il Giornale, 17 maggio 2022
I nuovi diari del Nobel Peter Handke
Scrive ancora con le matite, su taccuini, scrive ancora come scrivevano i poeti, cammina a piedi scalzi sui prati e ascolta il suono dell’erba che cresce. È Peter Handke, nato nel 1942 in un villaggio austriaco a maggioranza linguistica slovena. Questo essere tra le lingue lo segna e gli trasmette quella singolare sensibilità che oscilla tra estraniamento e identità. Avverte una crescente intolleranza a vivere in Austria: è un sentimento che ha condiviso con Ingeborg Bachmann (1926-1973), anche lei esule in Italia, soprattutto a Roma (dove è morta tragicamente) e con Thomas Bernhard (1931-1989), emigrato in patria. Formavano il trio austriaco di una altra letteratura tedesca, diversa e opposta a quella impegnata e politicizzata delle due Germania.
Handke, il più giovane, è il sopravvissuto, anzi il superstite di una stagione tragica. Lui si è salvato fuggendo, facendo il giro del mondo in tre anni e poi scomparendo nei dintorni di Parigi, a Chaville, rifugiandosi in una opera immensa e immane, consegnata a una decina di volumi di diari, di Tagebücher, ovvero letteralmente: i «libri del giorno». L’ultimo, Di notte, davanti alla parete con l’ombra degli alberi, esce ora, per il valoroso editore Settecolori, con la cura meravigliosa di Alessandra Iadicicco. Già nei precedenti lavori si era intravista la contaminazione tra scrittura e disegno. Non è il primo autore dalla doppia espressività; sia sufficiente pensare ai diari di Kafka, con quegli schizzi che commentano e interpretano tutta l’angoscia drammatica del praghese. Handke è più manieristico, perché scrive per sé, ma sa che scrive anche per i suoi editori-consiglieri, e in definitiva per noi, così come la fluviale scrittura diaristica di Thomas Mann.
Quella di Handke è scrittura volutamente enigmatica, rapsodica, assai colta, come appare già dalla dedica assurda, umoristica, straordinaria: «Al timpano del fienile dei Koppenfels» che, come spiega Iadicicco, «si riferisce al frontone del fienile del vicino di casa a Weimar che Goethe scorgeva dalla finestra del suo studio». In questa strana epigrafe affiora la vena carsica nella scrittura dello scrittore austriaco: quella comica e fantastica, che si conferma nel recente romanzo breve La mia giornata nell’altra terra. Una storia di demoni, sempre accuratamente tradotto da Alessandra Iadicicco per Guanda.
Il tema del tempo ricorre di continuo nella sua opera concentrandosi nelle annotazioni diaristiche che suggeriscono un sottile progetto interiore che si dipana nei volumi diaristici quale documento di autoformazione. La vita, coi suoi giorni, si trasforma in scrittura dell’esistenza, dell’esistere. È un consapevole lavoro sul quotidiano, muto, insensato ma che lui traduce in letteratura, in opera, in segno che viene così riscattato e redento.
Da alcuni anni la sua scrittura è accompagnata da disegni strani e puntuali. Insomma ogni giorno Handke scrive e con qualsiasi materiale a portata di mano: matita, biro di vari colori, penne e su ogni materiale, principalmente su piccoli taccuini che si possono mettere facilmente in tasca. Siamo in un’altra epoca geologica.
Matite con la punta sempre pronta al disegno e alla scrittura, quaderni, block notes, agendine, segnali di un’altra epoca, quando si aveva un’altra percezione del tempo, anzi si aveva la percezione del tempo. Scorrere le numerose annotazioni dell’ultimo diario è ripercorrere gli anditi e i meandri di una vita non ufficiale, appunto, nell’«ombra degli alberi». Nel diario non c’è quasi alcuna traccia di avvenimenti della quotidianità. Raramente Handke si contraddice, annotando un evento politico, come avvenne nel 1996, quando, contro corrente, scrisse in difesa della Serbia di Miloevic, divenendo il bersaglio della pubblicistica del politically correct. Ma sostanzialmente lo scrittore rimane coerente con sé stesso, isolato nel buen retiro di Chaville, dedito alla composizione del suo attento vademecum di tutti i giorni, dove costruisce un itinerario di vita fondato sulla meditazione, in attesa che il giorno scopra il suo senso. È lui, lo scrittore e scrutatore, che coglie e accoglie nei suoi taccuini in silenzio le interrogazioni del tempo.
Nel diario Handke soppesa, nella breve traccia scritta o disegnata, il messaggio di eventi apparentemente insignificanti, ma proprio la scrittura gli ha insegnato che nulla è senza significato, poiché il significato viene dalla lettura dell’accadimento. La meditazione trasforma il caso in vita, in segnale: scrivere e disegnare sono la spiegazione del percorso in cui non esiste più il banale, tutto si salva scrivendolo-disegnandolo.
Nella contemplazione dei flussi costanti della vita la scrittura crea un nuovo manierismo. I taccuini si svelano sorprendenti raccolte neobarocche di aforismi, intrecciati in una fitta rete di rimandi colti, in cui la cultura classica greco-romana (Handke non a caso ha frequentato il ginnasio in un seminario) si fonde con quella del classicismo tedesco. La cultura d’Occidente si conferma in quest’opera maestosa che può suggerire un altro modo di accostarsi alla scrittura in un momento in cui e non solo da noi- la letteratura è dominata da giallisti fortunati, che contribuiscono al livellamento intellettuale dei lettori. Il testo di Handke è una terapia sotto il segno della coscienza, è una proposta di risveglio dell’attenzione, del pensiero che pensa i giorni, come tentò Rilke con Il libro delle ore, sulla scia di quella civiltà che dava a ogni ora, a ogni giorno la sua preziosa singolarità, imperdibile se si mette in moto la lettura quale mandato di costruzione. Insomma la voce di Handke è sempre più isolata nella letteratura europea e per ciò sempre più attuale. È uno scrittore per pochi, ma con un messaggio per tutti, ecco il senso di questi taccuini con i loro geroglifici.
Nell’ultimo disegno appare il rosone di Notre Dame con una data: 13 novembre 2015, quello degli attentati jihadisti Parigi. Anche questo è Handke.