19 maggio 2022
Tags : Diego Abatantuono
Biografia di Diego Abatantuono
Diego Abatantuono, nato a Milano il 20 maggio 1955 (67 anni). Attore. Sceneggiatore. Conduttore televisivo. Vincitore, tra l’altro, di un David di Donatello alla carriera (2021). «Sono il pugliese non pugliese più famoso di Puglia» • Figlio di un pugliese di Vieste (Foggia) e di una lombarda di Como, nacque e crebbe a Milano, nel quartiere del Giambellino. «Milano, casette popolari a schiera. Mio padre smise di fare il calzolaio quando, con il boom economico, la gente perse l’abitudine di far riparare le scarpe, scoprendo che era molto più divertente comprarne subito un paio nuovo. Allora s’inventò un altro mestiere e diventò “modellista”: riduceva in scala le dimensioni delle navi, che poi venivano ricostruite in miniatura. Il più bel regalo di Natale me lo costruì lui. […] Un plastico bellissimo, un fortino con dentro i cowboy e tutt’intorno gli indiani. Per mesi, gli amichetti mi trattarono come un miracolato» (a Fabrizio Roncone). «Quali sono stati i primi amici della sua vita? “Gli amici della mia infanzia al Giambellino, dove abitava mio nonno, che mi portava a mangiare uova sode, pane, acciughe e burro in un’osteria sul bordo d’un laghetto artificiale. Eravamo una bella banda: ricordo Bruno e Paolo, che ho perso di vista, e poi l’Ugo, Ugo Conti, che è ancora mio amico, e non soltanto per via del Milan. Quando siamo con altra gente ripeto sempre che io e Ugo eravamo all’asilo assieme, solo che lui si è fermato e io sono andato avanti! A giocare non ci si stancava mai: a pallone, a figurine contro il muro, al Giro d’Italia con i tollini, a lanciare bussolotti con la cerbottana. D’estate in batteria a fare bagni al Lido di piazzale Lotto con un carico di panini di filzetta, un salame bluastro che costava poco, e di pesche, che non mangiavamo perché si cuocevano al sole. Così finiva che prima di rivestirci ce le tiravamo addosso”» (Gian Luigi Paracchini). «Con sua madre andava al cinema. “Papà andava al bar – non si sa se era proprio il bar: si profumava molto, la mamma chiedeva perché –, e noi andavamo al cinema a vedere un bel “cappa e spada” o i Maciste, o i western. Una sera lo abbiamo trovato sotto che telefonava: la telefonata fatta al bar tutto profumato era strana. Ha provato a dire che stava chiamando sua madre. ‘A quest’ora? Mi dia un gettone’. ‘Sciura Maria, ‘l gha ciama’ el Matteo? No?’. (Mia nonna era trilingue: pugliese, italiano e milanese). Ha detto un ‘Vergogna’ che ancora mi ricordo. E anche una pedata nel culo. Lui rideva, per reazione”» (Stefania Ulivi). «I capelli ricci sono stati una delle grandi tragedie della mia adolescenza. C’erano quelli che davano il colpetto con la testa e buttavano giù il ciuffo: se non buttavi il ciuffo, valevi poco. Passavo interi pomeriggi con la piastra. Quando mi sentivo figo uscivo, ma viaggiavo in bus e a Milano il clima non concedeva possibilità. Una volta mentre sul bus aspettavo che salisse la ragazza con cui dovevo andare a ballare mi vidi riflesso, i capelli dritti in un’orrida calotta. Orribili. Sono sceso dal bus e tornato a casa: lei, non l’ho vista mai più» (ad Arianna Finos). «“Sono figlio unico, e non ho mai amato stare da solo: per me la compagnia è sempre stata fondamentale. Quando non l’ho avuta, l’ho cercata”. Dove? Al Derby di Milano, “il posto più importante della mia vita”, locale storico, fucina di talenti, frequentato con pervicace assiduità, come se fosse una scuola» (Fulvia Caprara). «Ho cominciato a frequentarlo a sei anni perché mio zio era il proprietario e mia madre ci lavorava come