30 maggio 2022
Tags : Viktor Orban
Biografia di Viktor Orbán
Viktor Orbán, nato a Székesfehérvár (all’epoca Repubblica Popolare d’Ungheria) il 31 maggio 1963 (59 anni). Politico. Avvocato. Primo ministro dell’Ungheria (dal 29 maggio 2010; già dal 1998 al 2002). Cofondatore (nel 1988) e presidente (dal 17 maggio 2003; già dal 1993 al 2000) di Fidesz (Unione civica ungherese, già Partito civico ungherese, già Unione dei giovani democratici). «Stiamo costruendo uno Stato volutamente illiberale, uno Stato non liberale: i valori liberali dell’Occidente oggi includono la corruzione, il sesso e la violenza» • Il «suo carattere […] si è formato nel socialismo kadarista, in una famiglia della piccola borghesia rurale, mamma insegnante e papà agronomo. In una vecchia intervista Orbán raccontava di come fosse costretto a restare a letto per giorni a causa delle botte ricevute dal padre, ma lo faceva con il sorriso sulle labbra, facendo finta di niente» (Francesca Sforza). «Nasce uomo di sinistra, Viktor. […] Quindicenne, era segretario dell’organizzazione giovanile comunista (Kisz: appartenenza obbligatoria allora per iscriversi all’università) del suo ginnasio: […] dice lui, era un “ingenuo e devoto sostenitore” del regime comunista» (Chiara Pizzimenti). «Orbán diventa un oppositore durante il servizio militare, compiuto nel 1981-82. […] L’ottusità ideologica dei superiori e l’insensatezza della routine militare spingono il giovane Orbán a una rivolta generazionale ed esistenziale, prima ancora che politica. […] Trasferitosi a Budapest, dal 1983 al 1988 Orbán collabora alle riviste e ai movimenti semi-legali che gravitano intorno alla patinata facoltà di Giurisprudenza dell’università Elte di Budapest, dove si laurea nel 1987» (Stefano Bottoni). «Aveva venticinque anni quando fondò il Fiatal Demokraták Szövetsége (Fidesz), movimento che raccoglieva il meglio della cultura liberal dell’Ungheria, giovani formatisi all’estero grazie a borse di studio offerte da fondazioni e organizzazioni non governative. Anche lui, Viktor Orbán, ha potuto studiare “Storia della società civile” a Oxford grazie a una borsa della Soros Foundation» (Matteo Zola). «Nella sua lettera per richiedere la borsa di studio alla fondazione del magnate George Soros, il giovane scrisse che l’Ungheria, dalla dittatura, si sarebbe trasformata in una democrazia. Che “uno degli elementi principali della transizione è la rinascita della società civile”» (Michela Iaccarino). «Il 16 giugno 1989 una grande folla assiste a Budapest ai solenni funerali tributati a Imre Nagy e agli altri martiri della rivoluzione del 1956. Per la sua importanza simbolica e per la tensione emotiva che genera, l’omaggio agli eroi del passato in diretta televisiva è temuto dalle autorità, che pure l’hanno autorizzato e organizzato. […] Secondo gli accordi, i discorsi non potranno contenere alcun riferimento all’attualità politica o turbare il carattere mediato dei cambiamenti. Tutto procede secondo i piani fino a quando non prende la parola un giovane scapigliato. […] Ignorando i “consigli” dei servizi di sicurezza, che lo tengono sotto osservazione, nei pochi minuti a sua disposizione il guastafeste riesce ad accusare il governo comunista ungherese di aver rubato la giovinezza di un’intera generazione, a chiedere libere elezioni e a invocare il ritiro delle truppe sovietiche. L’impatto mediatico è dirompente. Al furore delle autorità si contrappone l’ammirato stupore del pubblico. Il breve discorso riesce a spostare le coordinate della commemorazione, dandole un preciso contenuto politico di opposizione al regime morente. Quei dieci minuti segnano la nascita di un politico di livello europeo: Viktor Orbán. […] Le elezioni del 1990 rappresentano una disfatta per i liberali, appoggiati dai principali governi europei e dagli Usa. La società ungherese non si sente rappresentata da un approccio basato sulla “terapia shock” e preferisce un cambiamento economico più graduale e un approccio “nazionale” alla politica di vicinato. Orbán riesce a entrare in Parlamento, dove i suoi deputati sono schierati all’opposizione del governo conservatore di József Antall e criticano spesso l’esecutivo da posizioni liberali. Già intorno al 1993, tuttavia, qualcosa sta cambiando nel suo orizzonte ideologico. Lo preoccupa la silenziosa ascesa dei socialisti, […] ma soprattutto il tradimento dei valori dell’anticomunismo democratico compiuto da Szdsz [il principale partito liberale – ndr]. Nell’estate 1994 i liberali