24 maggio 2022
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Biografia di Giampaolo Pozzo
Giampaolo Pozzo, nato a Udine il 25 maggio 1941 (81 anni). Imprenditore. Dirigente sportivo. Proprietario dell’Udinese (dal 1986; anche presidente dal 1986 al 1990) e del Watford (dal 2012). Ex proprietario del Granada (2009-2016). In quanto proprietario dell’Udinese da oltre 35 anni, è «il più longevo della categoria. “E conto di non mollare: siccome io non corro e quando gli altri giocano resto seduto, non mi affatico”» (Edoardo Pittalis) • «Vengo da una famiglia di piccoli imprenditori udinesi. Ha incominciato mio nonno, che nel 1910 ha aperto una piccola fabbrica per produrre utensili per segare il legno e lavorarlo. Mio padre Diego ha dato l’impulso: aveva imparato il disegno meccanico alle scuole serali e aveva capito che era il momento giusto, perché nel Friuli stava crescendo l’industria del mobile e soprattutto quella della sedia. Abbiamo aperto officine a Feletto, Fagagna, Colloredo e Martignacco. L’azienda aveva un nome impegnativo, almeno a vederlo: Freud, che stava per Frese Udinesi, ma molti continuavano a leggerlo come il nome del genio della psicoanalisi. Qualcosa a che vedere col grande Sigmund, forse, nei Pozzo c’era davvero! Quando siamo entrati noi tre fratelli, la crescita ci ha portati ad avere anche 800 dipendenti solo in Friuli. Ci siamo estesi in Spagna, Usa, Inghilterra, siamo stati tra i primissimi in Cina. Poi nel 2008 ho ceduto a un grande gruppo, la Bosch, con un solo impegno: conservare tutti i posti di lavoro in Friuli». «Sono sempre stato un grande tifoso dell’Udinese, anche se quando ero bambino la squadra spesso navigava in categorie inferiori. Però ci sono stati dei lampi di grandezza negli anni Cinquanta: c’ero tra chi applaudiva “Raggio di Luna” Selmosson al vecchio campo Moretti. E mio fratello era compagno di classe di Beppe Virgili, il centravanti della Fiorentina dello scudetto e della Nazionale. Lo chiamavano Pecos Bill. Io al pallone davo calci come tutti i ragazzi della mia età, ma non avevo la vocazione. Dopo l’arrivo di Sanson e di Mazza, negli anni ’80 la squadra è arrivata a livelli importanti: c’era Zico. Da lì il mio tifo è diventato passione vera e grande. Non avevo fatto i conti con quella parte della mia anima friulana». «Lei avrebbe portato Zico a Udine? “No, penso gli affari e il calcio in modo diverso. Ma mi fece piacere vederlo a Udine. Avevamo voglia di essere guardati, ci sentivamo un po’ spersi nel mondo. Eravamo riemersi dopo venti anni di Serie C. Poi Sanson se ne andò per colpa di un finto mal di cuore e tutto passò alla Zanussi, la seconda realtà industriale italiana dopo la Fiat. Zico era vecchio, altrimenti non ce lo avrebbero dato a quel prezzo. Ma fu un grande colpo per una città che aveva bisogno di allegria. Si cominciò a parlare di Udinese dovunque, mettemmo il primo maxischermo, rimase a lungo il più grande del mondo. Erano record che ci inorgoglivano. Poi arrivò il tempo di pagare il lusso. I dirigenti fecero un po’ di traffici per rimanere in A, e finì che ci dettero 9 punti di penalizzazione quando le vittorie valevano 2 punti e le partite erano solo 30. Impossibile salvarsi”. Lì arriva Pozzo. “Sì, dovevamo fare una cordata: c’erano dentro Zoppas, Zamparini e altri. Mi chiesero di dare una mano e accettai volentieri. Alla fine erano rimasti solo i miei soldi: gli altri, tutti scomparsi. Sono rimasto per salvare l’investimento, mi seccava buttar via soldi così. E divenni presidente. Era il 1986. Naturalmente retrocedemmo, ma da lì cominciò un’altra storia”» (Mario Sconcerti). «Giampaolo Pozzo […] acquistò l’Udinese il 28 luglio 1986, quattro mesi dopo l’avvento del Cavaliere in rossonero» (Marco Iaria). «Con i presidenti come Berlusconi e Moratti, in Lega e fuori, i rapporti sono sempre stati cordiali. Mi ricordo che, la prima partita da presidente, l’abbiamo giocata contro la Juventus. Mi è venuto incontro per farmi gli auguri Giampiero Boniperti, che stringendomi la mano ha detto: “Ti sei preso una bella gatta da pelare”. Abbiamo perso con un gol di Vignola viziato da un netto fuorigioco. Da quel momento ho incominciato a pensare a qualcosa che poi è diventato il Var». «I primi anni sono stati difficili: prese la squadra in Serie A, ma con l’handicap della penalizzazione, e campioni come