La Stampa, 19 maggio 2022
Il ritorno di Trump
Ci sono i numeri, e quelli dicono che nel martedì delle primarie in cinque Stati Usa in vista del elezioni di Midterm i candidati di Trump sono andati bene, ma senza il filotto che il tycoon forse sognava. Qualche passo falso come la sconfitta in North Carolina del 26enne Madison Cawthorn e in Idaho di Hanice McGeachin, e l’incertezza che grava sull’esito del corsa in Pennsylvania dove lo sponsorizzato da Trump, il medico e star tv Mehmet Oz, ha appena 500 voti in più dell’uomo dell’establishment ma non sgradito a Trump, David McCormick. Si conteranno e riconteranno schede per tutta la settimana. Chi vince sfiderà John Fetterman, democratico, che ha vissuto la notte elettorale in ospedale per un malore dei giorni scorsi.
I numeri dicono però anche che laddove Trump ha griffato un candidato, quello è stato eletto: solo in due casi su 27 ha perso. Certo, l’ex presidente è un “animale politico” e ha anche messo il suo imprimatur su cavalli sicuri, senatori o deputati uscenti con la strada in discesa verso la riconferma. In totale nelle varie tornate elettorali che si susseguiranno fino ad agosto 150 candidati hanno il “brand” Trump sulla casacca.
Ma oltre ai numeri c’è qualcosa di più che lascia questo primo piccolo super martedì elettorale: Maga, il movimento di Trump, gode di ottima salute. Il suo messaggio è forte e chi sperava – l’America dei moderati e i repubblicani tradizionali – che il vento del populismo rabbioso di Trump fosse ormai solo una brezza dovrà ricredersi.
Le mani dell’ex presidente si allungano sul Partito repubblicano e per Mitch McConnell, guardiano del Senato per Gop, sarà una difficile convivenza con l’ala estrema che potrebbe avere sempre più forza se in novembre i repubblicani – spinti dai trumpiani – riconquisteranno la maggioranza al Congresso. I sondaggi dicono quello, alla luce di un Biden la cui popolarità è al 42%.
Anzitutto non sono spariti né i toni né i temi classici di The Donald. Uno studio ha rivelato che le parole più spesso usate nei comizi e nei comunicati stampa dei candidati della destra sono “lotta”, “difesa” in una sorta di linguaggio bellico in cui c’è uno spazio minoritario per i temi concreti e le proposte. In secondo luogo, sono tornati a vincere i sostenitori delle “elezioni rubate del 2000”. Due su tutti: i repubblicani hanno scelto come candidato alla carica di governatore della Pennsylvania Doug Mastriano il cui programma è radicale: bando all’aborto, nessuna restrizione per il Covid, posizioni anti-gay. Riavvolgendo però il nastro si scopre che Mastriano, allora senatore statale, era al raduno “Stop the Steal” del 6 gennaio del 2021 poi sfociato nell’assalto al Campidoglio. Ancora oggi è convinto che le elezioni del 2020 siano state il frutto di un furto da parte dei democratici, nonostante riconteggi, sentenze e verdetti dicano il contrario. Questa narrativa l’ha sposata anche Ted Budd in Nord Carolina, che votò contro la certificazione della vittoria di Biden: correrà per il Senato sospinto dall’endorsement di Donald e di altri 139 deputati. Affronterà la democratica Cheri Beasley, prima afroamericana a cogliere la nomination del suo partito e personaggio che incarna al meglio la strategia che i democratici hanno scelto per questa tornata: candidati fuori dal mainstream e dal background liberal e progressista. Una scelta che solo in novembre si capirà se ha pagato.
La partita chiave resta però quella della Pennsylvania, dove Oz è avanti di poco rispetto a McCormick. Terza, staccata di 8 punti c’è Kathy Barnette, l’outsider arrivata sino al 24,8%, commentatrice di estrema destra che si dice «un prodotto di uno stupro» ma antiabortista. Tanto quanto anti-gay e anti-islam. Il fatto che abbia preso un quarto dei consensi la dice lunga su quanto i repubblicani debbano fare i conti con spinte estremiste che li allontanano dalla tradizione che fu di Reagan, Bush, McCain e oggi forse Mitt Romney. Trump, intanto, ieri a riconteggio in corso è balzato sulla scena dicendo che Oz «dovrebbe dichiarare vittoria» e suggerendo – senza aver alcuna prova – che il suo candidato potrebbe perdere solo se ci fossero brogli. Come nel 2020, ha ribadito. La storia ritorna al punto di partenza. E Trump prova a cavalcarla. —