guardarobiera. Purtroppo, non ero particolarmente interessato allo studio, e così dai 15 anni ho cominciato a viverlo più assiduamente. Facevo un po’ di tutto. Dal tecnico delle luci al direttore di scena. Un’esperienza fantastica, una scuola di vita. I miei interlocutori erano Enzo Jannacci, Cochi e Renato, Paolo Villaggio, Beppe Viola, Dario Fo, Gaber, I Gufi, Umberto Bindi, Franco Califano, Gianfranco Funari» (a Monica Sala). «Può succedere che un ragazzino impari a parlar bene in un cabaret invece che in classe: “La mia pseudo-cultura, me la sono fatta lì: stavo a sentire, attento. Dalla bocca mi uscivano svarioni, per esempio ‘trinceando’ invece di ‘trincerando’: me li facevano notare, e, se a correggerti è un amico, poi non sbagli più”. […] L’altra università era il cinema, passione coltivata in gruppo» (Caprara). «La giornata cominciava a mezzogiorno: “Percorrevo sempre la stessa strada, vivevo al Giambellino, mi svegliavo poco prima dell’ora di pranzo e mangiavo con i miei genitori. Poi uscivo, passavo dal giornalaio per comprare Diabolik e facevo la strada da piazza Cordusio a San Babila, per poi arrivare a piazzale Loreto”. A quel punto, con i Gatti [I Gatti di Vicolo Miracoli – ndr], partiva il “cazzeggio”: “Si parlava di politica. A Roma, a quei tempi, c’era il Bagaglino, che era di destra, mentre noi del Derby eravamo di sinistra. Le donne erano fuori, amanti, fidanzate: l’amicizia vera era tra maschi. Capitava anche di litigare, perché essere amici vuol dire che si può discutere e poi tornare come prima”. A furia di scherzi e di confronti, Diego, il più giovane della banda, stava crescendo: “Cominciai a fare il presentatore. La prassi voleva che al centro dello spettacolo ci fossero i nomi già celebri e che invece i primi e gli ultimi fossero gli sconosciuti, gli esordienti, tra cui c’era una gran rivalità. La mia tecnica consisteva nel dilatare al massimo il tempo dell’introduzione, la facevo durare un’ora, e così la fine”. Fu in questo modo che, sotto gli occhi di Umberto Smaila, Ninì Salerno, Jerry Calà, Gianandrea Gazzola, l’ex allievo Abatantuono diventò attore» (Caprara). Nel 1976 l’esordio cinematografico. «A vent’anni accompagnai i Gatti di Vicolo Miracoli al casting di Romolo Guerrieri in un hotel: mi volle per il poliziottesco Liberi armati pericolosi. Due lire mi facevano comodo e accettai. Non pensavo minimamente di fare l’attore». Nel frattempo continuava a frequentare il Derby, dove «debutta da comico strappando applausi e consensi con il personaggio del “terrunciello”, un irresistibile prototipo di immigrato meridionale dalla parlata maccheronica messo a punto insieme a Giorgio Porcaro» (Giacomo Perra). «Era un disintegrato che voleva integrarsi, “milanese al 100%”. Un’iperbole, ma esisteva davvero». Una sera, Renzo Arbore «era venuto al Derby: mia mamma Rosa stava al guardaroba. Iniziavo a essere conosciuto, ma non facevo tv, bisognava venire a Milano. Le chiese di me. E lei: “Chi, quello? Ma è un deficiente, lasci stare”». «Da quel momento, nell’arco di un anno, è cambiato tutto. Mi hanno chiamato per Il pap’occhio, ho iniziato a fare tante partecipazioni». «I treni passavano e li ho presi tutti. Un giorno ho preso un teatrino a Roma, piazza Navona, per una settimana, affittandolo a spese mie per lo spettacolo che facevo al Derby. […] Invitai tutti: vennero i Vanzina, Pozzetto, Villaggio, Benigni, e anche Steno con Monica Vitti. Che fu molto carina e affettuosa con me: si divertiva molto con il mio personaggio che parlava pugliese. Ci siamo trovati e mi ha chiamato per Il tango della gelosia, dove ho fatto il primo ruolo