16 maggio 2022
Tags : Mario Ceroli
Biografia di Mario Ceroli
Mario Ceroli, nato a Castel Frentano (Chieti) il 17 maggio 1938 (84 anni). Scultore. Celebre per le sagome di persone ritagliate nel legno a grandezza naturale. Sua la gigantesca scultura del Cavallo alato (in legno ricoperto d’oro) davanti al centro Rai di Saxa Rubra a Roma.
Titoli di testa «I quadri dietro il divano li detesto!»
Vita Proviene da una famiglia di umili origini. Il padre è un muratore e la mamma una casalinga. Trasferito a Roma a otto anni, viene mandato dai genitori, per errore, all’Istituto d’Arte di via Conte Verde, dove insegnavano maestri illustri: «Mio padre e mia madre volevano fare di me un impiegato dello Stato (…) mi hanno iscritto alla Scuola Galileo Galilei che comprende tre sezioni: l’Istituto Tecnico, l’Istituto Tecnico Industriale e l’Istituto d’Arte. Mia madre una mattina mi ci ha portato. Aveva paura a prendere l’ascensore e siamo saliti a piedi. Al primo piano c’era l’Istituto d’Arte, la mamma era stanca, si è fermata e mi ha iscritto a quell’Istituto» • «Dai dodici ai sedici anni fa il ragazzo di bottega presso gli studi di Leoncillo, Pericle Fazzini, Ettore Colla, dopodiché rimedia un piccolo studio in via Gregoriana e realizza ceramiche che vende a prezzi modici. Uno dei suoi primi collezionisti è il regista di cinema Elio Petri» [Costanzo Costantini] • Prima mostra a 16 anni • Nel 1957 abbandona la ceramica per una scultura povera, fatta di legni e di chiodi: «Mario Ceroli aveva appena terminato gli studi all’Istituto tecnico industriale quando un giorno, passando in Vespa sul lungotevere, vide che stavano potando gli alberi. Si fermò, notò un tronco che gli piaceva e chiese agli operai se glielo regalavano. Poi prese il tronco, lo portò nel suo studio di via Gregoriana e cominciò a lavorarlo: lo issò sopra un trespolo di ferro arrugginito e lo tempestò con grandi vecchi chiodi» [CdS]• «Tre di quelle opere rudimentali, esposte alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna, gli valgono il primo premio per la giovane scultura italiana. Della giuria fanno parte tre mostri sacri di quegli anni, ossia Giulio Carlo Argan, Cesare Brandi e Palma Bucarelli. È l’inizio d’un successo crescente, nazionale e internazionale» [Costanzo Costantini] • «Non ne potevo più della ceramica, era un lavoro lunghissimo. Al ritorno dal servizio militare, ho “ricominciato con l’alfabeto”: le mie prime opere in legno, dopo l’avventura del tronco con i chiodi, sono state le lettere dell’alfabeto. Quasi a esprimere la voglia di ricominciare a studiare» [Giommi, poliziamoderna] • In seguito Ceroli passa alle tavole: «quelle di legno da imballaggio, usate come coperture dei vagoni di legnami provenienti dalla Siberia e raccolte al termine di viaggi che durano settimane per arrivare in occidente, dalla sporcizia accumulata nelle stazioni, dai segni dei vari sdoganamenti. Ceroli ritaglia quelle tavole in sagome di figure umane che sovrapponeva in più strati rendendole tridimensionali. “Uso i legni di copertura dei vagoni perché costano meno – racconta lo scultore – le mie sculture sono molto cattive, molto secche, sono crudeli, sono molto precise, anche squallide”» [CdS] • «La mia generazione è stata all’avanguardia in quel momento su tutta l’arte contemporanea. Il nostro Paese in quegli anni era il numero uno. A tutt’oggi, nessuno si è soffermato a mettere ordine fra quella generazione che ha fatto grandi cose. Fu una realtà importante ma ancora un po’ trascurata […] Stranamente tutti i principali artisti di quel periodo venivano, come me, dalla stessa periferia est di Roma. Schifano, Festa, Angeli, Lombardo, Tacchi: venivano tutti dal Quadraro. È