25 maggio 2022
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Biografia di Nicola Piovani
Nicola Piovani, nato a Roma il 26 maggio 1946 (76 anni). Compositore. Premio Oscar nel 1999 per La vita è bella (Benigni). Quattro David di Donatello per Ginger e Fred (Fellini, 1986), Caro diario (Moretti, 1994), La stanza del figlio (Moretti, 2001) e I fratelli De Filippo (Rubini, 2022). Quattro Nastri d’argento per La voce della luna (Fellini, 1990), Pinocchio (Benigni, 2002), La tigre e la neve (Benigni, 2006) e Hungry hearts (Costanzo, 2015). «Mi emoziono per molte cose: per una musica che non conoscevo o magari riascoltando la Butterfly; per i figli che crescono, per un primo piano di Anna Magnani, per una grande giocata di Lionel Messi o per Muti che dirige Verdi. E, in certi momenti, anche per la musica che compongo e che considero un autoritratto fatto con i suoni».
Vita «Papà mi trasmise l’attrazione per la musica. Suonava la cornetta nella banda di Corchiano, il suo paesino natale nel viterbese. Alle spalle aveva la terza elementare e di sicuro non ho corso il rischio di un’educazione intellettualistica. Mia madre cantava in casa e accudiva tre figli maschi oltre il marito. Cantava e si commuoveva. Se avessi avuto dei genitori professori o musicologi forse avrei capito meglio e prima le grandi partiture. Ma probabilmente sarebbe stato più tenue l’amore sensuale per la musica» (ad Antonio Gnoli) • «Primi anni Sessanta, quartiere Prati. Piccola e media borghesia romana, in un paese cattolico ancora legato a rituali di vita contadina. La chiesa del Rosario palcoscenico dei grandi eventi quotidiani. “Io ero nato subito dopo la guerra, al Trionfale. Mio padre Alberico era un piccolo commerciante che viveva di espedienti: non ci faceva mancare niente – come si usava dire – ma di lusso non c’era traccia. Aveva passione per la musica: suonava la cornetta nella banda di Corchiano, un paesino del viterbese vicino a Civita Castellana. Ed era anche dilettante autodidatta di mandolino. Un giorno comparve a casa nostra uno strano tipo con la fisarmonica. Arrivava con il suo Guzzetto, e dava lezione ai miei due fratelli maggiori. Io ero il più piccolo, un po’ viziato. A tre anni puntai i piedi: ottenni la mia fisarmonichetta. Quel capriccio segnò probabilmente il mio destino. I miei fratelli presto si stancarono, io continuai”. Il resto lo fece nonno Nino, baritono in gioventù con il pallino per l’opera. “A cinque anni mi regalò il pianoforte, dandomi i soldi per le lezioni private. Così avrei potuto sostenere, da privatista, gli esami al Conservatorio”. Famiglia a vocazione artistica, quella dei Piovani: un clan che sembra uscito da una commedia di Eduardo. Una parte importante, in questa storia, l’ebbe anche zia Pina, sorella di Alberico. “Recitava nel varietà, monologo melodrammatico: Pina Piovani, un nome abbastanza conosciuto al cinema. Era stata la moglie di Totò in Guardie e ladri e la mamma della Lollobrigida ne La Romana”» (Simonetta Fiori). «Vedendola mi si è attaccato il virus, così mi è rimasto l’innamoramento per tutto il teatro musicale, dal melodramma alla zarzuela» (a Maurizio Porro) • «Il quartiere popolare dove sono nato e cresciuto: il Trionfale. D’estate, con gli amici, scendevamo verso le mura vaticane. L’attività preferita era intercettare i macchinoni dei ricchi turisti americani: lunghe Cadillac bianche, rosa o turchesi. Aspettavamo che parcheggiassero vicino ai musei e timidamente ci avvicinavamo per notare sul tachimetro la velocità cui andavano. Era un modo per immaginare un possibile altrove, lontano dai panni stesi alle finestre, dagli odori che provenivano dalle case, dalle voci così inconfondibili che da un balcone all’altro si rincorrevano» (a Gnoli) • «Faceva l’organista da matrimonio. Schubert e Mendelssohn. Ma anche improvvisazioni originali, con il parroco atteggiato a Zubin Metha per segnalare i passaggi liturgici più delicati. “È in chiesa che ho imparato la musica funzionale. In fondo non era molto diverso dal cinema: anche allora dovevo alternare alla melodia commossa dei momenti più intensi il chiasso della gioia e della esaltazione. Poi passavo in sacrestia a ritirare le cinquemila: mi servivano per comprare dischi e partiture. E per studiare”» (Simonetta Fiori) • «Fu Elsa Morante, conosciuta grazie a Carlo Cecchi, a liberarmi dal complesso della musica colta. Fu lei, con la sua autorità, a farmi capire che scrivere un valzer per fisarmonica ha la stessa dignità che fare musica da camera. Un altro incontro fondamentale è stato con