da coprotagonista con lei: prima avevo fatto solo qualche partecipazione. […] Quel film fu un grande incasso, mi ha lanciato». «È l’inizio di un’ascesa fulminea, che lo porta, nel giro di due anni, a replicare gesti e inflessioni dialettali del “terrunciello” in ben nove lavori, tra i quali si segnalano, per fortuna soprattutto commerciale, quelli diretti da Carlo Vanzina, con menzione particolare per I fichissimi, 1981, ed Eccezzziunale… veramente, 1982» (Perra). «La consacrazione definitiva per Abatantuono arriva con […] Ecccezzziunale… veramente. Un colpo di genio (che Diego ha anche co-sceneggiato) dove i personaggi da lui interpretati triplicavano all’interno di un unico film dominato dalla sua grande passione per il calcio e in cui i protagonisti rappresentavano con modalità e psicologie differenti tre tra le maggiori tifoserie del campionato italiano: quelle della sua squadra del cuore, il Milan, e delle rivali Inter e Juventus. […] Eccezzziunale… veramente è però anche il primo dei cinque titoli (troppi) con cui Abatantuono invade il campo nel 1982. E, dopo un exploit così maestoso, qualcosa inizia a incrinarsi pericolosamente. […] Il pur simpatico Viuuulentemente mia di Carlo Vanzina, dove Diego ha per partner Laura Antonelli, segna una battuta d’arresto degli incassi, che prelude al gigantesco insuccesso natalizio del “brancaleoniano” Attila flagello di Dio, […] di Castellano & Pipolo. […] Consumatasi nell’arco di nemmeno un quinquennio, l’ascesa cinematografica di Abatantuono si era già trasformata in caduta» (Filippo Mazzarella). «“Credevo di essermi sistemato per sempre e avevo fatto investimenti in linea con l’illusione. Un giorno, a inizio anni ’80, mentre sono in Autogrill, infilo un gettone in un telefono e l’orizzonte cambia. Mi dicono cose strane: ‘Non c’è più una lira’. Parlano di debiti. Era svanito tutto, e non si trattava di finzione”. Cosa era successo? “Agenti, commercialisti e produttori erano fuggiti con il malloppo. Sbianco, mi incazzo, sbraito, ma non smuovo nulla. Dovetti riprendere da zero, arare l’Italia, mettere in fila una serata dopo l’altra. Dignità, chilometri e location modestissime. Anni difficili”. Chi la aiutò? “Maurizio Totti. Uno dei miei amici più cari, il mio socio. […] Siamo come fratelli. Lui e Avati mi salvarono la vita”» (Malcom Pagani) «“Un giorno ero andato a trovare una mia ex fidanzata. Lei aveva un mio vecchio cellulare. Squillò: fatalità, risposi io”. Era Pupi Avati. “Mi offrì Regalo di Natale e mi fece conoscere come attore drammatico”» (Valerio Cappelli). «Ha girato Un ragazzo di Calabria con Comencini e Volonté e due film con Giuseppe Bertolucci. “Lo stesso giorno mi proposero Un ragazzo e Soldati con Marco Risi: pensai che non mi sarebbe ricapitato di lavorare con Volonté. Comencini era affaticato ma lucidissimo, Gian Maria un genio. Con Bertolucci un bel rapporto, persona di grande cultura”» (Finos). «“Per un certo periodo Pupi è stato un po’ mio padre, mi ha fatto abbassare la cresta, mi ha insegnato un modo nuovo di rapportarmi alla vita”. Poi ci sono stati gli anni del sodalizio con Salvatores e dell’Oscar a Mediterraneo. “Con Gabriele ho vissuto una grandissima intesa. Non sono uno che si esalta, ma l’Oscar è stato importante perché ha suggellato il legame che univa quel gruppo di lavoro, ma soprattutto di amicizia”» (Caprara). «Gli americani, qualche proposta, me l’hanno fatta. Mi sono detto: chi me lo fa fare, di accettare? Dovrei lasciare la famiglia in Italia, imparare l’inglese, per poi ritagliarmi ruoli marginali, da cubano, italo-americano, spagnolo». «Il suo nome si lega […] al successo internazionale di G. Salvatores, per il quale dà vita a estrosi personaggi in Marrakech Express (1989), Turné (1990), Mediterraneo (1991), Puerto Escondido (1992), Nirvana (1997). La sua carriera discontinua alterna convincenti risultati in film d’autore (Il toro, 1994, di C. Mazzacurati; Concorrenza sleale, 2001, di E. Scola; Io non ho paura, 2003, di G. Salvatores; La cena per farli conoscere, 2007, di P. Avati) a ruoli più decisamente di routine (Paparazzi, 1998, di N. Parenti; Metronotte, 2000, di F. Calogero; Eccezzziunale veramente – Capitolo secondo… me, 2006, di C. Vanzina)» (Gianni Canova). Assidua negli ultimi anni la sua presenza in televisione, talvolta in veste di attore, soprattutto nella serie Il giudice Mastrangelo (Canale 5, 2005-2007), di cui era protagonista, più spesso in quanto appassionato di calcio (Controcampo, Italia 1, 2011-2012; Quelli che il calcio, Rai 2, 2015-2019) o di comicità (Colorado, Italia 1, 2003-2019, da lui ideato e realizzato dalla sua casa di produzione Colorado Film; Eccezionale veramente, La7, 2016-2017; Enjoy – Ridere fa bene, Italia 1, 2020), mentre la passione per il cibo gli è valsa la partecipazione a Dinner Club con Carlo Cracco (Amazon Prime, 2021). Tra le ultime pellicole cui ha preso parte, Tutto il mio folle amore di Gabriele Salvatores (2019), La mia banda suona il pop di Fausto Brizzi (2020) e Una notte da dottore di Guido Chiesa (2021). «Quando la rivedremo al cinema? “Ho pronto Il mammone con Angela Finocchiaro e Andrea Pisani, remake del francese Tanguy”» (Marina Cappa). È inoltre in preparazione Natale all’improvviso di Francesco Patierno, in cui «recito con tanti bambini, Frassica e il Mago Forest, che mi piacciono molto e con cui ho lavorato poco» • Con Giorgio Terruzzi ha firmato il memoriale cine-gastronomico Ladri di cotolette (Mondadori Electa, 2013) e l’autobiografia Si potrebbe andare tutti al mio funerale (Einaudi, 2022) • Qualche esperienza di sceneggiatura e di regia televisiva (Area Paradiso, Canale 5, 2012) e teatrale (Vengo a prenderti stasera, 2012) • Tre figli: Marta (1985) dall’ex moglie, la scenografa Rita Rabassini (in seguito legatasi sentimentalmente a Gabriele Salvatores), Matteo (1995) e Marco (1997) dall’attuale compagna, Giulia Begnotti. «Non ricordo da piccolo gli abbracci, il trasporto che ho io per i miei figli». «Simulo la serenità, ma avendo figli e nipotine mi preoccupo per il loro futuro. Sono anni che parlo di ecologia, di riscaldamento del pianeta, e oggi il problema è diventato davvero drammatico» • «Quanto contano gli amici? “Ho comprato case grandi per stare tutti assieme, soprattutto da vecchi. Invece oggi loro hanno problemi, impedimenti, lavoro. Ma dopo saremo comunque vicini”. Dopo quando? “Io immagino di essere cremato e messo con chi vuole starmi vicino, sotto un ulivo, una quercia, un leccio. Sarà il bosco degli amici, con le targhette dei loro nomi: ognuno sceglie il suo albero, a chi non c’è più lo scelgo io”» (Cappa) • «Io non ho mai avuto macchine lussuose, orologi da collezione, né ho mai comprato vestiti costosi o speso soldi in vizi particolari. Ho investito i miei guadagni in cene e grandi case dove poter ospitare i miei amici. Per me è normale condividere con altri le mie possibilità» • «Io adesso sono opulento, una volta – da magro – ero anche abbastanza attraente. D’altra parte, il vizio del cibo e della convivialità è uno di quelli che puoi far durare di più nel tempo» (Cappa). «Ha presente Marlon Brando, che odiava il fatto di essere bello? Anch’io sono fatto così, ho la sindrome di Marlon Brando: ingrasso