dei grandi opportunisti, imprenditori di loro stessi. Non ho mai votato in passato perché non ricordo una personalità forte che mi abbia fatto innamorare della politica”. Ma invece non pensi mai a un tuo diretto impegno politico? “No, sono un anarchico per antonomasia”» (Paola Medori) • «A differenza di altri colleghi celebri, veste in maglietta, mantiene l’accento romano, la parolaccia lo accompagna, è tutto tatuato, quando è possibile affonda le mani nel piatto, a tavola mantiene un ritmo costante, prolungato ed efficace (con lui occhio al proprio piatto), non ha filtri rispetto alle mode culinarie (“oramai se non utilizzi lo zenzero non sei nessuno”) e non teme polemiche con i vegetariani e gli chef stellati» (Ferrucci) • «È un cuoco televisivo e internettiano, puramente mediatico. […] Da volumi come Le ricette di Unti e bisunti raccontate da Chef Rubio esce un forte odore di retroguardia: supplì all’amatriciana, linguine alla sorrentina, costate con cipolle… Roba antica, roba pesante, roba che poi ci vuole il caffè, l’ammazzacaffè, il bicarbonato e infine il rutto liberatorio. […] Qualcosa tra Aldo Fabrizi e Paolo Villaggio e Matteo Salvini. […] La cucina è stata per lui un cavallo di Troia. Partito come paladino dell’unto e bisunto, un po’ Er Monnezza dei fornelli e un po’ imitatore locale di Anthony Bourdain, […] accumulato un gruzzoletto di notorietà è subito entrato nell’agone politico, sicuro di potervi parlare e ruttare liberamente» (Camillo Langone). «Il vero problema di Rubio sta […] nel suo continuo provare a depistare, forse più se stesso che gli altri, su quale sia la sua reale natura. Che è quella del bullo mascherato da capopopolo. Da bandiera della sinistra con i modi dello smargiasso di CasaPound. Ed è in questa zuppa densa di contraddizioni che lo smargiasso si sbraccia da anni cercando di restare a galla, sostenuto da una certa sinistra a cui basta che dia dello stronzo a Salvini per farselo stare simpatico. A proposito di Salvini, Rubio ne è nemico pur ricalcandone gli stessi schemi. […] Ci sono decine di tweet feroci in cui Rubio, convinto che il tema possa essere compresso in due slogan insultanti, si schiera coi palestinesi senza porsi il problema del “come”. Nello specifico, definendo Israele uno stato neonazista con “esseri abominevoli” e scrivendo “per salvare il pianeta eliminate fisicamente i sovranisti” con accanto una bandiera di Israele. Quando qualcuno gli fa notare che istiga l’odio contro Israele, lui risponde che ce l’ha con i sionisti-cancro-del-mondo, mica con gli ebrei. Peccato che qualche tweet più in là scriva “Ah Rabbì” o “jewish idiot” o “Israele tra le tante cose di merda che offre al mondo deporta i filippini. Pulciari e avari dalla notte dei tempi”. […] Rubio non vuole essere Salvini ma è Salvini, vuole spacciarsi per anti-sionista ma fa battute antisemite, cosa manca? Ah già, vuole farci sapere che è contro il bullismo e presta il suo volto a campagne e programmi tv. […] Peccato che lo stesso Rubio abbia scritto su Facebook: “Il bullismo c’è sempre stato, solo che si chiamava strada. Si incassava muti, si restituiva e a casa ‘tutto bene’”. Dunque il suo saggio insegnamento è rispondere alla violenza con la violenza e non dire nulla ai genitori. Tra parentesi, Amnesty interruppe ogni collaborazione con Rubio proprio per queste frasi. Del resto, che a lui piaccia prestare il volto a onlus di ogni tipo è risaputo. È stato testimonial di quasi tutte le campagne del pianeta. […] Spesso auto-proponendosi, e non mancando di far inviare dal suo ufficio stampa decine di e-mail ai giornali sulle iniziative benefiche» (Selvaggia Lucarelli). «Chef Rubio è quello che si definisce un maverick, uno che mal sopporta l’appartenenza forzosa a banchi umani costituiti, uno fuori dal coro. Vero. Però spesso parla come mangia, con le mani più che col cervello. E