la Repubblica, 18 maggio 2022
Quanto è difficile abortire in Italia
Una fotografia che racconta, quarantaquattro anni dopo, la storia di una legge incompiuta, anzi erosa anno dopo anno, boicottata e dimezzata. Con il risultato che oggi per una donna abortire, cioè esercitare il proprio diritto ad ottenere una prestazione sanitaria prevista dallo Stato, è sempre più una corsa ad ostacoli. Vuol dire dover migrare da una regione all’altra, vuol dire ritrovarsi, a volte, perché le strutture respingono, oltre i termini, vuol dire, anche, dove espatriare. È quello che emerge da un’indagine dell’Associazione Coscioni, un’inchiesta dal nome, emblematico “Mai dati”, che ha provato a scandagliare a tappeto lo stato reale dell’applicazione della legge 194 negli ospedali di tutta Italia. I risultati sono sconfortanti.
Tra le oltre 180 strutture che hanno fornito informazioni sul personale obiettore di coscienza, emerge che in 31 tra ospedali e consultori il 100 per cento di medici e infermieri è obiettore. In altre 50 strutture gli obiettori sono oltre il 90 per cento,e sono oltre 80 quelle con un tasso di obiezione superiore all’80 per cento. Una realtà assai più grave, sottolinea l’Associazione Coscioni, di quanto non venga descritta nell’annuale Relazione sullo stato di attuazione della legge 194, che il ministero della Salute invia ogni anno al Parlamento. Questo perché «ci sono aree del nostro Paese nelle quali l’accesso all’aborto è fortemente limitato, ma che scompaiono nell’accorpamento dei dati aggregati per Regione» utilizzato dal ministero.
Dalla Relazione al Parlamento emerge, inoltre, un dato sull’obiezione di coscienza “impreciso” perché «ci sono non-obiettori che lavorano in ospedali in cui non esiste il servizio Ivg e quindi non ne eseguono». Dunque «la percentuale nazionale di ginecologi non-obiettori di coscienza, che secondo la relazione è del 33 per cento, deve essere ulteriormente ridotta», hanno spiegato le autrici dell’indagine, Chiara Lalli e Sonia Montegiove. Insomma, avere un quadro preciso non è facile. L’unica cosa chiara, per Filomena Gallo, avvocata e segretaria dell’Associazione Luca Coscioni, è che «la legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza è ancora mal applicata o addirittura ignorata in molte aree del Paese». Per questo l’Associazione Coscioni, con Lalli e Montegiove, ha scritto una lettera al ministro della Salute, Speranza, e alla ministra della Giustizia, Cartabia, chiedendo di «porre fine alla violazione in corso dei diritti fondamentali delle persone che necessitano di accedere all’interruzione volontaria di gravidanza». In tutta Europa e adesso anche negli Stati Uniti le leggi sull’aborto sono sotto attacco, in Polonia non si può più abortire, clamoroso il caso del divieto del governo di Varsavia di vietare l’interruzione di gravidanza alle profughe ucraine struprate dai soldati russi. Ma anche in diverse regioni italiane, l’attacco alle donne che vogliono abortire è in atto da tempo, con l’arrivo negli ospedali e nei consultori dei «centri di aiuto alla vita». Per monitorare dunque l’esatta applicazione della legge, l’Associazione Coscioni chiede l’utilizzo di dati «aperti, aggiornati trimestralmente». E che «tutte le regioni offrano la reale possibilità di eseguire le interruzioni di gravidanza in regime ambulatoriale». Ottenere un aborto, dicono le autrici, Lalli e Montegiove, «è un servizio medico e non può essere una caccia al tesoro».