Fellini, maestro nel trasmettere la libertà giocosa del comporre» • «Che lezioni ha imparato da mezzo secolo di musica? “Che perdersi non è un peccato. Me l’ha insegnato Fellini, una persona a cui la musica provocava commozione. Era vulnerabile alle note perché lo portavano altrove, ai confini dell’inconscio, in una zona privata, mitica, nascosta. Una notte di 30 anni fa, uscendo da Cinecittà, Federico mi indicò una scorciatoia nei pressi dell’Acquedotto Felice: Prendi questa strada, me l’hanno insegnata da poco. Senza navigatori, lampioni e insegne stradali ci smarrimmo in un dedalo di viuzze confinanti con un campo nomadi. Tra le case abusive, i copertoni e gli scheletri delle auto abbandonate, Federico si era incantato: Guarda che meraviglia, Nicolì. Io ero preoccupato e non facevo niente per nasconderlo. Tornammo miracolosamente indietro e la sera dopo, ci ritrovammo allo stesso bivio: Stavolta fidati – disse – mi sono fatto dare indicazioni precise. E se ci perdiamo di nuovo?, obiettai. Speriamo disse Fellini. Non me lo sono più scordato”. Il vostro primo incontro? “Mi veniva a trovare in certi appartamenti senza ascensore e dalla tromba delle scale ne vedevo l’incedere giocoso – le sciarpe, il cappello, il cappottone – con la certezza che non mi sarei mai annoiato. La prima volta in realtà avevo più timori che certezze. Abitavo in un appartamento del centro storico con vista su Piazza Navona che mi aveva generosamente ceduto Vincenzo Cerami e aspettavo il maestro con apprensione. Al secondo piano abitava una anziana, bigotta e aggressiva, che aveva il vezzo di insultare tutti i miei ospiti in entrata o in uscita. Una vecchietta che alle ragazze dedicava tirate sui danni del libertinismo e ai ragazzi sulla barbarie delle barbe lunghe. L’idea che lei e il maestro potessero incontrarsi mi metteva i brividi. Così quando il campanello suonò trattenni il fiato. Passarono 5, poi 10, poi 15 minuti. Pensai che gli fosse successo qualcosa e mi affacciai sul pianerottolo. Sentii le voci. Scesi di un piano e dall’uscio socchiuso vidi l’incredibile. L’arpia aveva intercettato Federico, ma lui l’aveva sedotta e sedeva sulla poltrona dell’ingresso intrattenendola. Fellini riusciva a parlare con chiunque”. A lei capita la stessa cosa? “Non ho poi molti amici e coltivo un rapporto speciale con poche persone. Una con cui avverto gioiosa sintonia è Ennio Morricone. È diretto e abrasivo, come Elsa Morante. Se ti deve dire che stai sostenendo un’idiozia non si tira indietro. Però sa scherzare. Una volta ci vediamo alla premiazione dei David di Donatello. Scommetti che vinci tu? mi dice. Mi schermisco e scuoto la testa. Scommettiamo 50 euro propone. Accetto e alla fine la statuetta va nelle mani di un altro musicista. Sciamando verso casa, Ennio mi si avvicina senza dire una parola e mi infila una banconota nel taschino. Passa qualche settimana, mi assegnano un Nastro d’Argento. Squilla il telefono: Sono Ennio, penso che quei 50 euro tu me li debba ridare” […] L’orgoglio è importante? “È il rifugio degli insicuri. Dopo aver fatto insieme La messa è finita e Palombella Rossa, Nanni Moretti aveva deciso di cambiare indirizzo musicale ai propri film rivolgendosi a un musicista pop olandese. Ma una sera mi telefonò, stavo uscendo: Ti dovrei parlare. Ci vediamo domani, Nanni?, Stasera non è possibile?. Mi preoccupai e feci saltare il mio appuntamento. Come carbonari, tra le luci basse di Piazza Rosolino Pilo a Monteverde, mi raccontò delle sue difficoltà con le musiche di Caro Diario e mi propose di salire a bordo: ‘C’è solo una settimana di tempo’ disse. In seguito raccontò lui stesso tutta questa storia, sostenendo di essere venuto da me con il capo cosparso di cenere. La cenere non me la ricordo. Ma siamo artisti liberi, possiamo accettare o rifiutare un lavoro, e i rapporti umani contano. Quella sera tagliai corto: non sprechiamo tempo con le parole pensai, e mi misi al lavoro. Scrissi una musica che funzionò bene nel film e che considero fra le più riuscite tra tutte quelle che ho composto”» (a Malcom Pagani) • «È molto autoreferenziale? “Dirigo quasi esclusivamente mie musiche. E non per eccesso di protagonismo. Per spiegare a un’orchestra come si suona l’incompiuta di Schubert bisogna avere qualcosa di interessante da dire. Tecnicamente non sarebbe difficile, ma inoltrarsi in quel territorio della musica che è stupore e mistero, e poi tradurlo per l’orchestra, è impresa per la quale mi sentirei inadeguato”. L’Oscar per La vita è bella l’ha cambiata in meglio o in peggio? “Diciamo