Corriere della Sera, 18 maggio 2022
Vincenzo Palmesano racconta il suo calvario tra minacce della camorra, giornali che non lo fanno scrivere e gatti in giardino da guardare vestito di tutto punto
Tutte le mattine, anche se deve restare in giardino si veste bene «così che se quel giorno dovessero uccidermi devono trovarmi in perfetto ordine». Vincenzo Palmesano, 64 anni, è un giornalista di Caserta ed è minacciato dalla camorra dei Casalesi. «Un boss mi fece licenziare dal giornale dove lavoravo e da quel giorno minacciano me e la mia famiglia». E il vuoto intorno: «Nessuno mi fa più scrivere». Ma la lotta continua, in strada, tra la gente: «Contro i clan distribuisco volantini».
«Gli devi dire che non nomina più a Lello Lubrano che lo lasciasse stare in grazia di Dio» dice il boss Vincenzo Lubrano intercettato in merito al figlio Lello, ucciso nel 2002 dal clan dei Casalesi. Pignataro Maggiore – Caserta, 2003: Lubrano parla di Vincenzo Palmesano, giornalista del Corriere di Caserta (oggi Cronache di Caserta ). Nello specifico il boss chiede al nipote, Francesco Cascella, di intercedere col direttore del giornale affinché Palmesano non scriva più. Da allora Vincenzo Palmesano, sessantaquattro anni, giornalista professionista vittima di reato di tipo mafioso, non scrive su nessuna testata, e del suo caso ne hanno parlato solo Roberto Saviano e Nadia Toffa.
Quando diventa giornalista Enzo Palmesano?
«Entro in un giornale a ventiquattro anni».
Il suo giornalismo?
«Analizzare gli apparati di potere, i collegamenti».
Effetti?
«Se scrivi di Totò ‘o killer o di Ciruzzo ‘o pazzo non succede niente, quelli sono carne da macello per i clan. Se invece tocchi il sistema – imprenditori, medici che contemporaneamente alla camorra si dedicano all’opera filantropica – lì arrivano i problemi».
Che tipo di problemi?
«Da quarantasei anni non c’è stato giorno che io non sia stato indagato o imputato. Accusa ricorrente: diffamazione a mezzo stampa».
Ultima notizia pubblicata sul «Corriere di Caserta»?
«Il sindaco Giorgio Magliocca s’incontra col boss. Ovviamente la notizia scritta così sarebbe stata bloccata. Allora m’ingegno: chiamo il ragazzo che si occupa delle pagine per avvisarlo che consegnerò il pezzo all’ultimo. Intanto mando titolo, occhiello e sommario su altro».
Argomento?
«Un pezzo sugli assessorati nel quale a metà scrivo che uno di questi che mira all’assessorato è tra quelli che dicono che il sindaco ha incontrato il boss. Due righe. Nella confusione di chiusura giornale nessuno se ne accorge, l’articolo viene pubblicato».
Conseguenza?
«Il Corriere di Caserta non pubblica più un mio pezzo».
Da tempo tuttavia – come emergerà dagli atti processuali – lei non era gradito ai clan.
«Hanno sempre cercato di fermarmi: querele, minacce».
Una querela?
«Seguo come giornalista una manifestazione ambientalista, e mi ritrovo querelato per adunanza, blocco stradale, e interruzione di pubblico ufficio».
Manifestazione ambientalista?
«Dalle mie parti la questione ambientalista è un atto politico. I Casalesi, i Nuvoletta aggrediscono le persone e l’ambiente. I loro affari sono nel cemento, e nei rifiuti».
Esempio?
«La centrale termoelettrica di Sparanise voluta da Nicola Cosentino. Ero io l’unico a oppormi. Poi Saviano che non aveva ancora scritto Gomorra».
Saviano.
«Se Gomorra fosse uscito anche solo sei mesi dopo, Saviano non avrebbe più scritto da nessuna parte. Lui è stato più veloce di loro, è diventato troppo famoso per essere messo a tacere, e loro hanno dovuto agire per altre vie».
Come le accuse di plagio?
«Sui giornali locali parlano di plagio, in realtà Saviano è stato chiamato in giudizio, tra l’altro, per aver citato in Gomorra, come fonte di un virgolettato, un “giornale locale” invece del Corriere di Caserta (o Cronache di Napoli, giornale gemello, ma edizione napoletana). Uno degli articoli del Corriere di Caserta riportati da Saviano titolava: “Nunzio De Falco re degli sciupafemmine” e celebrava le doti amatorie del boss. De Falco, che è morto nel suo letto qualche giorno fa, è stato il mandante dell’assassinio di Don Peppe Diana».
Nessun intervento politico contro la Centrale?
«Se il senatore Matteo Salvini avesse fatto sul serio durante la campagna elettorale in Emilia-Romagna, sarebbe andato a citofonare all’Hera Spa per porre domande sui rapporti economici di Cosentino con la Calenia Energia di Caserta in merito alla Centrale».
