la Repubblica, 18 maggio 2022
Biografia di Biniam Girmay Hailu
È un botto: al cuore, allo storia, all’occhio. È un mondo che si stappa. Non è più solo folklore, è vento nuovo, è lo sport quando apre le porte e ti regala sudore, due ruote, ma anche un altro destino (se lo vuoi). È ormai la loro Africa, e non più quella della baronessa Blixen. Quella dove si corre, dove si lancia, dove si attacca, dove si pedala. Quella che sfonda in specialità dove: ma guarda tu un nero. Certo, un nero, perché no, e magari domani tanti altri. Solo che Biniam Girmay Hailu, eritreo, primo corridore nero dell’Africa a vincereuna classica (la Gand Wevelgem) e primo a conquistare una tappa del Giro, sa vincere e sprintare. Ma non sa (ancora) festeggiare e così il tappo dello spumante gli finisce pericolosamente sull’occhio sinistro. Il cuore. È la la decima tappa, quella che arrivava a Jesi, e passava per Filottrano, per onorare Michele Scarponi, nel quinto anniversario della scomparsa, che da ragazzo di provincia si vide regalare una bicicletta per la prima comunione. E Girmay, 22 anni, viene da Asmara, dove giocava a pallone, fino a quando il papà falegname non gli ha comprato una bici e lui Bini si è sentito in debito. «Costava tantissimo, io andavo ad aiutarlo in falegnameria, dieci chilometri ad andare e dieci a tornare, sono state le prime corse».
Famiglia povera, 5 maschi e una femmina, a 16 anni la scelta della strada, a 18 l’arrivo in Europa, prima in Svizzera, poi a San Marino. Un altro ragazzo della provincia dell’impero ciclistico che si prende un pezzo di trono, dopo aver rischiato in una curva di sbagliare strada a 6 km. dal traguardo. Ancora il cuore. La volata con l’olandese Van der Poel, che capisce di non farcela, e gli fa ok con il pollice, la strada è tua, te lo meriti. Un inchino sportivo che non diminuisce, ma che anzi esalta entrambi. La storia. In Africa a correre ci andava anche Coppi, che lì si ammalò per poi morire. Su quelle strade sterrate la bicicletta è popolare, è un mezzo di fatica, di trasporto, non una scelta ecologica. Non si pedala per divertimento, ma per necessità. Si corre per andare a prendere l’acqua e perché non si hanno i soldi per prendere la corriera. Dopo la fine della guerra, nel ‘46, il Giro di Eritrea fu la prima corsa a tappe dell’Africa. Lì ci si può allenare a 2.500 metri di altitudine, è un vantaggio. Nel 2015 due eritrei hanno corso per la prima volta il Tour. Merhawi Kudus e Daniel Teklehaimanot che nella prima settimana scattava su tutti i cavalcavia per raccogliere punti per la maglia a pois. Ad Asmara e dintorni il ciclismo è popolare. Piccoli uomini crescono. Non più solo maratoneti. E così è arrivato Bini che è sposato e ha una figlia, Leila, e che pedala, senza farsi tante domande, quando è partito per la Gand-Wevelgem non conosceva nemmeno il percorso. Ma la storia dice che lo sport è sempre è più global e che tutto si rovescia.Hanno ragione i calciatori Osimhen ed Eto’o a dire che l’Africa non è più solo un racconto di povertà, ma anche di bravura. Se solo la si potesse vedere con altri occhi ed aiutarla a progredire. Julius Ego, keniano, nel 2015 ha vinto i mondiali di atletica nel giavellotto. Aveva imparato la tecnica guardando i filmati su Youtube. Sembra un’eccentricità. Lo sprinter Ferdinand Omanyala, kenyano, ha appena corso a Nairobi, il miglior crono dell’anno sui 100 metri in 9”85. Joel Embiid, del Camerun, si è segnalato tra i migliori nel basket Nba. Vogliamo anche noi, come Van der Poel, oggi alzare il pollice?