la Repubblica, 19 maggio 2022
A Venezia, gli animali che Noè s’è dimenticato di salvare
Se la notte passate per Piazza San Marco a Venezia, uno dei luoghi più belli del mondo, alzate gli occhi verso l’alto. Dalla parte opposta alla Basilica vedrete illuminarsi di rosso l’ultima delle 100 finestrelle tonde che costellano la parte alta delle Procuratie Vecchie, antica sede delle Assicurazioni Generali. Dietro a questa apparizione si nasconde una costruzione realizzata dal collettivo dell’Atelier dell’Errore all’interno dell’ultima stanza del sottotetto chiamata The Art Studio. S’intitolaChutzpah, una parola che viene dalla tradizione yiddish e indica la sfacciataggine di chi crede troppo in sé stesso. Negli anni, emigrando nella lingua anglosassone, il termine ha assunto un valore particolarmente positivo, così ora riguarda la fiducia personale, la spinta temeraria che permette di uscire dagli schemi prestabiliti e di compiere azioni per altri impossibili. Coraggio e sfrontatezza sono le due parole che definiscono al meglio l’Atelier dell’Errore BIG, un gruppo di giovani artisti nato all’interno dei laboratori della neuropsichiatria infantile dell’Azienda Ospedaliera di Reggio Emilia e di Bergamo sotto la guida di Luca Santiago Mora, fotografo, artista, performer. Specialisti in “zoologia profetica”, i ragazzi dell’Atelier lavorano da anni per realizzare i ritratti di animali, quelli che Noè s’è dimenticato di far salire sulla sua Arca il giorno del Diluvio, e che per questo si sono salvati abitando l’immaginazione di questi ragazzi e ragazze. Loro, poi, sono quelli che nessuno invita mai alle feste di compleanno, come hanno detto di sé una volta.
Sulle due opere di Venezia si stagliano due grandi figure primordiali. La prima, Pater, si presenta come un corpo composto di sacche, vasi, imbuti, tubi da cui fuoriesce un distillato: gocce di sudore di sangue che si trasforma in oro. La seconda, ilSovra-Vissuto è invece un quasi-serpente dalla forma spiraliforme, così che possa includere al suo interno un figlio da proteggere. Il rosso è quello della Tenda-Mater, una struttura simile ad un riparo addossato alle pareti, dove è aperto rasoterra un oculo simile a quello della facciatada cui si può vedere l’interno dell’abitazione, a patto però d’inginocchiarsi. I ragazzi dell’Atelier Big hanno lavorato per mesi stando distesi sulla superficie rossa composta di nastri incollati gli uni agli altri con l’acribia di monaci tibetani, intenti a dar forma all’animale che abita le loro fantasie. Il nome della compagnia di zoologi, che sarebbero sicuramente piaciuti a Borges, deriva dal patto stabilito tra loro: non si può correggere nulla di quanto è stato disegnato o dipinto, nessun uso della gomma da cancellare o di altri strumenti per correggere sbagli, sbaffi, sgorbi, scarabocchi o macchie sopravvenute per supposta imperizia, perché l’errore è parte integrante dell’opera. Nelle immagini che illustrano le fasi di questo lavoro, condotto nelle stanze della Collezione Maramotti di Reggio Emilia, dove l’Atelier lavora da tempo, si vedono le diverse fasi di questa attività ossessiva, maniacale, insistente, che culmina nel rosso del telone e nell’oro delle foglie applicate sul materialeplastico.
Hanno disegnato distesi quella che è «una tenda che non è una tenda, eanimali che non sono animali».
L’installazione dei giovani amanuensi (visitabile fino al 30 dicembre) è curata dalla critica d’arte Gabi Scardi e si trova alla fine del percorso interattivo del The Human Safety Net,la fondazione promossa da Generali per sviluppare la ricerca dei potenziali umani rimuovendo altresì tutto ciò che impedisce di raggiungerli. La parola qui incarnata dell’Atelier è appunto Coraggio. Come ha scritto Ermanno Cavazzoni in un testo dell’ Atlante di Zoologia profetica(Corraini Editore), regesto dell’attività del gruppo, «con il disegno ci si può vendicare delle ingiustizie dellanatura?». La risposta è sì. Davanti alla Tenda e al suo sontuoso serpente, creatura uscita probabilmente da un interstizio della Grande Muraglia, per via del suo mirabile colore rosso e oro, si resta incantati in contemplazione. Possibile che siano stati proprio quei ragazzi della neuropsichiatria a redigere il catalogo del nuovo universo animale? Le loro bestie – amebe, cammelli, parassiti, ragni –, simili agli animali parlanti di Filelfo, annunciano un Regno che non conosciamo ancora, un territorio futuro, eppure già presente, quello del Post-Antropocene. I ragazzi dell’Atelier disegnano non solo per immaginare, ma anche per dar forma ai loro fantasmi, per trasformare in poesia quello che altrove è solo aberrazione, alienazione o malattia. Una volta la poetessa Chandra Livia Candiani ha espresso il rimpianto di non aver potuto da bambina far parte dell’Atelier dell’Errore, di non essere stata introdotta a tempo debito in quel gruppo per lei probabilmente salvifico. Per questo ha portato in dono ai ragazzi e alle ragazze una poesia di un suo allievo, uno dei suoi cuccioli- poeti. Si intitola Il mio ritratto : «Io mi chiedo/ chi sono e cosa sono?/ Sono un animale? Che vivo in una foresta?/ Sono un mare? e dentro di me ci sono degli esseri?/ Sono cattivo o buono?/ Queste sono domande a cui non so rispondere (Youssef)». Sul grande rettangolo rosso che fronteggia la Tenda ci sono animali che somigliano a vasi alchemici, con liquidi magici che trasformano le sconfitte della vita in un riscatto. Che pittura sarà mai questa? Non c’è risposta neppure a questa domanda, perché non è il significato che conta in queste opere, ma l’azione che le ha prodotte.
La salvezza a volte viene incontro in modo inatteso, l’importante è essere lesti ad afferrarla come un salvagente di sughero lanciato da una sconosciuta nave di passaggio. L’arte è un atto imponderabile e meravigliosamente presuntuoso come la sfacciataggine che promana da quella parola: Chutzpah