accantonano improvvisamente la conventio ad excludendum per accompagnare al governo i socialisti solo parzialmente “riformati”, creando una coalizione che gode di una maggioranza “bulgara” (72% dei seggi parlamentari) e, soprattutto, controlla quasi interamente i media pubblici e privati. È in quella drammatica circostanza che in Orbán matura la lunga svolta verso il conservatorismo, che gli attirerà presto i voti di tanti liberali delusi dalla svolta a sinistra di Szdsz» (Bottoni). «Orbán comprese di non avere alcun margine di manovra nel perimetro liberale e iniziò a riposizionare il partito a destra, con la trasformazione di Fidesz in una formazione “borghese” – ispirata in quella fase alla prima Forza Italia di Silvio Berlusconi – e poi con l’ingresso, nel 2000, nel Partito popolare europeo» (Bottoni). «Antall, prima di morire (1993), lo investì della sua eredità politica, convincendolo a staccarsi dal progressismo – elettoralmente limitante – e a spostarsi nel campo del centrodestra. Alcuni membri della Fidesz non accettarono la svolta e lasciarono il partito. Ma la maggioranza seguì Orbán» (Federigo Argentieri). «Orbán è salito la prima volta al governo nel 1998, sostenuto da una coalizione tra il suo partito, il Forum democratico ungherese e il Partito dei piccoli proprietari indipendenti. Durante il suo mandato l’Ungheria è entrata a far parte della Nato, dopo un referendum popolare che aveva avallato la decisione» (Alessandro Sala). «Già al tempo del suo primo governo, Orbán diviene oggetto di attacchi sempre più pesanti da parte della stampa europea, soprattutto austriaca, tedesca e francese. Lo si accusa di antisemitismo, di perseguitare la minoranza rom, di trasformare l’Ungheria in uno Stato autoritario, di voler rivedere i confini fissati nel 1920. Il clima di sfiducia contagia la popolazione e galvanizza una sinistra ormai rassegnata alla sconfitta e contribuisce in modo sostanziale al sorprendente risultato elettorale del 2002. Nonostante la crescita dinamica e lo sviluppo dell’occupazione contribuiscano a far nascere una nuova classe media, Orbán riesce a perdere. […] Dal 2002 al 2010 l’ex primo ministro vive una lunga, lunghissima eclisse politica. […] Il giovane ex primo ministro tesse la sua rete di rapporti europei, divenendo vicepresidente del Ppe, ma le sconfitte lo segnano profondamente. […] Negli anni successivi […] la strategia di logoramento dei governi socialisti, sempre più impopolari perché screditati e costretti dalla crisi a una politica di tagli, porta Fidesz al trionfo elettorale del 2010» (Bottoni). «Nel 2010 torna in sella, votato da due terzi dell’elettorato, e nel pieno della crisi che ha messo in ginocchio anche l’Ungheria la sua ricetta funziona. Le Borse, la finanza hanno frustrato cittadini e imprenditori. Lui conferma il fiorino contro l’euro, super-tassa le multinazionali, riduce l’autonomia della Banca centrale ungherese, vieta alle aziende straniere di comprare sottocosto terre e aziende. […] Critica la fragilità delle democrazie, e modifica la Costituzione forte di 263 seggi su 386 in Parlamento» (Marco Ventura). «Subito si reinventa campione di una battaglia di civiltà, in difesa della famiglia, della cristianità e della nazione contro “la santa alleanza dei burocrati di Bruxelles, dei media progressisti e del capitale internazionale”. In pochi anni, Orbán ridisegna i collegi elettorali per favorire Fidesz, aumenta il numero dei giudici costituzionali e impone loro il ritiro a 62 anni per poter riempire la Corte suprema di fedelissimi, crea un organismo centrale per i media controllato dal governo, toglie l’insegnamento universitario a centinaia di professori liberali, cambia i direttori dei teatri mettendovi uomini di sua fiducia. Il suo momento di gloria arriva nel 2015, con l’apertura della rotta balcanica e l’arrivo di migliaia di rifugiati siriani, che dalla Grecia cercano di arrivare in Germania passando da Macedonia, Serbia, Ungheria e Austria. Orbán prima li blocca, poi li fa partire quando la cancelliera Merkel annuncia che terrà aperte le frontiere tedesche. Quindi sigilla i confini col filo spinato» (Paolo Valentino). «Diventa l’apostolo dell’Ungheria. Crea il Gruppo di Visegrád, che comprende Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia, quattro Paesi contro i migranti che insidiano i posti di lavoro europei. […] Resuscita inoltre il sogno della Grande Ungheria, respingendo i confini acquisiti che inglobano importanti comunità ungheresi in Romania e in