più spesso straparla di cose più grandi di lui, con l’impressione che abbia studiato poco» (Luca Sommi) • «Perché ce l’ha con gli chef? “Perché i più pensano di saper fare e non sanno nulla”. E perché ha studiato alla scuola di Gualtiero Marchesi? “Dovevo conoscere il nemico per combatterlo. A me del cosiddetto ‘sistema food’ fa schifo tutto: le stelle Michelin, i programmi tv per diventare cuochi, le ricette buone solo per far sentire inadeguato chi non sa cucinare”» (Candida Morvillo). «Per me il cuoco stellato numero uno è Alessandro Breda del Gellius di Oderzo. Mi basta un suo “Vai così” per avere le giuste motivazioni» • «Io vado solo nelle bettole: lì parli con le persone, impari più cose, conosci chi ha preparato il cibo. Le rare volte che mi siedo al ristorante, me ne pento: il luogo è, di per sé, slegato dall’essere umano» • «Ti attribuiscono il merito di aver rilanciato lo street food all’italiana. Soddisfatto? “Mi dessero una percentuale, allora (dice ridendo). Scherzi a parte, penso che l’interesse per la cucina di strada sia dovuto a diversi fattori, anche in parte alla crisi: da signor nessuno ho avuto solo la possibilità di raccontarlo. Sono un sognatore e vorrei che chiunque fa del buon cibo venisse giustamente osannato. Purtroppo in mezzo allo street food c’è anche tanta approssimazione, un ‘vorrei ma non posso’”» (Francesco Canino) • «“Ho mangiato di tutto e in tutto il mondo, mi sono sfondato, credo di aver ingerito 100 volte quello che un uomo normale consuma nell’intera vita”. […] Il cane lo ha assaggiato? “Sì, e a volte ricorda il montone, altre il manzo, comunque è dolciastro…”. E poi? “In Islanda e Giappone ho assaggiato la balena”. Ci sono varie campagne a protezione. “Ed è sbagliato: quasi tutti pescano esemplari non in via d’estinzione; in Islanda è proibito andare oltre il numero prefissato, e mai balene incinte”. […] Il suo pasto preferito. “Basta pane, salame e formaggio”» (Ferrucci). «Amo il crudo. E poi il bruciato, ciò che la natura ci ha dato da abbrustolire sul fuoco. Il tanto lavorato, il troppo cotto mi annoia. Un bravo cuoco deve saper cucinare senza distruggere. Un detto forse banale. Ma nessuno lo adotta davvero»». «La cosa più strana che ha assaggiato? “Il cibo del McDonald’s e del supermercato”» (Morvillo) • «Come si giudica da chef? “So il fatto mio”. Punto forte. “Riesco a cucinare con quello che trovo: amo gli avanzi, non sono mai stato uno in punta di mestolo, in cerca della dispensa piena per poi proporre piatti frivoli”» (Ferrucci). «In cucina raggiungere la famosa eccellenza è una cosa complicata. Anzi, forse non la si raggiunge mai. Nel film Jiro Dreams of Sushi questo meraviglioso ottantacinquenne giapponese mostra come da settant’anni fa sempre la stessa cosa, prepara sempre lo stesso sushi, seguendo sempre lo stesso rituale. L’eccellenza è un moto perpetuo: ogni giorno ci si può superare» • «Non ha ancora aperto un suo ristorante. “Per ora non ci penso proprio, ma nel caso dovrà essere un’osteria con pochi posti, dove cucino per me e poi abbondo per offrirlo agli altri. […] Se poi non ti piace, arrivederci”» (Ferrucci) • «Più che un cuoco sono un comunicatore. Ho migliaia di idee, cerco solo i canali giusti in cui riversarle» (Catia Donini) • «Farebbe l’attore? “Con tutti i cani che girano tra cinema e tv, se dovessi sentirmi bene in un ruolo direi di sì”» (Fumarola) • «Hai paura della morte? “La morte non dovrebbe essere vista come la falce e il teschio ma come la cosa più naturale del mondo, a meno che non sia molto violenta. Può essere anche una figata pazzesca. Per me dopo la morte l’energia continua a circolare, quindi non sappiamo in che maniera interagiremo con il mondo dei vivi. […] C’è troppa energia in giro per non essere veicolata… e poi, se l’amore non è per sempre, perché la morte dovrebbe essere per sempre?”» (Gliori).