Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2022  maggio 04 Mercoledì calendario

Biografia di Domenico Marocchino

Domenico Marocchino, nato a Vercelli il 5 maggio 1957 (65 anni). Ex calciatore. Ala. Esordio in Serie A con l’Atalanta nel 1978, ha giocato con la Juventus dal 1979 al 1983, vincendo due scudetti (1981, 1982) e perdendo una finale di Coppa dei Campioni (contro l’Amburgo nel 1983). Poi Sampdoria (1983-84), Bologna (1984-87), Casale, (1987-88) e Valenzana (1988-1992). Una presenza in Nazionale (il 5 dicembre 1981 in Italia-Lussemburgo 1-0). «La mia canzone preferita è sempre stata: Chi non lavora non fa l’amore. Perché ho passato il resto della vita a sfatarla».
Vita «La sua prima maglia bianconera “di lana, a mezze maniche e con il numero otto: bellissima”. Il provino andato bene e Italo Allodi, all’epoca general manager della società bianconera, che gli ordina di passare dalla sede per la firma sul cartellino. È l’inizio di una favola, che ha come protagonista un giocatore vero, un talentuoso del dribbling, un anarchico borghese» (Nicola Calzaretta) • «Ai miei tempi, la Juventus era già un’azienda. Per dirti cos’era, e cos’è, la Juve: a 17 anni vincemmo il campionato Juniores, e nell’euforia dei festeggiamenti qualcuno si portò a casa una maglia, cosa vietatissima. Otto anni dopo, quando ero già in prima squadra, un vecchio dirigente delle giovanili mi incontrò in sede e mi disse: “Dì la verità, sei stato tu quella volta, vero?”» (a Giovanni Egidio) • «Io portavo quasi sempre il 7, a volte l’11, il numero 7 è strano, il grande Mazzola preferiva il 9 o il 10 ma in nazionale il 7 gli toccava e non andò sempre bene» (a Maurizio Crosetti) • Nei quattro anni alla Juventus ha avuto come allenatore Giovanni Trapattoni: «A me piaceva giocare a sinistra, lui mi imponeva la destra perché vent’anni fa il tornante stava a destra e basta. Delle volte facevo finta di niente: svariavo e mi ritrovavo dall’altra parte, a sinistra. E lui giù a fischiare come un pazzo, a chiamare, a ordinare. Grande, il Trap: ho avuto discussioni anche forti, ma sempre leali. È stato, anzi è, uno dei personaggi più alla mano che abbia mai conosciuto» (a Claudio Colombo) • «Ha sempre la faccia di uno appena buttato giù dal letto, di un ex figlio dei fiori persosi tra Malibu e Valenza Po. “De profession bel zòven”, avrebbe detto Rocco di lui. Lo sapevano anche all’estero. C’ero all’aeroporto di Varsavia, Juve di passaggio per andare a giocare a Lodz. Agli sbarchi, gruppo di belle ragazze con un cartello in perfetto italiano: “Marocchino, vieni in discoteca a ballare con noi?”. Era l’83. Marocchino nella Juve giocava come se non fosse la Juve. Ignorando tutte o quasi le sacre regole. Il calcio era un gioco, la vita era bella perché c’erano (nell’ordine) le ragazze, le sigarette, il cinema, le mostre d’arte, i vini rossi. Boniperti, che conosceva i suoi polli, voleva inserire nel contratto una clausola: non più di 20 sigarette al giorno. No, disse Marocchino, sarebbe scorretto da parte mia, lei non ha tutti i mezzi per controllarmi. Non tutti, ma ex militari in pensione sì. Marocchino sembra appena caduto dal letto, ma era ed è sveglio. Li conosceva tutti, d’inverno li invitava a bere qualcosa al caldo. Una notte lo beccarono che rincasava alle 3. “Tutta colpa del presidente, insiste perché io respiri aria buona e io esco quando c’è meno smog”. Ricordo lo stupore con cui raccontò i sistemi di controllo. “Telefonata a casa alle 22.30, massimo 22.45, e devo essere lì a rispondere. Li ringrazio. La mia ragazza arriva alle 20, e dopo chi ha più voglia di uscire?”» (Gianni Mura) • A proposito del fumo: «Nello spogliatoio e pure in pullman: mi mettevo nel sedile lungo in fondo – tanto per gerarchia i senatori stavano