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 2022  maggio 18 Mercoledì calendario

Russia, la débacle dei cieli

I caccia ucraini che sfrecciano indisturbati sulla prima linea russa ripropongono il mistero di questa guerra: che fine ha fatto l’aviazione di Mosca? Sulla carta non c’è partita: dispone di 1.435 aerei da combattimento contro i 98 di Kiev, un vantaggio di quasi 15 a uno. E non si può nemmeno dire che siano vecchi, perché Putin ha speso miliardi per acquistarne 400 di nuovi e aggiornare un numero consistente di quelli più datati. All’inizio si è pensato che gli stormi venissero tenuti di riserva, temendo un’escalation del conflitto. Poi verso fine marzo sono cominciati ad apparire più spesso, soltanto però per bombardare le città indifese del Donbass. Ma, poco alla volta, i loro rivali si sono fatti più aggressivi e ora si spingono a pochi minuti di volo dalle basi russe.
L’assenza dei jet con la stella rossa è diventata così clamorosa da far persino dubitare della fedeltà politica dell’aeronautica, ipotesi circolata soprattutto dopo l’esclusione dalla parata del 9 maggio. Eppure il capo è legatissimo a Putin: il generale Sergei Surovikin, premiato per la campagna siriana con la nomina al vertice dell’aviazione e ritenuto il possibile successore di Valery Gerasimov alla guida di tutte le forze armate. Con un difetto: la sua carriera non c’entra nulla con il volo. È stato sabotatore sovietico in Afghanistan, poi si è sempre occupato di tank per trasformarsi cinque anni fa nel comandante supremo dell’aria. Una scelta inconcepibile nel resto del mondo, che non era mai avvenuta neppure in Russia e forse ha influito sulla débacle attuale.
La verità infatti è semplice, speculare a quella che si riscontra sul terreno: le squadriglie russe non sono preparate per un conflitto moderno. Vanno in azione alla spicciolata come nella Seconda guerra mondiale: partono per colpire un bersaglio o per pattugliare un pezzo di nuvole, senza trasformarsi in un fattore decisivo della battaglia. Nulla a che vedere con l’ossessione della Nato per la supremazia dell’aria, quella che nel 1999 ha permesso di conquistare il Kosovo senza che un solo soldato entrasse in campo e che da allora è stato il mantra delle potenze occidentali. E se l’invincibile “Ghost of Kiev” che faceva strage di Mig invasori era un’invenzione della propaganda, le sortite quotidiane dei jet ucraini invece sono una realtà.
Il primo difetto è nella strategia, quindi, che non concepisce coordinamento né in cielo, né in terra. I bombardieri non sono abituati a gestire i raid sincroni con i reparti dell’esercito e nemmeno condurreoperazioni con i loro caccia. Questo nasce dalla mancanza di centrali di comunicazione e di controllo degli stormi. I rari radar volanti russi sono rimasti parcheggiati lasciando senza guida gli intercettori. Pesa inoltre la carenza di ordigni tecnologici, tanto che i Sukhoi 25 seminano bombe e razzi puntati a occhio.
Ma il guasto principale è nell’addestramento: i piloti volano in media cento ore l’anno, pochissime rispetto agli standard della Nato. Molto diversa la formazione dei cacciatori ucraini, diplomati negli Usa. Spesso viene intervistato un pilota che si presenta con il nickname “Juice”: «Ci aspettavamo che i russi fossero di gran lunga meglio. Certo, noi non possiamo conquistare la superiorità aerea, ma neppure loro». Il suo soprannome risale alla scuola dell’Air Force in California: quando la prima sera è andato a bere con i colleghi americani, è stato l’unico ad ordinare una spremuta. Scene da Top Gun, anche se i duelli ravvicinati come quelli del film, chiamati “dogfight”, sono un’eccezione: «Evitano lo scontro diretto».
Juice sostiene che se avessero caccia più avanzati, come gli F-16, non ci sarebbe storia. Anche se non fornisce aerei, la Nato sta offrendo un aiuto determinante. Sulla linea del fronte oltre mille missili terra- aria Stinger trasformano le incursioni russe sotto i tremila metri di quota in missioni suicide. E i difensori sono assistiti dall’ombrello dei velivoli radar atlantici che dalla Polonia e dal Mar Nero sorvegliano l’intero cielo ucraino. Difficile che gli sfugga un decollo e sono informazioni più preziose delle armi, che privano le squadriglie di Mosca di ogni effetto sorpresa. Un vantaggio che tiene i bombardieri lontani dalle città: attaccano solo di notte, scagliando cruise da lunga distanza. Pure le scorte di questi missili, però, stanno finendo. «Credete a noi, a qualsiasi ultimatum la flotta aerea saprà dare risposta», recita l’inno orgoglioso dell’aviazione russa. Ma presto Putin chiederà al generale Surovikin di spiegargli perché persino i potenti Sukhoi 30 nuovi di zecca vengono abbattuti: Kiev mette i rottami all’asta come trofei.