strano perché quelle erano e sono realtà dure. È curioso perché in genere si pensa che lì sia più facile prendere altre strade, e poi perché l’arte è difficile. È un fatto di sensibilità. Io credo che da certi quartieri può venir fuori una grande sensibilità. Non a caso io lì ho conosciuto Pasolini» [Giommi, cit] • «Il mio materiale è il legno. Sola materia. Non è più un albero: è tagliato, diviso in assi. E io faccio Pinocchio che dal tronco costruisce, ricompongo questa materia e la riporto a vivere. Perché in fondo la metamorfosi è questo» [ibid.] • «Andavo al vivaio di Roma, il vivaio San Paolo, e prendevo dai giardinieri questi tronchi d’albero, li caricavo e li portavo in studio, poi li spaccavo, li tagliavo. Nel 1960 ho scoperto la possibilità di usare un materiale industriale, come una tavola, un asse di legno… [Bolaffiarte, 1972] • Ceroli comincia a usare anche la carta. Compone i primi disegni a partire dal 1962, su carte Fabriano di formato ridotto. Poi comincia a ritagliare cartoncini, pezzi di scotch, pagine di giornale, elenchi del telefono: compaiono profili a più strati, come nelle sculture in legno. I disegni del ciclo Un anno d’amore contano 365 fogli disegnati come un diario, messi da parte, dimenticati: «Sono fogli di quaderno come fatti da un bambino. Tanti bambini sanno disegnare, la gente mi chiede spesso che cosa penso dei disegni dei bambini. Che cosa ne penso? Sono anch’io un bambino e chiedo ancora che cosa ne pensano gli altri di me» [CdS] • «Credo che la formazione di una persona avvenga dall’età di 5 anni fino ai 10/12 anni. È in quel periodo che si apprende ciò che ci segnerà. Si accumula una sensibilità che è fondamentale per tutto quello che accadrà dopo. Tornando con la memoria a quando ero bambino, mi ricordo che sentivo sempre un odore acre che proveniva da una falegnameria dove lavoravano molto al tornio. Poi c’era anche una fornace dove si fabbricavano mattoni, altra grande curiosità. Ecco, a voler trovare la radice del mio lavoro, credo che la cercherei lì. E forse è sempre da lì che proviene questa instancabile ricerca, sperimentazione, soprattutto nei materiali e nelle realizzazioni» [a Maria Grazia Giommi, poliziamoderna.it] • «L’ombra è la cosa che mi è stata più vicina da quando sono nato, le sagome le scopro dall’ombra, la cosa a me più cara» • Nel 1965 inizia a lavorare a Cassa Sistina, uno spazio che contiene tutti gli oggetti: tutto è trasportabile, commercializzabile. Ironia, mistificazione della realtà ne fanno un’opera d’arte eccezionale. L’opera gli vale il Premio Gollin • «Nella sua celebre Cassa Sistina munì qualche silhouette d’amici di “cock” ligneo, ma non tutti» [Alberto Arbasino] • Il 1966 è un anno decisivo: Ceroli espone alla Galleria La Tartaruga di Roma. Tra le varie opere, L’ultima cena realizzata un anno prima, e oggi conservata alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma [marioceroli.com] e vola a New York: «Sorride, è felice: perché è giovane, perché è geniale, perché ha successo ovunque: anche a Nuova York, dove espose cento farfalle, naturalmente di legno» [Fabiani, CdS] • «Ceroli mi spiega la sua nuova esperienza (la terza, dopo le sagome e la Cassa Sistina esposta alla Biennale) che è costituita da tre piramidi e da un sarcofago. Titolo generale: Progetto per la conservazione del corpo umano. Il complesso si ispira ai risultati di un simposio medico tenutosi a Bologna un secolo fa e durante il quale si scoprì che gli egizi conservavano i corpi mettendoli al centro di una piramide di mattoni. La prima piramide è infatti di mattoni e rappresenta inoltre, mi dice, un omaggio al papà muratore. La seconda piramide è di lamiera, sembra argento; la terza è di legno. E il sarcofago? È fatto di una grossa rete metallica che contiene un centinaio di pietre (ma sono pezzi di gommapiuma dipinti a colori scuri). E poi? Poi una cassettina con scritto su Brecht: l’apre, e dentro c’è una palla di legno. “Il cervello del poeta?”