davanti, a giocare a carte – mi stendevo e soffiavo il fumo in una bottiglietta di plastica» (a SportWeek) • «Non posso escludere che l’Avvocato qualche volta abbia provato a chiamare anche me alle cinque e mezza del mattino: il problema è che io rientravo a casa alle 6» (a Notti europee, Raidue) • «Il primo scudetto con la Juventus lo abbiamo vinto al Comunale all’ultima giornata contro la Fiorentina. Segnò Cabrini con un sinistro volante, ma il merito fu mio che gli feci un assist perfetto. Fu un’azione caparbia, la palla sembrava persa. La recuperai, la difesi e poi crossai al centro dell’area. Ma la cosa più bella la feci a fine partita. Fatta la doccia, me ne andai da solo nello spogliatoio del mio primo provino e mi fumai una fantastica Marlboro. Fumavo! Potevano essere tre al giorno come quindici. Il Trap era una bestia. Zoff una volta mi disse: “Moderati”. Quando Trapattoni iniziò a farmi giocare da titolare, ebbi l’illuminazione. Andavo a dormire un’oretta nel pomeriggio e iniziai a scalare le sigarette» (a Hurrà Juventus) • «E quel gavettone alla moglie di Trapattoni? “Eravamo a Villar Perosa, erano tutti acchittati, credo ci fosse una cena dall’Avvocato. Come nel calcio non devi guardare solo la palla, se fai un gavettone devi guardare gli spigoli della finestra: calcolai male l’angolo del braccio e le feci la doccia. Quell’acqua poteva arrivare solo dalla mia stanza, per fortuna per salire fin su c’erano molte scale e feci in tempo ad asciugarmi le mani, la prima cosa che mi toccò il Trap quando entrò in camera, trovandomi a letto: facevo finta di dormire…”» (a SportWeek) • «La multa più salata l’ho presa la volta che non mi sono svegliato e ho dovuto inseguire il pullman della squadra. Dovevamo andare a Verona a giocare. Appuntamento come al solito al Comunale. Succede che non mi suona la sveglia. Trapattoni non mi vede arrivare, smadonna. È tardi, allora dice all’autista di passare da casa mia. Non sapevano dove abitavo di preciso. Mai dare indizi al nemico. Conoscevano il quartiere. Immaginate la scena: il pullman della Juve che ciondola per Torino per recuperare un giocatore. Ma io stavo dormendo, quindi la comitiva prende l’autostrada per Verona. Io intanto mi sveglio, mi rendo conto che sono in ritardo e mi fiondo allo stadio. Non trovo nessuno, solo il custode che mi fa: “Devi raggiungere Verona con ogni mezzo”. Prendo l’autostrada e dopo un po’ raggiungo il pullman. La cosa buffa è che i miei compagni che stavano in ultima fila mi facevano con le mani il gesto dei numeri a indicare i milioni della multa. Qualcuno faceva otto, altri cinque, altri tre. Alla fine sono stati cinque, senza fattura. Un salasso. Boniperti mi disse soltanto: “Non ti sei fatto la barba”» (a Hurrà Juventus) • Nella finale di Coppa dei Campioni del 25 maggio 1983 disputata ad Atene e persa dalla Juventus 1-0 contro l’Amburgo, entrò in campo a mezz’ora dalla fine. «“Perdevamo 1-0, il piccoletto (Felix Magath, ndr) aveva segnato dopo 9 minuti, un tiro a effetto da lontano, a scendere, Zoff beffato, forse Dino aveva sbagliato o forse no. Entrai al 60’ al posto di Paolo (Rossi, ndr), e il Trap mise Michel centravanti, una scelta probabilmente azzardata ma credo che a quel punto neppure lui sapesse più cosa tentare”. Scorrono negli occhi le fotografie di una beffa, forse la più atroce dell’intera storia europea della Juventus. Scorrono a caso, come tutto. “Viaggio d’andata in charter seduto accanto a Gipo Farassino, lo chansonnier. L’assoluta certezza che avremmo vinto facile: come quando devi essere per forza felice il giorno del tuo compleanno. Il viavai delle persone nello spogliatoio. Noi che ridiamo durante il riscaldamento, nello stadio tutto bianconero che aspetta la coppa”. C’era solo da sbrigare la