Serbia. Nel suo Orbanistan od Orbania, nella sua democratura, per usare altri appellativi giornalistici, la filiazione liberale ha lasciato il posto alla retorica delle prime righe della nuova Costituzione: “Noi siamo fieri che il nostro re Santo Stefano abbia edificato lo Stato ungherese su solide fondamenta e abbia reso il nostro Paese parte dell’Europa cristiana mille anni fa”» (Ventura). «Soprattutto aizza l’isteria popolare, descrivendo l’ondata migratoria come una cabala odiosa, orchestrata da “un nemico diverso da noi, non aperto ma nascosto, non diretto ma obliquo, non onesto ma spregevole, non nazionale ma internazionale, che non crede al lavoro, ma specula col denaro”. Tutti gli stereotipi del più schifoso antisemitismo sono ben evidenti. Non contento, Orbán sceglie anche un capro espiatorio, additando come capo della congiura sistemica contro l’Ungheria proprio il suo antico mentore, George Soros. La campagna contro Soros ha un obiettivo pratico, la Central European University, l’ateneo che il filantropo ha fondato a Budapest dopo la fine della Guerra fredda e diventata uno dei migliori centri di studio del Centro Europa. Orbán, che la considera un covo sovversivo, la costringe a sloggiare, strangolandola a poco a poco attraverso una successione di modifiche di legge e atti amministrativi» (Valentino). «Le sue ricette nazional-popolari riescono a esorcizzare le paure ancestrali di un popolo piccolo che da sempre si sente minacciato, circondato, invaso. I suoi slogan forti sono in sintonia con quell’anima antimoderna, agraria, nazionalista viva e maggioritaria sotto tutti i regimi. Ed è tale l’insofferenza verso le ingerenze della lontana Bruxelles che la Russia, eterna odiata nemica, dalla Guerra d’indipendenza del 1848 ai carri armati del 1956, sta diventando paradossalmente alleata. Orbán fa accordi con la Cina e con l’amico Putin, sposandone risorse naturali, tecnologie (Mosca ammoderna la centrale nucleare di Paks), potenza finanziaria e geopolitica» (Bruno Ventavoli). Alle elezioni parlamentari del 3 aprile 2022 l’alleanza politica a sostegno di Orbán trionfò, col 52,5% dei consensi, sulla pur amplissima coalizione degli oppositori, ferma al 36,9%. «Orbán […] è un nazionalista, e anche di fronte alla guerra del Cremlino si è dimostrato tale. […] Appena messa la scheda con il proprio voto nell’urna, mentre il mondo era orripilato dalle stragi dell’esercito russo, diceva di non essere pro-nessuno se non pro-Ungheria. Contrario a inviare armi a Kiev, contrario a fare passare direttamente sul territorio magiaro quelle della Nato, contrario a nuove sanzioni a Mosca. Disposto solo ad accettare profughi che arrivano attraverso il confine con l’Ucraina. A parole solidale con il vicino attaccato, nei fatti “equidistante”, anzi interessato soprattutto alle forniture di gas e petrolio che Putin gli vende ai prezzi più bassi in Europa. […] Il cosiddetto asse dei nazionalisti-populisti sembra, a questo punto, saltato. I due maggiori protagonisti, il governo polacco e quello ungherese, sono su posizioni opposte rispetto ai rapporti con Putin, con Varsavia in prima linea nel sostegno concreto a Kiev. […] I rapporti tra Bruxelles e Budapest sono destinati a inasprirsi. La Ue ha una serie di dossier aperti contro l’Ungheria, tanto che i denari del Recovery Fund non le sono stati erogati a causa della corruzione e dei bassi standard di rispetto dello Stato di diritto. […] Non saranno facili, per l’Ungheria, i prossimi quattro anni di governo Orbán, già oggi il leader più longevo della Ue. Vincitore in casa ma isolato nel mondo (difficilmente lo scalderanno i buoni rapporti con Putin e con gli interessati cinesi di Xi Jinping). Anche per Bruxelles, d’altra parte, non sarà semplice gestirlo» (Danilo Taino) • «Viktor Orbán […] ha trasformato l’Ungheria in un Paese dove i media sono sottoposti a censura, i diritti dell’opposizione calpestati, la magistratura risponde al governo, le minoranze etniche sono discriminate, quelle Lgbt di fatto perseguitate e l’antisemitismo alimentato ad arte. […] La polizza d’assicurazione di Orbán è stata […] l’appartenenza al Ppe, da cui alla fine è uscito per evitare l’espulsione, e al quale portava voti e peso nell’Europarlamento, nonostante la palese incompatibilità sua e del suo partito Fidesz con i cristiano-democratici e i loro valori» (Valentino) • Sposato, cinque figli (quattro femmine e un maschio) • Calvinista (cattolici invece moglie e figli) • Antiabortista • Grande passione per il