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 2022  maggio 18 Mercoledì calendario

In ricordo di Franco Battiato

Franco Battiato. Sempre più si approfondisce il senso della sua mancanza. Riascoltare le sue canzoni, guardare le commemorazioni della sua morte, in questi giorni, provocano una dolorosa certezza della sua assenza. E della nostra distanza da lui. Ci rimangono, certamente, le sue opere. Eppure esse non sono che L’ombra della luce, come lui stesso cantava, ispirandosi al Libro Tibetano dei Morti. E, nonostante quanto ci insegnasse sulla morte come varco verso nuove vite, e come possibile ricongiungimento alla «Luce», «all’Uno al di sopra del bene e del male», «all’Oceano di silenzio sempre in calma», rimane e anzi cresce il senso della sua assenza.
La forza della sua presenza viva, con me, con noi, con ciascuno di coloro che lui frequentava, amando frequentarli, era straordinariamente balsamica. Lui sapeva essere verticalmente serio, riflessivo e fanciullescamente divertente, con un umorismo tutto suo, raggelante, a volte incomprensibile, che non si capiva se stavi ridendo per il suo aneddoto o perché non era riuscito a raccontarlo come voleva, pur avendo raggiunto un effetto comico superiore a quello immaginato. Comicità pura, perché involontaria.
E poi c’era il suo orgoglio e la sua volontà. La sua «autodisciplina», come amava dire. Che per me rimane un insegnamento assoluto. È troppo facile riuscire in quello che si sa fare, in quello per cui si è portati, o per cui si pensa di essere portati, escludendo ogni altra sfida. Lui – che pure aveva un successo planetario in quello che faceva, e che faceva benissimo – doveva riuscire in quello che non sapeva fare. Doveva educarsi all’ignoto, costringendosi a imparare. È stato così con la scrittura della musica, dopo avere conosciuto Stockhausen. È stato così con i libri, a seguito dell’incontro con Roberto Calasso e Fleur Jaeggy (da cui ha capito quanto il mare del sapere poteva alimentare la sua creatività, e quanto lo avrebbe spinto a approfondire la sapienza tibetana, quella Sufi, e la mistica cristiana). È stato così con il pianoforte (che si è imposto di imparare a suonare). È stato così con la pittura, altra sua sua grande passione coltivata sino all’ultimo (a Milo, alcuni mesi prima della sua morte, mi mostrava gli ultimi suoi quadri dipinti e, su mia richiesta, suonava alcuni accordi al pianoforte nel suo salone pieno di luce). È stato così, infine, con il Cinema, grande passione che ci legava, a cui lavoravamo insieme con una libertà raramente, altrove, sperimentata, ma che con lui era naturale e persino ovvia. Diffidava delle scuole, nel cinema, avendo intuito che le scuole stavano uccidendo quel che del cinema rimaneva, con regole e regolette che imbrigliavano la creatività. Aveva capito che in quello strano e unico connubio di racconto e immagini poteva riversare le sue riflessioni sulle cose ultime, in modo non meno efficace che nelle canzoni.
Non ho mai incontrato nessuno che, come Franco, fosse consapevole e orgoglioso del proprio essere, che avesse un tale successo nel proprio stato, e desiderasse, allo stesso tempo, con tutte le forze, essere anche altro, evolversi, crescere nello spirito e nelle potenzialità del proprio corpo. Questo atteggiamento lo rendeva immune dal successo, pur compiacendosene sempre. Diceva che l’essere umano ha potenzialità che neppure sospetta. Lui lo sospettava, anzi ne era certo, e le ricercava con una sana e martellante inquietudine che sentiva anche in me e io avvertivo in lui, alimentandomene per respirare aria fresca, per non addormentarmi.
Avrei voluto dirgli, come lui intonava alla Fonte di ogni mistero, «E non mi abbandonare mai», perché lui mi rendeva certa, quando se ne andò mia madre, che lei non mi avrebbe abbandonato mai. E riascolto e rivedo Bist du bei mir (Se tu rimani con me, io sarò felice..), come aveva intitolato un suo brano che rendeva pop il tema di una cantata di Bach. Nel videoclip di questa canzone lui impara a ballare da una ragazza bionda e bellissima, e io rido, con Sgalambro. Ho rivisto quel sorriso pieno, aperto che avevo nel video del 1999. E sono certa non venisse da me, non fosse mio, ma che fosse la presenza di Franco Battiato, lì, davanti a me. —