la Repubblica, 19 maggio 2022
Ritratto di Stefania Craxi
Quando si dice un caratterino. Stefania Craxi, eletta presidente della commissione Esteri del Senato come esito dell’ultimo suicidio cinque stelle, è solo un pochino meno tosta di suo padre, a cui da oltre vent’anni ha dedicato ogni sua opera e ogni moto dell’animo, compreso il risentimento, che sul piano umano si può capire, ma in politica è alla lunga un ingombro paralizzante.
Sia come sia, i senatori grillini di qualsiasi osservanza impareranno presto a conoscerla; ma fin da ora è bene siano consapevoli che Craxi certamente non avrà dimenticato l’aspro commento piovutole addosso da qualche blog delle stelle o Rousseau in occasione del ventennale della morte di Bettino (come lei continua a chiamarlo per rimarcare la propria “distanza emotiva”): «Beatificano un latitante condannato per corruzione».
Ecco, come ovvio si tratta di faccende delicate, tanto più in uno scenario che, ormai quasi del tutto alieno da ideali e progetti, pone l’elemento personale al centro della contesa, e qui si ritorna al caratterino di Stefy, come d’altra parte al disastro umano entro il quale si va consumando fra sospetti e rancori l’evidente dissoluzione dei cinque stelle.
Così chi vuol bene a Stefania Craxi potrà dire, col sussidio dei proverbi, che buon sangue non mente, nel senso che ha ereditato moltissimi tratti paterni: coraggio, testa dura, gusto per la battaglia, oltre a una certa imprevedibilità. Mentre chi non le vuol bene, o ne teme la forza d’urto, trova facile notare con quanta rapidità quelle stesse attitudini si trasformino in superbia, umoralità e tracotanza – ciò che non ha aiutato l’ultima fase del ciclo politico del craxismo.
In entrambi i casi la politica-politica appare comunque un’entità abbastanza remota dall’incidente parlamentare che ha generato l’elezione. Fin troppo complicato, oltre tutto, anche dopo tanti anni qualificare in termini storici e culturali a quale mondo abbia fatto riferimento la stessa figura di Bettino Craxi. Fu un socialista? Si, ma non solo. Un riformista? Chissà, forse, dipende. O magari un proto- sovranista? E qui per certi versi la risposta potrebbe essere affermativa, ma a patto di includere nella categoria anche un certo numero di democristiani, a partire da Enrico Mattei.
Ieri Stefania stessa si è designata “atlantista” e ha voluto aggiungere: come mio padre. Ma se la definizione, per quanto iper-semplificata, funziona certamente per la fine degli anni 70 e nei confronti del mondo sovietico (vedi l’intervento decisivo del leader del garofano nella dislocazione degli euromissi-li), è anche vero che alla metà degli anni 80 la chiara scelta di campo di Craxi a favore dei palestinesi e del mondo arabo (Gheddafi avvisato del blitz aereo Usa) e la più conclamata fermezza dimostrata nella vicenda dell’Achille Lauro e di Sigonella, non sembrarono, almeno agli occhi di Washington, la più specchiata prova di fedeltà o acquiescenza atlantica.
Fu in ogni caso un padre difficile, fin troppo preso dalla sua missione politica e quindi portato amuoversi in famiglia come – l’ha definito lei – «un elefante in una collezione di cristalli». Stefania gli è stata vicina fino all’ultimo, poi le si deve in gran parte il riscatto della figura storica e della memoria ottenuti a suon di anniversari, convegni, cerimonie, libri, mostre d’arte, film, spettacoli teatrali, senza contare la Fondazione Craxi.
Forse era anche destino che la Prima Repubblica s’incrociasse con la Terza e in particolare con i cinque stelle; e anche se queste combinazioni e sovrapposizioni lasciano il tempo che trovano, viene da pensare a quando – era il novembre 1986 – in prima serata Grillo osò raccontare una barzelletta anticraxiana che gli costò l’allontanamento perpetuo dalla Rai. A riprova che tutto un po’ torna, in Italia, ma al tempo stesso scivola nell’oblio.