18 maggio 2022
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Biografia di Michele Placido
Michele Placido, nato a Ascoli Satriano (Foggia) il 19 maggio 1946 (76 anni). Attore. Regista. Famosissimo commissario Cattani de La piovra tv, Nastro d’argento come miglior attore per Pizza connection (Damiano Damiani, 1985) e Marcia trionfale (Marco Bellocchio, 1976). Ha diretto tra l’altro Un eroe borghese (1995), Del perduto amore (1998), Un viaggio chiamato amore (2002), Ovunque sei (2004), Romanzo criminale (2005, David di Donatello per la sceneggiatura, Nastro per la regia), Il grande sogno (2009), Vallanzasca – Gli angeli del male (2010), La scelta (2015) e L’ombra di Caravaggio (2021). Da ultimo visto come attore al cinema in Corro da te di Riccardo Milani (2022), in televisione nella serie Noi di Luca Ribuoli (2022) e a teatro nei panni di Don Marzio nella commedia di Carlo Goldoni La Bottega del caffè per la regia di Paolo Valerio (2021-2022). «Me lo dicono spesso: “Perché non scrivi un libro? Che ti ci vuole?”. Ho una sola certezza. Non succederà mai».
Vita «Più che fare discorsi autoriali, preferisce raccontarsi come “uomo del Sud, cresciuto in una situazione familiare abbastanza felice, appassionato dello stare a tavola, del bere e del mangiare bene”. Racconta un passato senza traumi che lo ha reso quello che è oggi: il collegio di preti che l’hanno educato con passione, preoccupandosi “di farmi progredire sul piano dello studio più che su quello della spiritualità”; la caserma di Pubblica sicurezza dove, mentre si preparava a diventare poliziotto, scoprì il piacere della lettura: “È nella biblioteca della caserma che ho trovato per la prima volta i libri di Sartre e di Pavese”; l’incontro magico con il mondo del cinema, e poi la tv» (Fulvia Caprara) • «Voleva diventare sacerdote e fare il missionario in Paraguay come lo zio, ma per una storia d’amore con una suora venne cacciato dal collegio. Un esordio significativo per il futuro attore, regista e anche tombeur de femmes che poi si sarebbe sposato tre volte e avrebbe avuto ben cinque figli. Però Michele Placido minimizza: “Ero un ragazzino di 12 anni, all’epoca nutrivo una sincera vocazione e quella storiella fu innocente. Lei si chiamava Antonietta, aveva 18 anni, era suora di clausura ed era addetta nel collegio, dove mi trovavo da quando avevo 9 anni, al cambio della biancheria di noi educandi. Le passavo il mio sacco con gli indumenti attraverso la famosa ruota. Non ci vedevamo, ma sentivo la sua vocina dolce che sbocciava dalla sua bocca che immaginavo soltanto. Cominciammo a scambiarci informazioni: come ti chiami, dove sei nata, lei era di Benevento e veniva da una famiglia molto povera. Poi iniziammo a scriverci bigliettini, una corrispondenza segreta attraverso la ruota. E quando da casa mi arrivavano i pacchi di provviste, con caciocavallo, salumi, dolciumi, passavo anche a lei un po’ di cose da mangiare, perché la sua famiglia non le mandava niente. Finché arrivò il Natale e quella sera riuscimmo a darci appuntamento di notte nel campo sportivo. Faceva un freddo terribile, io scappo dal mio letto e lei dal convento”. E che succede? “Beh... Antonietta, mai vista prima, era bruttarella: lei con la tonaca, io con i pantaloni alla zuava. Cominciammo a consumare le mie cibarie, poi ci abbracciammo, ci baciammo e, forse, qualche altra cosetta... Era il primo corpo femminile con cui entravo in contatto. Lei mi sussurrava ‘sei il mio sposo: tu e Gesù‘”. I superiori come lo vennero a sapere? “Forse confidai a un compagno la mia avventura e al confessore avevo detto che avevo peccato. Da dietro la grata mi chiese: ti sei toccato? E io, nella mia totale innocenza, risposi con voce rotta dal timore che avevo fatto cose brutte... Fummo cacciati entrambi e finì la nostra love story. Io posi fine al mio percorso: il missionario non l’avrei fatto, era sbocciata la mia sessualità e non potevo accettare l’idea della castità. Mi dispiacque molto per Antonietta: non ci siamo più visti”. Papà Beniamino e mamma Maria come la presero? “Non benissimo, ma ero felice di essere tornato a casa, nella mia numerosa famiglia, 8 figli: cinque maschi e tre femmine... E nel mio paese, però a scuola dovetti fare i conti con il mio disturbo dell’apprendimento”. Spieghi meglio. “Alle elementari la mia attenzione svaniva quando c’erano materie come