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 2022  maggio 17 Martedì calendario

Consigli per curare il mercato drogato dell’arte

Tutto mi aspettavo, leggendo il nuovo libro che Pompeo Locatelli dedica al mondo dell’arte, ma non di trovarci Oronzo Canà. Eppure, il «metodo Canà», con il suo creativo calciomercato basato su fuoriclasse esistenti solo su fogli di carta, non è poi così distante dal mercato dell’arte di oggi, specie nel nostro Paese: «Un mercato pieno di ombre, piccolissimo, influenzabile, privo di regolamentazione. Un mercato antidemocratico, che ha bisogno di un cambiamento radicale e di trasparenza», dice Locatelli, economista di lungo corso, consulente in materia economico-finanziaria di importanti gruppi, già commissario governativo di Federconsorzi, appassionato di arte e di fotografia (ha ideato Alidem, specializzata nella produzione e vendita di opere fotografiche limited edition).
Abituata a leggere i suoi «Lapilli» nelle pagine di martedì dell’Economia del nostro Giornale, pensavo a questo suo nuovo L’arte di svegliare l’arte. Come la bellezza può riaprire gli occhi dopo il grande sonno (edito da Mursia, prefazione di Fedele Confalonieri) come al più corrosivo dei pamphlet sulla cultura italiana, eterna Bella Addormentata. E invece, «nato durante la pandemia da un urlo di dolore per l’aspetto economico del mercato dell’arte», è anche molto altro, impreziosito da quella «conoscenza orizzontale» che fa di Pompeo Locatelli, classe 1940, un interlocutore formidabile e mai banale. Lui stesso sostiene di essere ultimamente anche «più buono»: non ingannino però le citazioni di Papa Francesco nella quarta di copertina, la confessione di aver scoperto, durante il lockdown, il dono del silenzio, le delicate riflessioni sui suoi autori preferiti (David Hockney, Alberto Giacometti, Edward Hopper, Paul Gauguin, Vincent Van Gogh), l’elogio di una bellezza «che salverà il mondo» e nemmeno il regalo al lettore (un compendio di fotografie volutamente senza didascalia per «un elogio dell’arte non didascalica»), queste duecento pagine contengono un’analisi lucida a tratti spietata, di certo necessaria – sullo stato del mercato dell’arte e su tutto ciò che vi ruota attorno.
Partiamo dalla notizia di oggi: la vendita record della fotografia Le violon d’Ingres di Man Ray, battuta da Chris tie’s a New York per 12.4 milioni di dollari in dieci minuti: «Ma si rende conto? Questa cifra per un’opera che è una copia fotografica originale? Non è feticismo?», commenta Locatelli, uomo di legge e di numeri. A proposito: secondo il report Deloitte, il mercato dell’arte nel suo complesso vale 64.1 miliardi di dollari; l’Italia pesa meno dell’1% (in testa troviamo USA, Regno Unito e Cina). «Percentuale non credibile spiega Locatelli perché il nostro mercato vive una realtà parallela dove non sono resi pubblici i prezzi di acquisti e di vendite, dove chiunque può aprire una galleria senza alcun patentino o qualifica, dove si confonde valore delle opere e prezzo richiesto senza nemmeno l’onestà del mercato dei pomodori che, se fa una svendita o un rialzo, lo annuncia al pubblico».
Parliamo – continua Pompeo Locatelli – di un mercato così piccolo da essere facilmente influenzabile dagli operatori stessi, in assenza di una legge precisa che tuteli collezionisti e acquirenti («non dai falsari, che sono quattro gatti, ma dallo stesso sistema»). Il j’accuse più duro va alle gallerie, definite «le indiscusse protagoniste dell’opacità del sistema»: Locatelli ne sottolinea la spocchia di non esporre prezzi, didascalie né spiegazioni. «A parte felici eccezioni, mancano di personale qualificato, di investimento sugli autori, di ricerca: molte si configurano come terre di nessuno dove il prezzo delle opere è gonfiato ad arte». Ne sono sovente complici i cataloghi delle aste e l’editoria di settore che mescola in maniera opaca il commento critico al valore economico dell’opera, generando ambiguità.
Se, per citare una frase attribuita a Jeff Koons e da lui mai smentita, «un’opera d’arte è tale quando il suo prezzo è alto», la posta in gioco è chiara: che cosa è degno di essere chiamato arte? Che cosa vale la pena di immettere sul mercato? Il caos delle compravendite, per non parlare di quello sugli NFT con le cryptovalute, che conseguenze avrà a breve e lungo termine sul mercato reale? E, soprattutto: chi tutela il settore (collezionisti, appassionati e artisti inclusi)? Liberale e liberista convinto, Pompeo Locatelli ritiene che lo Stato non debba gestire, ma controllare e regolamentare. In Italia il sistema va rifondato alla radice: bisogna insegnare ai giovani studenti delle accademie come stare su piazza (dalle basi: registrare subito le proprie opere), le gallerie dovrebbero investire sui loro clienti, le fiere di settore attuare una selezione maggiore degli artisti e non pensare, come ormai quasi sempre accade, solo a coprire i metri quadrati di affitto degli stand, i collezionisti stessi avere la premura e l’umiltà di affidarsi a consulenti certificati (e qui Locatelli auspica un albo del settore).
Il precipizio verso cui stiamo andando, al netto delle bolle speculative che avvelenano il campo, specie del contemporaneo, è quello di un mercato retto da un oligopolio (monocorde, peraltro, nei gusti) in cui a perdere è l’arte, quella vera.