La Stampa, 19 maggio 2022
Un amore sbagliato
Forse ricordate la storia della giovane infermiera di Prato che partorì un figlio in seguito a una relazione con un ragazzino cui dava ripetizioni, tredicenne secondo l’accusa, quattordicenne secondo la difesa, un confine decisivo ai fini processuali. La donna è stata condannata in appello a sei anni e cinque mesi di reclusione, il reato è di violenza sessuale per induzione su minore. Cioè, traduco alla buona, il ragazzino era plagiato e non in grado di valutare. Di lei molto s’è scritto e molto si sa: ha un marito, da cui ha avuto il primo figlio, e il secondo, nato dalla relazione col ragazzino, ha tre anni ed è cresciuto con lei, col marito di lei e col fratello maggiore. Ora rimane soltanto il giudizio di Cassazione e, se sarà confermato, la donna andrà in carcere. Niente da obiettare, la legge è questa, non ho motivo di dubitare che la condanna sia stata calcolata sul centimetro dei codici. Soltanto mi chiedo a che cosa serva. Sarà stato un amore sbagliato, malato, eticamente condannabile – sto usando le parole dell’avvocato – ma mi chiedo quale sia il senso di rimediare a un amore sbagliato e malato rinchiudendo la colpevole in una cella. Mi chiedo quale sollievo ne ricaverà la vittima, mi chiedo che ne guadagnerà il mondo intero, mi chiedo se non sarà aggiunto danno su danno, quello inflitto a due bambini a cui sarà sottratta la madre. Mi chiedo se davvero pensiamo che dalla prigione lei ne uscirà migliore e, soprattutto, quando la smetteremo di pensare alla prigione come soluzione a tutto, e non un’eccezione dolorosa, e troveremo un modo meno spensieratamente barbaro di trattare chi sbaglia