fastidiosa pratica della partita. “Quel torpore vitreo lo vedevo dalla panchina e poi lo ritrovai in campo, nell’ultima inutile mezz’ora: quando accade l’incredibile, l’impossibile e non puoi evitarlo. Come negli incubi dove provi a urlare, ma la voce non esce. Eravamo molli, sfatti. Mancava un leader: sono sicuro che fu un errore non schierare Furino, che avrebbe dato l’anima in quell’ultima partita e ci avrebbe svegliati tutti. E poi commettemmo lo sbaglio più imperdonabile per un atleta: sottovalutare l’avversario”» (a Maurizio Crosetti) • «Un’ala che aveva un gran talento e che in parte lo sperperò perché troppo amava la vita e le donne» (Giampiero Mughini) • A proposito delle donne: «Anche in assenza del mio avvocato, smentisco decisamente di essere stato distratto dalle donne. Mi sono sempre allenato regolarmente, solo che il mio rendimento non è mai stato troppo costante! Il mio, era un ruolo faticoso che, talvolta, mi portava a fare qualche figura di troppo; per di più, dal punto di vista tecnico non ero ineccepibile e, spesso, mi trovavo a giostrare in posizioni che non mi si addicevano troppo. Anch’io, come tutti, ho dei rimpianti; se potessi tornare indietro, cambierei molti atteggiamenti e qualche scelta» • «È che io non ho mai privilegiato la professione a dispetto della mia vita, e mi sono speso allo stesso modo di qua e di là. Non per incensarmi, ma avevo discrete qualità, eppure l’ultima partita in A l’ho fatta nella Samp a 27 anni. Mi sentivo un calciatore, ma la vita d’atleta non faceva per me. E poi non stavo mai zitto» • «Nel 1984 scese in Serie B per giocare nel Bologna di Bruno Pace. “Bruno, era davvero un matto intelligente. C’eravamo già incrociati qualche anno prima: lui in panchina nel Catanzaro, io nella Juve, e proprio contro di loro vincemmo lo scudetto all’ultima giornata, col rigore di Liam Brady. Bruno nel secondo tempo mi cambiò il marcatore con uno più fresco, ma non bastò a fermarmi. Quando arrivò a Bologna glielo ricordai, poi ci unirono subito le sigarette. Io Marlboro, lui Ms nazionali, roba da fumatori duri. Se le accendeva ovunque, giuro che una volta lo vidi sotto la doccia, sigaretta tra le dita e braccio largo, perché non si bagnasse”» (a Luca Bortolotti) • Dopo il ritiro ha avuto una breve esperienza da allenatore di una squadra di dilettanti, la Chiavasso, nella stagione 1988-89: «Mi sono trovato a insegnare cose che io, senza malanimo ma per beata gioventù, rifiutavo da giocatore. Tutta la mia vita è stata un percorso al contrario: per esempio, quando giocavo fumavo come una vaporiera, quando ho smesso ho dimenticato le sigarette» (a Claudio Colombo) • Adesso è opinionista tv, prima per Mediaset e Telenova, ora per la Rai • «Il racconto degli Europei di Calcio è imbarazzante […] Il fondo viene toccato con il post-partita. Invece di dare voce ai più competenti (Marco Tardelli o Gianfranco Teotino), dobbiamo sorbirci le sortite di Alessandro Altobelli e Domenico Marocchino, come se Rai1 fosse una tv locale. Come tv locale è difficile poi sfidare le leggi del mercato» (Aldo Grasso a proposito di Euro 2020) • Separato. Un figlio, Andrea, nato quando giocava a Bologna.
Frasi «Il giocatore funziona quando riesce a digerire il suo ruolo. È come nella vita privata, se non digerisci non stai bene» • «Io vi avverto, stasera sarò estroso: ho l’ippocampo polifunzionale» • «La critica è come l’edera: attacca sempre» • «In una squadra allenata da me, un giocatore che cammina lo vorrei sempre» • «Beh, sulla schiena il numero 7 lo abbiamo portato in tanti prima di Cristiano Ronaldo, pure io e Garrincha» • «Scusate, ma sono un po’ stanco, il programma tutte le sere tardi: neanche quando giocavo mi è successo di andare a dormire venti giorni di fila alle 4 del mattino».