. “Forse”, risponde Ceroli» [ibid.] • Ceroli realizza Io, piramide di ghiaccio: «Ho usato la prima volta il ghiaccio al Festival di Spoleto nel 1968, una piramide di ghiaccio e sopra una palla di fuoco piena di carbone, una citazione leonardesca, e alla mostra Amore Mio di Achille Bonito Oliva c’erano dei tronchi tagliati, e alla galleria René Bloch a Berlino, nel 1968, c’era una gran palla di stracci che chiudeva la porta di ingresso» [ad Arturo Carlo Quintavalle, CdS] • «Oltre il raccordo anulare, al 1138 di via della Pisana, il cancello automatico apre, scorrendo, su uno spazio verde, la strada appena in salita. Camminando ecco alla destra una piscina, azzurro, rivestimento in ceramica, forme nere a ritaglio, sculture di metallo, un grande capannone dietro; alla sinistra, appena sopra una scala a fianco della casa rossa, una scultura famosa, Squilibrio (1984-87-90), l’uomo del disegno di Leonardo che sta a braccia e gambe spalancate dentro semicerchi metallici. Oltre l’angolo, mentre mi avvio all’ingresso dello studio, una scalinata fa da copertura di un altro grande capannone, una scalinata sulla quale si distende una figura enorme, Curve di livello dell’uomo (1972) una grande opera costruita per sagome sovrapposte […]. Nei capannoni facciamo un lungo percorso: la quantità dei pezzi e la loro qualità è incredibile, vedo le grandi sagome della Battaglia (1978-79), cavalli, lance, figure; vedo La Cina (1966) con le sue schiere di guerrieri tutti uguali ritagliate nel legno; vedo Discorsi platonici sulla geometria (1985-90), enormi figure di Atlanti alti tre metri sempre di legno ritagliato che reggono parallelepipedi […]. Vedo le sculture delle origini, del 1962-63, il Sì, il No, Stella (1964), Goldfinger (1965) e un involucro chiuso, che riconosco subito, Cassa Sistina, del 1966, esposto alla Biennale, dentro profili, sagome, imballaggio di una creazione che comunque si sarebbe ormai potuta esportare: “Allora infatti il Vaticano aveva spedito negli Stati Uniti la Pietà di Michelangelo, c’erano state polemiche terribili, così mi è venuto in mente che si potesse volere imballare e spedire via anche la cappella Sistina”» [Quintavalle, cit.] • Del 1968 a Torino l’indimenticabile scenografia per il Riccardo III di Luca Ronconi. Dice Ceroli «dopo quelle scene, da allora in Italia si è fatto un teatro diverso» [ibid.] • «Fra 1968 e 1967 ho fatto teatro ma anche una trasmissione televisiva Orizzonti della scienza e della tecnica dove in scena c’era L’uomo di Leonardo, Il mappacubo, La Piramide; nel 1969 ho fatto con Patroni Griffi Addio fratello crudele, allora cominciavo anche a fare la chiesa di Porto Rotondo. In teatro ho usato il palcoscenico come lo spazio di una galleria, non ho mai disegnato una scenografia, il lavoro che avevo nello studio lo rappresentavo in teatro» [ibid.] • «Lo scenografo Ceroli è stato confuso con uno scultore, perché da un po’ di tempo chiunque manipoli materiali e oggetti colorati o meno si autoproclama tale. Questo non vuol dire che egli non abbia niente dell’artista – e forse agli inizi, quando faceva parte del gruppo di Plinio De Martiis, lo era anche – perché gli scenografi un po’ devono esserlo. Solo che come lui ce ne sono a bizzeffe» [Sebastiano Grasso, CdS] • «Una volta un giornalista mi definì uno scenografo. Lo denunciai e vinsi la causa» [a Luca Beatrice, Giornale] • «Questa cosa che io sono uno scultore del legno non è