matematica, chimica, fisica... mi distraevo, ero un vero ciuccio. Però ero attento alle lezioni di italiano, lì il mio cervello si attivava con energia superiore a quella dei compagni. La poesia mi piaceva molto, sapevo talmente bene quelle di Pascoli che, quando arrivavano a scuola gli ispettori, la maestra me le faceva recitare”. Poi proseguì gli studi al liceo classico? “Macché! Mio padre, geometra, mi fece iscrivere all’istituto tecnico industriale. Un disastro. Venivo sempre rimandato e poi bocciato. I miei genitori erano preoccupati e chiesero a mio zio maresciallo di farmi entrare in polizia. Vinsi il concorso con il solo diploma di terza media perché, in verità, ero stato raccomandato: una nostra parente era segretaria dell’allora ministro dell’Interno Taviani. Avevo 19 anni, venni a Roma e mi ritrovai a fare il celerino quando nel ’68 ci furono le sommosse degli studenti a Valle Giulia”» (a Emilia Costantini) • «Nasciamo tutti con la voglia di travolgere il mondo. E allora orge, spinelli, occupazione delle piazze. Non fui da meno, a dodici anni ero già scatenato, mi piaceva sbirciare sotto le gonne delle signore. E da ragazzo manifestavo per le strade con i miei coetanei» (a Leonetta Bentivoglio) • «Quasi tre anni in divisa, per rassicurare un padre geometra, che non gli avrebbe mai permesso di fare l’attore. Nelle ore libere, a preparare l’esame all’Accademia di arte drammatica. Tema del saggio, Le mani sporche di Sartre. Placido arriva mezzo vestito da agente e mezzo da attore alternativo, la commissione ride, nonostante la scena tragica che il candidato sta recitando, ma alla fine lo promuove. “Venivo da una famiglia semplice, di origine lucana. Otto figli, mamma casalinga, la Dc era il partito di riferimento. Abitavamo davanti alla cattedrale e al seminario, aprivi la finestra e ti beccavi un funerale o un matrimonio, papà è stato anche presidente dell’Azione cattolica, poi lasciò la politica, molto deluso, e morì a 54 anni”. Nella capitale, alla vigilia del Sessantotto, il giovane attore passa in un attimo “dal manganello alla contestazione contro i miei colleghi poliziotti. Saltai la barricata in pieno quando si trattò di occupare la scuola di teatro dove ero finalmente approdato”» (a Barbara Palombelli) • «Il suo debutto fu nell’Orlando furioso diretto da Luca Ronconi. “Avevo 20 anni, interpretavo Agramante. Luca mi adorava, ma si arrabbiava perché ero indisciplinato e studiavo poco. Però apprezzava la mia istintualità: la sua scuola mi ha fatto capire la vocazione teatrale e gliene sono grato. Come sono grato a Strehler, quando mi affidò il ruolo di Calibano nella Tempesta. Secondo lui avevo qualcosa di diverso dagli altri e disse: tu non hai autostima, ma sei dotato di un’interiorità naturale. Poi aggiunse: io ti trasformerò. Così come mi voleva trasformare Lina Wertmüller, in maniera piuttosto pesante”. Cioè? “Eravamo alle prove per La Cucina di Wesker. Lei mi urlava: sei un cane! Mi prendeva a calci nel sedere, mi umiliava perché non sapevo bene la parte”. Il solito problema del disturbo di apprendimento? “Credo di sì. Decisi di mollare tutto, ma Lina mi venne a cercare dicendomi, Michelino tu sei bello, sei bravo, puoi diventare un primattore, perché non impari il copione?”» (a Costantini) • «Pagavano bene e con centomila lire a posa io e i miei amici mangiavamo al ristorante per settimane. Ci dicevamo allegri: “Andiamo a fare una marchetta per il cinema” e recitavamo senza farci troppi scrupoli in film di tutti i generi. Io pensavo al teatro. Avevo esordito con Ronconi nel ’69 ne L’Orlando furioso e il set mi sembrava un diversivo. Un passaggio di tempo tra una tournée e l’altra. Prima di accettare chiedevo sempre chi fosse l’attrice. Baciare Ornella Muti o la Antonelli era molto più importante della trama» (a Malcom Pagani e Fabrizio Corallo) • «Il primo documentario, Pummarò, lo girai quasi per caso. Ero a Capalbio, vidi dei ragazzi africani che raccoglievano i pomodori. Mi fermai a parlare con uno di loro, mi spiegò che con due mesi in Italia riusciva a pagarsi l’università in Bulgaria. La storia piaceva a Valsecchi, che la raccontò a Claudio Martelli: ci aiutò, portammo il film a Cannes ed ebbe un grande successo» • «Anche La piovra fu un puro caso. In Rai mi avevano bocciato: “Non ha il fisico, ha la voce stridula, non funziona, nessuno crederà che sia un vero poliziotto”. Il regista, Damiano