apposta, almeno lascio qualcosa anche agli altri» • «Parliamo di Diego in versione ristoratore. Ha dedicato un tempio alla polpetta… “Sì, il Meatball Family, a Milano. La polpetta, con la cotoletta e l’ossobuco, sono tra i miei piatti preferiti. La polpetta, però, è il piatto più facile da cucinare, più ghiotto, il cibo della mia infanzia nel quartiere del Giambellino. Ma, al di là dell’idea, alla base c’è la ricerca continua di trovare un luogo dove si ricrei l’atmosfera del Derby”» (Sala) • «Diventai milanista perché da piccolo trovai un giorno per terra il portafoglio di mio nonno. Lo aprii e vidi le foto ingiallite di Padre Pio e Gianni Rivera, che io non conoscevo, non sapevo chi fossero. Lo chiesi a mio nonno, e lui mi spiegò: “Uno fa i miracoli, l’altro è un popolare frate pugliese”» • «Una collezione? “Le tazze. Ne ho a centinaia”» (Cristina Lacava) • Qualche esperienza con la droga, soprattutto ai tempi del Derby (popper, marijuana e cocaina) • «“Non andrei mai a dormire. Quando devo farlo mi siedo sul letto, controllo la luce, la pastiglia, scelgo il canale perché la notte devo avere sempre la tv accesa… e mi addormento seduto”. Perché non nel letto? “Non riesco a mettermi con la testa sul cuscino. Non capisco chi dorme al buio e in silenzio: per me è una bara”» (Cappa) • «Cosa la spinge, oggi, a interpretare un film? “Devo essere pagato abbastanza da mantenere la mia numerosa famiglia ed essere sicuro di girare il miglior film possibile. Cioè credibile e, se possibile, divertente”» (Gloria Satta) • «Diego Abatantuono è attore dai molteplici registri. […] Comico, inventore di una maschera tra le più amate del cinema. Drammatico, con performance di grande pregio» (Michela Tamburrino) • «Ho fatto cinema perché mi piaceva la grande commedia, da Monicelli a Risi, da Comencini a Scola, ma non ho mai pensato di imitare qualcuno. I figli di Tognazzi, specie Gianmarco, dicono che somiglio un po’ al loro papà, Ugo. Qualcuno sostiene che ho dei tratti di Gassman. Certo ho il distacco dal mestiere che aveva Mastroianni» (a Simonetta Robiony). «Non lo dico mai, per pudore, […] ma Gassman mi ha sempre riempito di complimenti, e una volta mi scrisse una lettera che conservo tra le cose più belle che mi ha dato questo mestiere» (a Massimo Castellani) • «I ruoli che faccio più volentieri sono quelli della commedia, ma se ne fanno così poche. Mi piacciono le storie che fanno sorridere, con un fondo di malinconia» (a Silvia Fumarola) • «Il David mi rende orgoglioso. Ma, quando mi dicono che i miei figli Marco e Matteo sono fantastici, penso che il top sono i riconoscimenti alla carriera di genitore, poi viene quella di amico e al terzo posto, con piacere, il lavoro». «Nel bene e nel male, il cinema è un gioco. […] Le cose serie sono altre: i figli, l’amore, gli amici, i drammi e le gioie quotidiane: la vita» (a Carla Reschia) • «Io […] me la sono sempre goduta. E facendo due film all’anno ho potuto stare con i miei figli, giocare a calcio… Pensi se non avessi visto le coppe del Milan: quanti rimpianti avrei!» • «Se non avessi fatto l’attore? Credo avrei aperto non un chiringuito, ma un ristorante, un locale. Mi piace stare con la gente, farla divertire, raccontare» • «Gli anni del Derby sono stati magici: per me è come se fossi nato a Liverpool nell’epoca in cui nascevano i Beatles. Ripensandoci, adesso, provo un sentimento strano, in cui si mescola tutto. Non so se il rimpianto è più per le persone o per l’età andata via per sempre». «Ci incontreremo di nuovo tutti, e, in un’altra vita, faremo ancora film bellissimi. Sa quanto amerei recitare per Fellini?».