affatto vera, perché ho fatto diverse esperienze con i materiali: ho usato il legno, ho fatto ceramiche, ho usato il marmo, ho realizzato cose con il ghiaccio, con l’acqua, ho fatto cose di carta, cose di stoffa. All’inizio ho scelto il legno perché ero molto povero e il legno mi dava la possibilità di realizzare un’idea immediatamente senza l’intervento di collaboratori, che potrebbero essere un fabbro o una tipografia. Il mio lavoro l’ho sempre fatto io, senza interventi esterni» [Bolaffiarte, 1972] • «Io ho fatto molte cose in questo mio lavoro. Mi sono impegnato a 360 gradi, non ho fatto solo lo scultore. Ho realizzato allestimenti per i più grandi teatri del mondo e scenografie per il cinema. Ho fatto persino l’architetto, pur non essendo architetto. Ho realizzato il teatro e la chiesa di Porto Rotondo in Sardegna, la chiesa di Tor Bella Monaca qui a Roma. Di chiese ne ho fatte quattro con l’ultima che è la cappella dell’Istituto superiore di polizia, vicino al Sacrario» [Giommi, cit.] • E il suo sogno di bruciare la chiesa di Porto Rotondo? «Sembra una follia, invece è una cosa giusta. Diventerebbe bellissima. Come una magia». Per non essere frainteso, ci spiega in che modo? «La chiesa di Porto Rotondo è un posto dove si dà a tutti la possibilità di meditare, riflettere, pensare. Come la cappella dell’Istituto superiore di polizia. E, come quella, per me non è finita. L’idea di bruciarne l’interno è per renderla ancora più viva, eterna. Bruciare il legno, piano piano, con la fiamma ossidrica, significa veramente dargli più vita. Tutta la superficie prende una luce incredibile, argentea e dura in eterno. Nel momento in cui si interviene con questa tecnica, il legno diventa come un fossile, non è più attaccabile dagli agenti atmosferici, dalle tarme. Mi piace “rivisitare” le mie opere a distanza di tempo. Per non abbandonarle». Un sogno nel cassetto? «Destinare questa mia casa museo alla collettività. Ci sono moltissime opere che vorrei restassero qui, piuttosto che in un museo, anche per come è organizzato lo spazio. Vorrei dare la possibilità ai ragazzi di avere una borsa di studio e stare qui un periodo per studiare. Perché l’arte educa» [Giommi, cit.] • «Vanno ascoltate le sculture di Ceroli. Rappresentano l’attesa primordiale, il balbettio cosmico, il vagito della speranza. Il segno vibra e dondola nella sua ripetizione: l’essenza delle cose è la loro musica e Ceroli la coglie, la (rac)coglie, la riproduce come ritmo timbro e tono. Solo il tempo della musica può raccordare questi legni alla loro primordiale storia cosmica» [Carmine Benincasa]. Tra le ultime opere, riveste particolare interesse il ciclo avente come soggetto Pinocchio, realizzato dall’artista nel 2001. Svolge anche attività scenografica. Tra le mostre personali, si ricordano quella al Museo della Capitale a Pechino (1999), al Museo Nacional de Bellas Artes a Buenos Aires (2000) e a Castel Sant’Angelo a Roma (2000) [Treccani] • L’edizione artistica di Pinocchio da lui illustrata nel 2002 conta 975 copie vendute a 5.100 euro l’una • Sono del 2007 opere come La nuda verità, Guerriero Frentano: figure umane intagliate nel legno e cosparse di cenere, a simboleggiare l’essere umano che si fonde con la natura. Il 2007 è anche l’anno che vede che la realizzazione della maestosa opera Paolo e Francesca, con la ricomparsa del tema della scala: figure umane si stagliano su una scala, ai piedi cumuli di colore variopinto [marioceroli.com] • «Annunciazione del terzo millennio, realizzata alle soglie del 2000, suona come premonitrice della disgregazione attuale; l’Angelo sterminatore, a metà tra Castel Sant’Angelo e Luis Buñuel, è una figura minacciosa e allarmante, quasi