che è cambiato il rapporto degli altri con me. Non mi pare che sia invece cambiato il mio rapporto con gli altri. L’Oscar ha fatto crescere l’attenzione attorno a me e si sono moltiplicate le richieste. Ma il mio rapporto con la scrittura musicale non è mutato: scrivo sempre a matita, cancello con la gomma; le paure sono le stesse, così le certezze e le insicurezze” […] Ha lavorato anche nel campo della musica leggera? “Sì, con molta curiosità e soddisfazione”. A proposito di curiosità e soddisfazione, come è stato il rapporto con Fabrizio De André? “Avevo 22 anni quando ho lavorato al primo disco. Con gli entusiasmi e le presunzioni di quell’età”. Lo cercò lei? “No, all’inizio fu lui a chiedermi di arrangiare dei pezzi. Finì che scrissi le musiche per due album: Spoon River e Storia di un impiegato. Fu un’avventura che durò quattro anni. Credo di non essermi reso conto, allora, della fortuna che mi era capitata”. Cosa intende dire? “Affrontai quell’impresa con eccessiva sicurezza. Come ho detto, ero molto giovane” […] Se non avesse fatto il musicista compositore per quale altro mestiere si sarebbe sentito adatto? “Probabilmente l’autore teatrale. Mi piace alternare il lavoro per il cinema con il teatro. Quest’ultimo è un modo per rigenerarmi e, forse, anche difendermi”» (a Gnoli) • Prima dell’Oscar, per molti americani era soltanto un nome de plume: Nicola Piovani, pseudonimo di Ennio Morricone, sta scritto in molte enciclopedie Usa (l’equivoco era nato da un’intervista di Morricone a un giornale arabo) • Nel 2014 ha pubblicato La musica è pericolosa (Rizzoli): «L’ho scritto in campagna, a Corchiano, nel viterbese, dove ho una casa e mi rifugio spesso per allungare le giornate» • A ottobre 2020 è stato ricoverato per cinque settimane al Policlinico di Tor Vergata di Roma per Covid. «Nelle sue più recenti composizioni si riflettono i conflitti nati dalla pandemia? “Ho passato cinque settimane in isolamento, senza un pianoforte, una tastiera, senza poter fare musica. Ma ho avuto molte idee. Magari sono idee brutte, ma nuove per me”. Nelle lunghe settimane di solitudine, che tipo di musica ha ascoltato? “Come sempre, gli adorati classici: da Bach a Shostakovich, da Coltrane a Miles Davis. Mi sono anche incuriosito per i nuovi rapper e trapper. Li ho ascoltati con attenzione e ho capito che certa musica di successo non fa per me. Ma Colapesce e Di Martino sono molto spiritosi”» (a Katia Ippaso) • Tra le più recenti colonne sonore Hammamet (Amelio, 2020) e Gli anni più belli (Muccino, 2020), Leonora addio (Taviani, 2022) • Nel gennaio 2022 la sua opera lirica Amorosa Presenza, dall’omonimo romanzo dell’amico Vincenzo Cerami (1940-2013), ha inaugurato la stagione del Teatro Verdi di Trieste. «Era il 1978 quando cominciai a pensare al progetto dell’opera Amorosa presenza. Vincenzo mi raccontò il soggetto del romanzo che stava scrivendo e io me ne entusiasmai. Dovevo scrivere un’opera per un teatro di Atene, e cominciammo subito a lavorare insieme alla struttura di un libretto. Otto anni dopo la sua morte, quell’amorosa presenza rivive anche grazie a sua figlia Aisha».
Famiglia Sposato con l’attrice Norma Martelli. Due figli, un fisico e un ingegnere. «Il fatto che non siano musicisti mi aiuta a non essere un padre invadente. Parlo con loro di matematica: sono io l’allievo, l’ignorante che fatica a capire. Se facessero i musicisti mi comporterei invece in modo un po’ arrogante e saputo. C’è un motto romano che dice: “I Padreterni fanno i figli crocefissi”» (a Lavinia Fanese).
Politica «Sono di idee inossidabilmente di sinistra. Ma le idee sono una cosa, la pratica politica un’altra. Mi piacerebbe che si affrontasse il problema della robotizzazione e il suo effetto inquietante sul mondo del lavoro» (a Farnese)
Religione «Crede in Dio? “Credo nella scienza che ha preso il posto della fede. Comunque la mia fede comprende anche il mistero. Non cerco assistenza religiosa. Ma a volte entro in sintonia con l’illogico mondo del sacro. Mi capita di entrare in una chiesa e di spiare i pochi devoti che a fior di labbra parlano con Dio. Sarebbe la stessa cosa, sospetto, se al posto di Dio mettessero l’antimateria o i buchi neri» (a Gnoli)
Vizi Romanista («Sono abituato a soffrire») • Ha smesso di fumare dieci anni fa. «Ogni tanto, quando vedo gli orchestrali aspirare di gusto a fine concerto, mi prende la nostalgia. Ma resisto» (a Pagani) • «Vorrei imparare a mangiare “sano”. Invece sono attratto da fritture, grassi animali, paste abbondanti ben condite, salumi, pizze» (a Farnese).