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 2022  maggio 18 Mercoledì calendario

Su "Supersocietà. Ha ancora un senso scommettere sulla libertà?" di Chiara Giaccardi e Mauro Magatti (il Mulino)

La Finlandia, secondo il World Happiness Report, è il Paese più felice al mondo. Non sappiamo se questo invidiabile primato resista ai venti di guerra e alle nuove tensioni geopolitiche. L’Italia non è nemmeno tra i primi venti. Ma ha un tasso di suicidi che è un terzo di quello di Helsinki. Insomma, la presunta felicità nordica ha il suo lato oscuro. La pandemia ha moltiplicato i «disagi della sfera emozionale». Così li identificano, nel loro ultimo libro (Supersocietà, il Mulino), i sociologi Chiara Giaccardi e Mauro Magatti. Soprattutto negli adolescenti. Si parla, sempre più spesso, di depressione infantile. E mi ha colpito il dato del reparto di neuropsichiatria infantile del Policlinico San Matteo di Pavia. Trenta posti di degenza. Una lista di 160 ragazzi. Non era mai accaduto prima. Che cosa sta succedendo nelle spire più profonde della nostra società? Siamo di fronte all’implosione dei desideri è la prima risposta degli autori. Li abbiamo stimolati troppo (a detrimento dei doveri). E oggi constatiamo l’emergere di una «pulsione securitaria». La «sindrome del muro», come la chiama Massimo Recalcati. Piacere e pulsione di morte sono due facce di una stessa medaglia, ci avvertiva Sigmund Freud.

La spinta ad aprirsi agli altri — accelerata dalla globalizzazione e dalla digitalizzazione — si è trasformata nel suo esatto contrario: la chiusura in sé. Troppa ansia competitiva. Allora ci si rifugia in universi paralleli. Apparentemente riparati. In non troppo rari casi l’anticamera delle dimissioni dalla vita. Se la società è costituita sempre di più, e alla fine soltanto, da un insieme atomizzato di individui, il potere tende a subire un processo di totalizzazione: diventa esclusivo, freddo, distante. Le élite si disancorano dalle comunità locali; le istituzioni democratiche si impoveriscono. E la conseguenza, sul piano politico, è l’ingrossarsi del populismo e del nazionalismo nostalgico. Giaccardi e Magatti ce l’hanno (anche loro!) con il neoliberismo — e soprattutto con Margaret Thatcher e Ronald Reagan — forse scambiandolo per un edonismo privo di etica della responsabilità individuale, come invece dovrebbe essere. Molti gli errori commessi, ma non è stata un’orgia di egoismi incontrollati. Ogni stagione ha i suoi bersagli preferiti.

La «società del rischio» trascolora nell’«età degli shock». Sappiamo a quali pericoli siamo esposti, disponiamo di un’infinità di dati, ma non «riusciamo ad afferrare la catena delle interrelazioni». Né a capire fino in fondo l’ampiezza del danno che il nostro sviluppo determina sull’ambiente (antropia, ovvero l’insieme degli effetti entropici, nella definizione di Bernard Stiegler). «Il legame tra crescita (delle possibilità di vita) e antropia — scrivono gli autori — sembra ancora sfuggire alla nostra riflessività sociale». Noi così fragili saremo in grado di curare le fragilità del pianeta?

La sfida della sostenibilità — ed è questo un passaggio estremamente importante del saggio — è soprattutto culturale. Una rottura di paradigma. «Il mondo sostenibile non è fondato sull’aumento delle possibilità individuali». È necessario un freno ai desideri. Ma anche ai diritti e alla democrazia compiuta, magari sulla base di nuove teorie scientifiche? Questo è il pericolo, da scongiurare, insito nel concetto di Supersocietà. Un nodo che non si affronta e si rimuove colpevolmente. La digitalizzazione ha poi cambiato in profondità la natura del potere (e il suo controllo sulle nostre vite) oltre ad avere indebolito la nostra capacità di discernimento. L’illusione faustiana di un uomo neuronale che, grazie alla tecnologia, supera i propri limiti fisici e mentali non apre spazi sconosciuti di libertà. Tutt’altro. Ci espone al rischio «di essere assorbiti completamente nella logica sistemica al punto di non concepire più una definizione di sé». Avvolti in un «mantello di ferro» nella definizione di Max Weber, una prigione autoprodotta. Rischiamo di diventare soltanto dei codici. Una sequenza di password.

Il mercato non è in grado di governare gli scambi di una Supersocietà. E persino lo Stato rischia di soccombere davanti ai feudatari globali dei nostri dati. E dunque ci troviamo al cospetto di un bivio, di una biforcazione. Sostenibilità e digitalizzazione spingono a «una più rigida regolazione dei comportamenti individuali e a un nuovo temibile sbilanciamento a favore del polo Supersocietario». E la domanda di fondo è su come si possano difendere gli spazi intimi di libertà, coscienza, intelligenza, ragione. La libertà è relazione. Si nutre di saperi. Nei percorsi di educazione e formazione. Si coltiva nelle comunità. «Essere liberi non significa non avere legami». Nella società digitalizzata il cervello è costantemente stimolato. Ma ciò favorisce anche una perdita nella capacità di «saper pensare».

Giaccardi e Magatti propongono una nuova forma di educazione. La chiamano «epimeletica», dal greco melete (cura). Siamo, sostengono, in una condizione simile a quella dei nostri antenati che si trovarono, a metà dell’Ottocento, con meno del 5 per cento della popolazione che sapeva leggere e scrivere. Peccato che non si abbia, oggi, la stessa percezione di drammaticità e urgenza. Anzi la cura del capitale umano non è una priorità. Non lo è, per esempio, nell’anticipare, come accade in altri Paesi, il servizio scolastico (ai 3/4 anni), né nel promuovere la formazione permanente. «Ed è il momento di liberarsi della pesante eredità industrialista». Cioè che la «massima libertà abbia a che fare con la fabbricazione e il possesso di cose e quindi di persone».

Gli autori ridisegnano anche gli spazi sociali, il ruolo delle associazioni e dei corpi intermedi, configurano nuove organizzazioni «noetiche», in grado cioè di fondere il rispetto e la promozione della persona con gli obiettivi non solo economici di un territorio, di un Paese. Affinché i cittadini restino un nome, un insieme di relazioni umane che compongono il loro orizzonte di libertà personale. E non un numero e tantomeno un codice. «La vita è fecondità — scriveva Romano Guardini — e tanto più è viva la vita, quanto più è grande la sua forza di dare ciò che ancora non esiste». Il progresso è fatto di idee che sembrano impossibili e di valori condivisi che necessitano di cure costanti.