La Stampa, 18 maggio 2022
Ecco perché l’Inghilterra non vuole i laureati italiani
Neanche una università italiana nella lista dei «visti speciali» che il governo britannico ha deciso di concedere ai laureati di tutto il mondo a partire dal prossimo 30 maggio. La notizia ha già scaldato gli animi e diviso in fazioni, perché ormai si ragiona per estremi contrapposti. Da una parte gli odiatori dell’Inghilterra: perfidi inglesi, maledetta Brexit, se ne pentiranno, non sanno che gioielli di laureati si perdono, le università italiane sono fighissime. Dall’altra la fazione degli anti-italiani (minoritaria in verità, il campanilismo in questi casi vince): così impariamo, gli atenei italiani sono in mano ai baroni, non c’è selezione, metodi antiquati, poca selezione, professori inadeguati, non ci sono corsi in inglesi, non si attirano stranieri.
Chi ha ragione? Nessuna delle due fazioni. Spieghiamola meglio. L’obiettivo del governo di Boris Johnson è di contingentare gli ingressi nel Paese e fare dell’Inghilterra il polo europeo di attrazione per le eccellenze, dedicato ai cosiddetti HPI, High Potential Individuals, Individui ad Alto Potenziale. Stop agli idraulici polacchi e ai baristi italiani, per intenderci, porte aperte agli immigrati altamente qualificati. Questi super cervelli devono essersi laureati negli ultimi cinque anni in una delle più prestigiose università del mondo per poter ottenere un visto di due anni (laureati semplici) o di tre (se in possesso di un dottorato di ricerca). Per stilare la lista gli inglesi hanno fatto una media delle tre maggiori classifiche accademiche internazionali: il Times Higher Education, la QS World University Rankings, la Academic Ranking of World Universities. Ne è risultata una lista di 37 atenei, che da sempre sono considerati i più prestigiosi del mondo. I soliti noti, insomma, dove le università italiane non compaiono. Il problema quindi è a monte: perché neanche la Bocconi o la Normale di Pisa o i due Politecnici (Milano e Torino) – in Italia considerati delle eccellenze- non hanno un ranking abbastanza alto a livello internazionale? Il fatto è che questi tipi di classifiche sono concepite secondo criteri anglosassoni, dove entrano in gioco oltre all’eccellenza accademica anche tanti altri parametri, che vanno dalla soddisfazione degli studenti alle facilities (campus, dormitori, attività sportive, laboratori etc), dall’attenzione alle disabilità all’accesso al mondo del lavoro, dalla diversità etnica alla produzione di ricerca ad alto livello. Quindi intanto sarebbe opportuno migliorare questi standard, sennò siamo alle solite lamentele da provinciali. Per esempio, nella lista compaiono i due Politecnici svizzeri, quello di Losanna e quello di Zurigo e l’Università di Monaco in Germania e la Karolinska di Stoccolma. Per capire perché loro sì e noi no basterebbe fare un giro in uno di quei campus e capire le notevoli differenze.
Per concludere il ragionamento bisogna tornare alla causa di tutto ciò, che è appunto Brexit. A parte i turisti, oggi per entrare in Inghilterra bisogna avere già un contratto di lavoro con un salario di circa 30mila euro, l’assicurazione sanitaria e altri requisiti. Questi nuovi Visti Speciali permettono invece a giovani laureati di entrare e cercare lavoro lì. Non cambia niente invece per gli studenti delle superiori o per chi vuole frequentare l’università nel Regno Unito, a parte le rette che sono praticamente raddoppiate: prima studenti Ue e Uk pagavano uguali (circa 10mila euro l’anno), ora gli studenti Ue pagano come i cinesi, i nigeriani o gli indiani. Ma anche qui bisognerebbe chiedersi perché il sistema educativo britannico continua comunque – anche dopo la Brexit – ad attrarre studenti da tutto il mondo e come mai Oxford e Cambridge sono sempre presenti nella top ten di quelle classifiche internazionali (piccolo indizio: guardate la lista dei premi Nobel che producono e il sistema di trust che li governano).
Ci piace tutto questo? No. Il mondo che alza barriere è più brutto del mondo dove si circola liberamente. Ma queste sono opinioni personali che non rientrano nelle classifiche internazionali.