Damiani, mi venne a cercare e mi convinse mentre recitavo con Strehler ne La tempesta. Il successo fu immediato. Non potevo andare neanche più a fare benzina. In teatro, i miei colleghi che snobbavano la televisione erano sconvolti. Eravamo in scena con Metti una sera a cena di Patroni Griffi. Un cast della Madonna: Florinda Bolkan, Bentivoglio, Remo Girone che poi, a partire da La piovra 2, ebbe un ruolo importante nella serie. Ogni sera, all’applauso finale, quando facevo capolino in teatro si scatenava l’ovazione. […] A me poi La piovra ha salvato letteralmente la pelle. Stavamo girando Afghan Breakdown in Tagikistan. Una notte Dushanbe, la capitale, si ritrovò in piena guerra civile. I musulmani si erano ribellati al comunismo e in città si era scatenato l’inferno. Venimmo svegliati all’improvviso ed evacuati in tutta fretta verso l’aeroporto con i carri armati. C’erano spari, vittime e scontri a fuoco. A un certo punto per la tensione e per il caldo mi sentii svenire e chiesi urlando di affacciarmi dal blindato. Eravamo in una piazza piena di gente, appena mi videro apparire dall’alto, i manifestanti si fermarono e iniziarono i cori: “Cattania! Cattania!”. Un delirio nel delirio. […] Nei lunghi mesi di preparazione in Tagikistan avevo fraternizzato con i “cattivi”, diviso pranzo e cena con i rivoltosi, frequentato le tantissime comparse musulmane del film che poi in gran numero, seppi in seguito, si arruolarono con i talebani. Furono loro a darci il nullaosta per fuggire. Provai un fottuto terrore quella notte, lo giuro sui miei figli» (a Pagani e Corallo) • «Il ricordo più bello e il più brutto del Festival di Venezia? “Nelle mie quattro volte hanno premiato i miei attori, Accorsi, Trinca, e anche me. Poi ricordo il periodo dei “cretinomani”, giovani critici che irrompevano nelle sale e fischiavano i miei film, con Ovunque sei già sui titoli di testa: all’ottimo Accorsi, a mia figlia Violante, ancor più forti. Un tiro al piccione. Oggi non m’importa di Venezia o Cannes, cerco solo di fare bei film. Da questo punto di vista Venezia non mi manca”» (ad Arianna Finos) • «Io sono contro una sinistra un po’ snob che scansa il cinema popolare. Quando Antonioni andò a Cannes, i giornali lo incensarono. Pietro Germi fece notare: guardate che a Cannes ci vado anch’io. Non se lo filò nessuno. E poi indovini chi vinse la Palma d’oro e pure un Oscar?» • «Non bisogna sottovalutare la funzione sociale della televisione, è meglio presidiarla con intelligenza piuttosto che abbandonare il terreno».
Famiglia Cinque figli: Violante (1976), Michelangelo (1990), Brenno (1991) dall’ex moglie Simonetta Stefanelli, Inigo (1988) da Virginie Alexander, Gabriele (2006) da Federica Vincenti, 36 anni più giovane di lui, sposata nel 2012: «Vuoi mettere una coppia di sessantenni e avere vicino una ventenne? Bisogna godere della giovinezza» • «Ho assistito ai parti di tutti i miei figli, affascinato dal sacrificio, dalla sofferenza della donna e dal vedere l’origine della vita» (a Costantini).
Politica Di sinistra • «A quattordici anni, al mio paese, ero iscritto alla Giovane Italia perché i fascisti erano gli unici che facevano attività politica tra i ragazzi. Poi, facendo il poliziotto, mi sono ideologizzato a sinistra: ho fatto il poliziotto perché volevo venire a Roma, era l’unico modo» • Nel 2008 ebbe un duro scontro con Raffaele Lombardo, il candidato del Pdl che poi sarebbe stato eletto presidente della Regione Sicilia, durante una puntata di Tetris di Luca Telese su La7. Tutto nacque dalla sua frase: «Per cinque anni non dovremmo candidare alle elezioni politiche uomini del Sud. Hanno dato e danno quotidianamente uno spettacolo indecente di mafiosità, malaffare e incapacità».
Religione «Lei è un credente non praticante?
“Io pratico tutte le ore della giornata. Avendo studiato in un collegio di missionari ho uno spirito religioso molto forte. Però mi dà fastidio che Dio sia definito al maschile. Siamo portati a immaginarlo come un signore con la barba che ci guarda dall’alto dei cieli. Io, quasi alla fine del mio viaggio, forse qualche pensiero non dico più profondo ma un po’ più vicino a quello che la mia intelligenza mi propone me lo sono fatto e credo che Dio non sia né maschio né femmina... E, se proprio dovessi scegliere un genere, mi piacerebbe fosse donna, ho più fiducia in loro» (a Chiara Maffioletti).