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 2022  giugno 04 Sabato calendario

Globish, ovvero l’inglese semplificato

Veloce da apprendere, facile da scrivere e pronunciare, chiara e con una sintassi concepita per scindere un pensiero complesso in più idee semplici. Erano questi, secondo Cartesio, nel 1629, i principi cardine di una lingua universale, capace di far dialogare tutto il mondo. E oggi, queste sono le regole del Globish, l’inglese globale, definito «il dialetto internazionale del terzo millennio», sorta di inglese semplificato – ha 1500 vocaboli – che, utilizzato tra uomini d’affari, immigrati, nel web, nel gaming e via dicendo, oggi, è, di fatto, la lingua più parlata al mondo. Circa l’ottanta per cento della popolazione globale la conosce e la usa. Quanto basta per far apparire il pianeta più piccolo, le distanze ridotte e l’estraneo un po’ più vicino. La lingua universale è utopia che l’uomo coltiva da sempre: affonda le radici nell’immagine della Torre di Babele e si fa dibattito filosofico intenso dal Seicento, evolvendo in vari tentativi e lingue artificiali.
I TENTATIVI
La più nota è l’esperanto, creata tra 1872 e 1887 da Ludwik Lejzer Zamenhof. Già prima, però, negli anni Trenta del secolo, c’era stata la Communicationssprache. E altri tentativi sarebbero stati fatti poi, dal mundolinco, primo esempio basato sull’esperanto, al Nov Latin, legato al latino, per arrivare ad altre nel Novecento, dal Basic English, sostenuto anche da Churchill, all’europanto, ideato da Diego Marani, nel 1996, unendo parole di lingue diverse.
Il Globish, che pare dare risposta concreta a questo desiderio dell’uomo, non nasce da un’elaborazione filosofica, bensì da una pratica quotidiana e da esigenze di lavoro e mercato. Nata nel 1998 – è stato Jean-Paul Nerrière, ingegnere informatico della IBM a coniare il termine – è l’inglese più snello, usato non da madrelingua, ma da chi cerca un modo per comunicare con persone di altre nazionalità. Una lingua franca, appunto, per tutti e, soprattutto, di tutti. «Nerrière aveva notato che, nelle riunioni di business con persone di nazionalità differenti, le comunicazioni più facili si avevano proprio tra i non madrelingua, che usavano un inglese facilitato – spiega Monica Perna, English Coach brianzola, Ceo a Dubai di Auge International Consulting, che insegna Globish – paradossalmente, le maggiori difficoltà di comprensione si avevano con inglesi e americani, poco abituati ad altri accenti».
I VANTAGGI
I punti di forza? Semplicità, chiarezza e volontà di comunicare, al di là della forma. «Il Globish – prosegue – ha poche parole e le sue strutture grammaticali sono immediatamente comprensibili, non si usano forme passive, né espressioni idiomatiche. Tiene conto delle sfumature di pronuncia di chi parla, dalla f detta come p da tanti filippini alla t che diventa d per molti indiani e via dicendo. Saperlo è importante: solo il quattro per cento delle comunicazioni internazionali avviene tra madrelingua». Dunque, è la lingua unica inseguita da secoli? «Funziona come lingua veicolare – commenta il linguista Luca Serianni, Accademico dei Lincei – non può sostituirne una reale, che è fatta di sfumature. Sì, dunque, come strumento di comunicazione, a livello elementare, ma non può essere una lingua universale. D’altronde, nessuna potrebbe. La lingua è anche un fatto identitario. L’esperanto era stato concepito per affiancare la lingua di origine, ma è coltivato da pochi, qualche centinaio di migliaia di persone. Resta un generoso tentativo di creare un mezzo per avvicinare l’umanità. E come occasione di studio». Perché il sogno di una comunicazione senza barriere rimane. E si fa spunto di riflessione.
IL GIOCO
«Ho ideato l’europanto come gioco e provocazione – afferma Diego Marani, autore di più libri editi da La Nave di Teseo – per mostrare che la lingua non è ferma, non coincide con la grammatica, si mescola ad altre, dunque non va guardata come se fosse sacra. Diciamo che a ispirarmi è stato il modo di parlare dei bagnini della riviera romagnola, che senza sapere nessuna lingua, le parlano tutte. Bisogna avere un approccio aperto, senza l’ossessione dalla precisione. Anche l’errore è comunicativo. Il Globish ci permette di comunicare in modo superficiale. A Bruxelles, nelle istituzioni, l’inglese parlato è più alto ma non è comunque quello di Oxford, è contaminato dalle lingue madri». Ed è così in più ambiti, dalla musica – si pensi allo Spanglish – all’arte. Nato sul campo, come si apprende? «Serve allenamento – dichiara Perna – basta un’ora al dì per quarantacinque giorni, con esercizi ad hoc. A studiarlo sono appassionati, viaggiatori, persone alle quali serve per lavoro, ma anche nonne con i figli all’estero, che desiderano parlare con i nipoti. Sono una expat, vivo a Dubai, una città che accoglie duecento nazionalità. Qui il mondo dialoga ogni giorno».