Graziani, Collovati e Daniel Bertoni non bastarono a evitare la Serie B. Un po’ di saliscendi. Fino al 1995, quando, la A, l’ha riconquistata definitivamente. Perché tuttora la mantiene salvandosi senza patemi. E nel corso degli anni la gestione di famiglia è arrivata a espandersi col meglio del calcio europeo: Spagna e Inghilterra. Dal 2009 al 2016 la proprietà del Granada, poi venduto ai cinesi. Dal 2012 il Watford, la vera forza che è salita in Premier League, ci è rimasta per cinque stagioni, e quando è retrocessa […] ha avuto la forza di risalire immediatamente. L’Udinese ha conquistato l’Europa per la prima volta con Zaccheroni nel 1997. Poi ci è arrivata altre 10 volte. In Champions è sbarcata nel 2005 con Spalletti, poi due volte ai play-off con Guidolin, il tecnico di Castelfranco Veneto che ha costruito fior di campioni, da Handanovič a Isla, da Asamoah a Pereyra, da Sánchez a Inler, da Zieliński a Benatia, ma sempre col sostegno dello zoccolo duro italiano: Di Natale, Pinzi, Domizzi, Pasquale. Con lui l’Udinese è arrivata terza nel 2012. Sapevate che nella bacheca di Pozzo c’è il trofeo Intertoto? Lo vinse nel 2000. Nella sua gestione sono stati ammirati e applauditi campioni come Amoroso e Bierhoff, Fiore e Giannichedda e gli amatissimi Balbo e Sensini. Il modello Udinese è apprezzato dappertutto, e oggi la figlia di Giampaolo, Magda, ne parla ai convegni di Fifa e Uefa. Perché l’uomo da sempre è stato precursore di innovazioni tecnologiche. Nel 2006, infatti, ha commissionato al Cnr l’allestimento di apparecchiature per valutare il “gol non gol” e il fuorigioco, di fatto anticipando di un decennio quelli che ora tutti conosciamo come goal-line technology e Var. […] E nel 2016 ha realizzato il grande sogno: rifare lo stadio Friuli. Un gioiello con sole poltroncine tutte colorate e il mantenimento di un solo settore, la tribuna sotto l’arco dei Rizzi. Che era già coperta. Oggi lo stadio ribattezzato Dacia Arena, in nome del partner che dal 2009 è main sponsor del club, è invidiato da chiunque ed è in continua evoluzione, come la testa di Giampaolo Pozzo, che vuole palestre, piscine, altri spazi. Per renderlo vivibile 365 giorni l’anno» (Francesco Velluzzi) • Sposato con Giuliana Linda, due figli: Gino e Magda. Tutti e tre sono intensamente coinvolti nelle attività di famiglia • «Nel suo studio, accanto ai trofei e alle foto, Pozzo conserva una lettera firmata dal presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter. Scritta all’industriale, non al tifoso, con i complimenti per la qualità e l’attenzione ai particolari degli strumenti prodotti dalla sua fabbrica. Che è anche la filosofia del paròn» (Pittalis) • «Lo chiamano “paròn”, che non vuol dire padrone, ma capofamiglia» (Pittalis) • «Innanzitutto un profondo innovatore, sempre al passo coi tempi. […] Lontano dai clamori, che, da schivo e vero friulano, non ha mai amato» (Velluzzi). «Grazie a lui il club si è consolidato come realtà attuale. In poche e semplici parole, l’Udinese è Giampaolo Pozzo» (Maurizio Domizzi a Stefano Giovampietro). «Solo Giampaolo Pozzo ci guadagna, con il calcio, con l’Udinese. Chapeau» (Carlo De Benedetti a Salvatore Merlo) • «Giampaolo Pozzo, proprietario dell’Udinese, è ricco. L’uomo più capace di tutto il calcio italiano nel trasformare un’operazione di mercato in un investimento. […] “È una questione di risorse. Se le hai, puoi fare il Milan, l’Inter o la Juventus. Se non le hai, allora puoi imitare l’Udinese: lavoro, idee, uomini giusti, tetto agli stipendi, contratti lunghi, osservatori capaci di scovare giovani in tutto il mondo a prezzi contenuti, allenatori capaci di valorizzarli e farli diventare dei campioni che valgono milioni”» (Giuseppe De Bellis). «Puntate sui giovani da mettere sul mercato: sempre così? “No, abbiamo anche un esempio di grande giocatore che è rimasto. A Totò Di Natale faremo una statua. Era capocannoniere, chiamato dalla Juventus ha risposto che voleva chiudere la carriera a Udine. Ho avuto tanti bravi campioni nella mia Udinese in questi anni. […] Da anni della parte tecnica si occupa mio figlio Gino: si basa su una struttura di osservatori che è una tradizione della società. Negli anni ’90 abbiamo fatto una cosa copiata poi da tutti: una sala video collegata in diretta con decine di campionati in tutto il mondo alla ricerca di talenti. Quanto agli