a voler riportare un po’ di ordine nel nostro mondo confuso. Se queste due grandi sculture in legno, trattato con alchimia, bruciato, colorato, riassemblato, potrebbero far pensare a un Ceroli quasi “politico”, altrove si alleggerisce, inserendo la foglia d’ oro che ci riporta a una visione più calma della realtà, eppure mai pacificata. È L’ Italia che dorme, il Bel Paese disteso come su un letto, che narcisisticamente contempla la propria bellezza, al punto che il vanto gli impedisce di svegliarsi dal troppo lungo torpore. Oppure Con l’acqua alla gola, pensata per Venezia: stiamo affogando ma in qualche modo ce la faremo» [Beatrice, cit.] • Del 2007 Silenzio: ascoltate!, una sorta di tratto di cavea teatrale collocata nella piazza Bambini e Bambine di Beslan di Firenze, su cui si slanciano le sagome di “geni fiorentini” quali Dante, Giotto, Ghiberti, Brunelleschi, Masaccio, Cellini, Cosimo il Vecchio, Lorenzo il Magnifico, Botticelli, Michelangelo, Leonardo, Amerigo Vespucci, Antonio Meucci e Roberto Benigni; e infine uno degli ultimi lavori documentati risulta essere la commissione giunta nel 2008 dalla città di Siena per realizzare il drappellone del famoso Palio • Del 2016 il titolo di Accademico dell’Università Roma Tre • «Continua a sperimentare, disegnare, produrre, con l’atteggiamento da ragazzo, di chi non teme certo di andare al cuore del problema. Da qui la scelta di evitare l’esposizione di opere storiche, il contrario di quell’ atteggiamento conservativo tipico di chi vive di rendita. A Pietrasanta, nella città della scultura, Ceroli si presenta nel 2017 con una mostra di eccezionale impatto visivo, nel segno dell’energia e della voglia di mettersi sempre in discussione. “Flora Bigai se la meritava proprio, ha lasciato decidere tutto a me, senza battere ciglio. Ho avuto la libertà di divertirmi e far divertire il pubblico, è questo che dà senso all’ arte”» [Beatrice, cit.] • Entro l’estate finirà i lavori al Teatro a lui intestato a Porto Rotondo interrotti per mancanza di fondi. Realizzerà anche un mosaico La strada dei fiori, tra la chiesa di San Lorenzo e il teatro.
Amori Fra la fine degli anni Sessanta e primi anni Settanta, ha una relazione con Daria Nicolodi ritratta nelle sagome di legno esposte nella mostra personale Aria di Daria del 1968 presso la Galleria de’ Foscherari di Bologna. Da questa relazione nasce il 9 giugno 1972 la sua figlia primogenita, Anna, morta tragicamente in un incidente in motorino il 29 settembre 1994 • È stato quattro anni con Stefania Sandrelli, l’attrice: «È l’unica persona con la quale non ho continuato nessun tipo di rapporto. Neanche il saluto» [Sabelli Fioretti] • «L’ho amato molto. Brevemente, ma intensamente. Quando ho un’attrazione che sento essere fatale, mi butto sempre e non mi risparmio. Ceroli però era molto cerebrale, complicato e la cerebralità, in amore, è un deterrente totale» (Stefania Sandrelli) • Nel 1995, a 58 anni, sposa Raffaella Amati appena trentenne: «Riempiono i rotocalchi di interviste al miele dove dichiarano “che la differenza d’età in una coppia non è certo un problema” e di foto che li ritraggono teneramente allacciati nel salotto della villa museo di via della Pisana. Dove fra quadri e sculture, a sorpresa era parcheggiata anche una Ferrari» [Piperno, Rep] • Hanno due figlie, Allegra e Virginia, ma il matrimonio dura pochi mesi e tre anni e mezzo dopo i due sono ai ferri corti e la loro storia finisce in tribunale • «Non a caso, in un’intervista rilasciata in tempi non sospetti dichiarava di essere “una vittima delle donne”» [Piperno, Rep]. Oggi Mario Ceroli vive a Roma con la sua famiglia.
Titoli di coda «Mi reputo ancora oggi un operaio».