la Repubblica, 18 maggio 2022
Intervista a David Ermini
L’amarezza c’è tutta ogni volta che parla di Renzi. Si vede negli occhi che si abbassano e si sente nella voce che si assottiglia. Anche qui, nello studio di Metropolis, davanti a Gerardo Greco e a me, che di Renzi e della loro storia vorremmo sapere tutto. Ma l’espressione di David Ermini – oggi vice presidente del Csm, ma fino al settembre 2018, quando salì al Colle da Mattarella, parlamentare renziano – s’incupisce. Lui lo chiama ancora “Matteo”. Perché «siamo stati amici».
Anche se “Matteo”, solo poche ore prima, lo ha attaccato di nuovo, come ha fatto nel “Mostro”, il suo ultimo libro. Ha ripetuto che Ermini «è un pubblico ufficiale che riceve una prova del reato e la distrugge».
Ermini va verso un’azione legale: «Siamo stati amici, abbiamo condiviso una stagione, lui mi ha proposto per il Csm, e qui la mia strada istituzionale si è separata dalla sua…».
Né un deputato, né un membro del Csm deve obbedire a chi lo ha fatto eleggere?
«Un organo di rilievo costituzionale deve decidere in modo autonomo.
Anche il vice presidente non può e non deve rendere conto a chi lo ha votato, ma al presidente della Repubblica, che è il capo del Csm».
Renzi le ricorda che se sta al Csm è per merito suo?
«Un momento. Mi sono lamentato per un fatto specifico. Ho dato mandato a un collega fiorentino di tutelarmi, e lui deciderà i modi e i tempi. E su questa vicenda non ho nient’altro da dire».
Lei è stato deputato, e forse tornerà a farlo….
«Chi vivrà, vedrà…».
Ma tra lei e l’ex premier ci sono ruggini che lasciano un po’ di amaro in bocca? Questo lo può dire…
(Ermini abbassa lo sguardo, sorride leggermente, tace per qualche secondo…). «Certo non sono situazioni che ti rendono felice, soprattutto se con una persona ci lavori per vent’anni. Sono stato zitto l’anno scorso, quando è uscito il libroControcorrente. Ma domenica non potevo più tacere … Non è piacevole, perché io sono di quelli che nel movimento di Renzi ci ha creduto molto. E devo dire che anche grazie a Matteo sono cresciuto, abbiamo fatto tante battaglie insieme, quindi una situazione come questa non mi rende felice… ma si può andare avanti».
Ma cos’è accaduto tra di voi?
«È inutile che insistete, di questa questione non parlo».
Parliamo dello sciopero delle toghe che non è andato bene…
«Non so se sia andato al di sopra o al di sotto delle aspettative. C’erano stati molti magistrati che avevano già detto di non condividere la scelta dello sciopero. C’è stata una forte discussione anche giusta. Perché nella situazione di grande difficoltà in cui si è trovata la magistratura negli ultimi anni è giusto che si discuta su come andare avanti».
L’ultimo sciopero, ai tempi di Berlusconi, segnò percentuali ben diverse….
«Fu fatto per ragioni più serie, e anche più gravi. In tempi nonsospetti, quando ancora si ipotizzava di farlo, io ho detto subito che se fosse toccato a me non avrei scioperato…».
Lei non è un magistrato, ma un avvocato…
«Certo, e vedo subito che le questioni più difficili da digerire per un magistrato – il sorteggio per il Csm e la resp onsabilità civile diretta – in questa riforma non ci sono. Restanole valutazioni di professionalità in cui entreranno anche gli avvocati e il fascicolo per ogni giudice. Punti che non ritengo assurdi. E poi la gerarchizzazione delle procure, dove i sostituti sono più sottoposti al controllo dei capi».
E la legge elettorale? Alle toghe non piace affatto.
«È una questione complicata, macome nelle elezioni politiche ogni legge ha dei pro e dei contro. Il nodo è capire chi mandi al Csm e il rapporto che s’instaura dopo l’elezione. Non basta una legge, occorre una rivoluzione etica. Perché il rapporto fiduciario, il cordone ombelicale che ci può essere nel momento del voto non deve esistere anche dopo. Una volta eletto, io non devo rendereconto a chi mi ha mandato lì».
L’esiguo 38% di toghe che sciopera a Milano, città simbolo di Mani pulite, non toglierà alla magistratura la forza per far cambiare leggi che ritiene errate?
«Tutto il dibattito sulla riforma è stato impostato male. Ci sono stati troppi proclami, come quel parlare di una riforma “vendicativa” contro la magistratura, mentre la stessa magistratura andava chiudendosi sempre più su se stessa e alla fine è arrivata allo sciopero. Invece bisogna puntare a un equilibrio».
E quale potrebbe essere?
«Le parti della legge contestate dai magistrati sono assolutamente discutibili, tant’è che il Csm ha votato un parere estremamente critico, ma le leggi le fa il Parlamento, e una volta che le approva i magistrati le devono rispettare. Se poi, in una riforma di così ampia portata, qualcosa non dovesse funzionare, allora lo stesso Parlamento potrà tornarci sopra».
Era proprio necessario ridurre da 4 a 1 i passaggi da pm a giudice?
«Rispondo a titolo personale, e da avvocato. Un pm che ha fatto per qualche anno il giudice io lo preferisco. Non so se sia positivo che uno nasca come pm e finisca la carriera con la stessa casacca addosso. Meglio un magistrato che prima fa il giudice, e poi diventa pm».
Ora che farà il Senato? Dirà l’ultimo sì alla legge Cartabia?
«Dopo aver assistito – ero lì alla Camera – agli applausi al presidente della Repubblica Mattarella il giorno del suo giuramento, credo che il Parlamento non possa non arrivare a votare la riforma. Ogni partito ha rinunciato a qualcosa. Non è una riforma epocale, ma è utile».
Che succede il 12 giugno? Gli italiani andranno a votare per i referendum sulla giustizia e non sanno di cosa si sta parlando?
«Diciamo la verità, per molti è proprio così, perché sto ricevendo molte chiamate e messaggi in cui mi si chiede cosa ci sia mai nei cinque quesiti. Che succederà? E chi può dirlo?».