Nicola Cosentino?
«Detto “Il sottosegretario della malavita”. Aveva le chiavi della Reggia di Caserta dal prefetto, ufficialmente: “Per fare jogging”».
Quando emerge la verità su Palmesano?
«2009, “Operazione Calè”: esce la notizia che il sottoscritto è stato cacciato dal Corriere di Caserta per intervento del boss Vincenzo Lubrano».
In che modo esce?
«Grazie alle intercettazioni ambientali, e alle dichiarazioni del pentito Giuseppe Pettrone, braccio destro del boss Pietro Ligato. Pettrone riferisce che l’ordine del clan era: “Fare il vuoto intorno a Palmesano”».
Intercettazioni ambientali?
«Se non ci fosse stato un microfono nella villa bunker di Lubrano, non si sarebbe saputa la verità. Quelle intercettazioni registrano conversazioni con vari soggetti non identificati, tranne uno».
Chi?
«Un noto imprenditore».
L’imprenditore?
«Nominato di recente Commendatore della Repubblica».
Nell’intercettazioni Lubrano la paragona a Siani: «A Marano uccisero Siani, ebbero sette ergastoli. Quello pure lo stesso rompeva il cazzo a tutti quanti, vedeva a uno di quelli là magari a prendere il caffè, prendeva e scriveva, quello si è stufato e l’hanno ucciso. Hanno avuto sette ergastoli. Adesso, dico io, perché devo prendere l’ergastolo per un uomo di merda di quello?».
«Appunto».
Cosa significa per lei l’«Operazione Calè»?
«Dopo sei anni in cui solo io penso che ci sia stata un’azione punitiva dei clan nei miei confronti, ecco, dopo sei anni di isolamento e di dubbio».
Quel giorno?
«Cercano di bruciarmi la macchina».
Il tempo dopo l’epurazione?
«I miei tabulati telefonici parlano: anni interi in cui non mi telefona nessuno».
Motivo?
«Qualsiasi persona a me vicina entra nel mirino».
Anche i figli?
«Il maggiore lavorava in una ditta edile. Il boss Pietro Ligato minaccia l’imprenditore per farlo cacciare».
Cacciato?
«Sì».
Dove scrive Palmesano al momento?
«Ogni tanto sui blog locali».
Una notizia sul blog?
«L’associazione “Gruppo sociale La felicità” – con sede in un bene confiscato alla camorra, intitolato a Franco Imposimato – sindacalista, fratello del magistrato, per il cui omicidio è stato condannato all’ergastolo Lubrano, fa capo alla moglie del figlio di Vincenzo Lubrano. Il Comune ha affittato un immobile intitolato a Imposimato alla nuora del suo assassino».
A quel punto?
«Se preparo un pezzo simile, richiedo l’ultimo documento un attimo prima di consegnare. L’intervallo tra il ritiro del documento al Comune e l’uscita del pezzo è il momento veramente pericoloso. Il momento in cui loro sanno che stai scrivendo».
Quando Palmesano non scrive sui blog locali?
«Faccio volantini. Settecento, ottocento volantini da me distribuiti in paese».
Una notizia sui volantini?
«Denuncio la famiglia di camorra che su Facebook fa campagna elettorale per il sindaco».
Campagna elettorale?
«Mettendo mi piace alle iniziative del politico. Un capomafia che mette mi piace sotto la campagna elettorale di un candidato sindaco».
Lei conia la definizione «La Svizzera dei clan» per Pignataro Maggiore.
«A Pignataro succede tutto ma non si sa mai niente. Riina latitante? Cercato a Corleone, stava a Pignataro. L’imprenditore Ludovico Zambeletti sequestrato dai Lubrano? Nascosto a Pignataro».
Minacce da lei ricevute negli anni?
«La mafia vera è composta di persone che non hanno bisogno di mettere le bombe. Gente che non deve dire: “Io ti sparo”».
Dunque?
«Quando passo nella piazza del paese, una persona del clan – importante che sia sempre la stessa per significare che non è un caso – quella persona urla: “Si sente puzza di merda”. Ogni volta».
Lei cambia tragitto?
«Mai».
Altre intimidazioni?
«Proiettili. Ancora grazie alle rivelazioni di Pettrone si scopre che Ligato in persona mi ha spedito uno dei tanti proiettili dall’ufficio postale di Vitulazio».
Le paure di Palmesano?
«Ho messo in conto la possibilità di perdere ogni cosa: famiglia, casa».
La sua vita oggi?
«Leggo libri, vado in biblioteca. Ogni mattina mi lavo e mi vesto bene, fosse solo per stare in giardino a guardare i gatti».
Perché?
«Se quel giorno dovessero ammazzarmi, devono trovarmi in ordine».