allenatori, mi hanno detto che ne ho cambiati troppi: quelli che ho cambiato, forse ho sbagliato a prenderli, ma non a mandarli via”» (Pittalis) • «In tanti parlano del settore giovanile come della soluzione a tutti i problemi. Non è così. […] È questione di stimoli, che in Cile e Colombia i ragazzi hanno, in Italia molto meno. I giovani, da noi, stanno bene, hanno altri interessi. […] Quanto […] alle necessità di fare crescere i giovani, una soluzione sarebbe la possibilità di avere altre squadre in Italia, per fare giocare i nostri calciatori. Invece è vietato, e noi siamo stati costretti ad acquisire partecipazioni all’estero, nel Granada in Spagna e nel Watford in Inghilterra, per dare visibilità ai nostri 120 calciatori» (a Claudio Plazzotta) • «Il paròn è rimasto uno degli ultimi romantici del calcio, capace di elargire un premio doppio ai calciatori per una vittoria emozionante, ma pure di mandarli in ritiro quando vede (e vede ancora tutto) che le cose non vanno» (Velluzzi) • «È vero che, la Var, l’ha inventata lei? “È vero che nel 2003 chiesi al Cnr di Bari un progetto che portasse chiarezza sul ‘gol non gol’ e sul fuorigioco. Alla fine si arrivò alla fattibilità di apparecchi identici a quelli che si usano oggi. Lo feci vedere al presidente della Fifa: era Blatter, che mi disse di non essere interessato. Pochi erano interessati ad avere più uguaglianza. Almeno su questo ora va meglio”» (Sconcerti) • «S’è mai pentito di avere investito nel pallone? “I pentimenti sono quotidiani. Ma passano in fretta. La verità nel calcio è un’altra…”. Quale? “Che nel calcio si entra in cinque minuti e poi non si esce più. I club sono aziende invendibili. In Italia nessuno compra sul mercato una squadra: tutti gli ultimi presidenti sono entrati subentrando in società che erano fallite o che stavano per fallire”. […] Se le dicono che è il Berlusconi di provincia s’offende? “Tutt’altro. Lo considero un complimento. Lui ha ottenuto tutto quello che un presidente di una squadra di calcio possa sperare di ottenere: ha vinto tutto, s’è divertito, ha fatto divertire, ha fatto parlare della sua squadra nel mondo. Nel mio piccolo credo di avere fatto lo stesso: entrambi abbiamo scelto i collaboratori giusti”. […] Più importante vendere o comprare nel calcio? “C’è solo un detto, nel pallone: devi comprare bene. Noi l’abbiamo fatto, per noi è una specie di tradizione. È un orgoglio sapere che molti dei giocatori scoperti da noi poi hanno fatto bene anche altrove. […] Io vorrei riuscire a tenere tutti, ma non decide solo l’Udinese. Molto spesso sono i calciatori che vogliono andare via perché non resistono al richiamo del grande club. E, se un giocatore ha deciso di andar via, non ha senso tenerlo. Uno dev’essere contento di giocare nell’Udinese”» (De Bellis). «Qualunque azienda si gestisca, una famiglia, una bottega o la Fiat, la regola è sempre la stessa: dare e avere devono andare d’accordo. Altrimenti prima o poi finisce male» • «Siamo davanti a qualcosa di grande. Non parlerei di un miracolo, non si tratta di qualcosa caduto dal cielo, ma di un prodotto assicurato da una gestione oculata» • «Udine è tranquilla, non mette ansia. Quanto conta l’ambiente? “Questa città dà una mano di sicuro. Non ti mette fretta, ti dà il tempo di riprenderti se per un periodo non funzioni. Però al tempo stesso è un limite. La sua serenità non dà stimoli. È bello avere una città che ti lascia libero di lavorare in pace, ma poi la domenica serve uno stadio che diventa una bolgia. […] Lo stadio, se ben fatto, a fine campionato vale 4-5 punti in più”» (De Bellis) • «La nostra ambizione, o presunzione, è quella di insistere per tornare in Europa. Partecipiamo con un piano e con risorse che prevedono dal decimo posto in su: tutto quello che si fa di meno non va bene» • «Cos’è l’Udinese? Per noi friulani puri è il nostro esercito, un esercito che non spara fucilate, ma pallonate in porta. A volte non trova la porta! È un esercito che va nel mondo, perché questa è una terra con tanti emigrati: fino all’altro giorno era di contadini, quando non c’era da mangiare si emigrava. Abbiamo fogolàr in ogni continente, tanti che ci seguono. Per me c’è anche questo tipo di affetto per la squadra» • «Ho vissuto bene, ho lavorato molto e mi è piaciuto vivere. Nella mia famiglia, in questa città e in buona parte del mondo».