calcio, a lungo praticato. «Una passione folle. Tanto che, quando Silvio Berlusconi lo invitò a Milanello per un allenamento con i rossoneri, Orbán disse con entusiasmo quasi infantile che era stato il giorno più bello della sua vita» (Luca Valdiserri) • «L’Economist gli ha stampato addosso il soprannome “l’Archetipo”. Ma, di nomignoli, sui media europei ne ha collezionati tanti: Viktator, l’Infrequentabile, Trump europeo, il Gollista di Budapest, il Putinista per la sua vicinanza a Putin» (Ventura) • «Viktor Orbán ha abolito la libertà di stampa, usa i fondi europei per arricchire amici e familiari, mentre scuole e sanità pubblica sono in una situazione tragica. E vuole controllare anche la cultura: sa che nell’unico libro di storia ora in uso nei licei l’ultimo capitolo è dedicato a lui? Non l’aveva fatto neppure János Kádár, ai tempi del regime comunista. Orbán è ormai un tiranno» (Ágnes Heller, nel 2018) • «Uomo dal talento innato nell’annusare l’umore della folla e cogliere l’attimo per spingere i limiti sempre un po’ più in là» (Federico Fubini). «Il nazionalismo di Orbán è tutt’altro che strumentale. Anzi, è presente da sempre, elemento imprescindibile della ricostruzione nazionale dopo la cattività comunista: […] il vittimismo e il revanscismo sono ingredienti potenti che Orbán sa dosare non per calcolo, ma per convinzione. Egli sa rappresentare i sentimenti del popolo ungherese, del mondo rurale, arcaico, fortemente identitario e religioso, un mondo da cui egli stesso proviene. Egli è, per molti ungheresi, l’incarnazione di un ideale. […] Il Muro è caduto, ma non nella testa degli ungheresi che l’hanno visto cadere» (Zola) • «Se l’Ungheria violi lo Stato di diritto è una questione dibattuta da anni dai giuristi, ma è molto difficile trovare una risposta univoca. I costituzionalisti di Fidesz, il partito di Orbán, obiettano che quanto succede è conforme alle leggi, approvate da un Parlamento in cui Fidesz ha la maggioranza di due terzi, quindi una maggioranza costituente. Se dunque ci poniamo dal punto di vista della sovranità popolare, tutte le decisioni hanno una loro legittimità. Per smantellare questo sistema ci vorrebbe o un contro-putsch o l’affermazione dell’opposizione con una maggioranza di due terzi, prospettiva che al momento è remota» (Bottoni) • «L’Ungheria fa affari con la Cina, stringe accordi energetici con la Russia di Putin: lei dialoga con tutti. […] “Nell’elenco possiamo mettere anche la Turchia. […] E poi abbiamo bisogno del mercato americano: l’economia ungherese si basa per l’80% del Pil sull’export, il nostro mercato domestico è piccolo, sviluppare politiche commerciali è fondamentale se vogliamo garantire uno standard di vita elevato agli ungheresi. Ecco perché il trade è fondamentale, e in tutto questo la chiave è la Ue, il mercato unico. […] La strada della Brexit non è percorribile per l’Ungheria. Ma l’integrazione politica, il delirio degli Stati Uniti d’Europa, è un’altra vicenda”» (Alberto Simoni). «Eccola, l’Europa dell’orbanismo, utile per i sussidi e la stabilità economica, un bancomat e niente più. […] Molti esperti segnalano che i sussidi europei sono stati utilizzati per rafforzare gli uomini e la struttura di potere di Orbán, con un tasso di corruzione in continua crescita» (Paola Peduzzi) • «In Europa nascono sempre meno bambini. Per l’Occidente la risposta è nell’immigrazione. Lì ritengono che per ogni bambino che manca si debba farne arrivare uno per far tornare i conti. Ma a noi i conti non servono. A noi servono bambini ungheresi» • «“I grandi spiriti che determinano il pensiero degli occidentali festeggiano ogni qualvolta vedono l’Europa volgersi in una direzione post-cristiana e post-nazionale. Lo chiamano progresso. Questo modo di pensare mi è estraneo. Io non provo gioia: la considero invece una resa della nostra identità. Non metto in dubbio il diritto di qualcuno di bearsi del suo multiculturalismo, ma vorrei che loro prendessero atto che l’Ungheria non li seguirà. Anzi, la nostra Costituzione dice il contrario: sostiene che il cristianesimo è una spinta che mantiene forte la nazione”. Cos’è la democrazia illiberale? “È la democrazia fondata sul cristianesimo, chiamata illiberale, ma non significa necessariamente che sia anti-liberale. Una distinzione importante, questa. Oggi sono i democratici liberali i veri nemici della libertà. Essendo io un sostenitore della libertà, devo essere illiberale”» (Simoni) • «La politica non è un concorso di bellezza» (a Robin Alexander).