Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2022  maggio 17 Martedì calendario

Le salsicce stanno scomparendo in Germania

L’ambasciatore ucraino a Berlino è poco diplomatico, anzi quasi per nulla. Andrij Melnyk, 46 anni, provoca, minaccia e insulta per costringere una (secondo lui) timida Germania ad aiutare la sua patria. Ha accusato il presidente Frank-Walter Steinmeier e Angela Merkel di essere corresponsabili dei crimini commessi dai russi in Ucraina, per aver intrattenuto amichevoli rapporti per anni con Putin.
Steinmeier ha chiesto scusa per essersi sbagliato, Frau Merkel non risponde. Melnyk ha definito il cancelliere Scholz, restio a fornire armi pesanti a Kiev, «eine beleidigte Leberwurst», e ha messo in difficoltà me e anche i tedeschi, sorpresi dall’insulto. Letteralmente significherebbe una salsiccia di fegato offesa, da tradurre meglio con mollaccione suscettibile.
L’ambasciatore cita una fiaba dei fratelli Grimm, ignota non solo a me, che racconta la disputa tra una Blutwurst e una Leberwurst, un sanguinaccio e una salsiccia alla Scholz. E il primo è più forte e agguerrito. Non è un problema solo culturale e politico, ma anche culinario.
A Berlino oggi è difficile trovare würstel al fegato, a meno di non andare in una delle poche superstiti osterie storiche. Anni fa, un mio caro amico scomparso mi invitava a seguire le partite dell’Herta, e lui era informato sul mio Palermo, eravamo gemellati nella sorte calcistica avversa. E mi offriva würstel al fegato e sanguinaccio, che andava a comprare per me da un macellaio che li faceva ancora a mano. Non ebbi mai il coraggio di confessargli che mi disgustavano. Ritengo che mentire per amore e amicizia sia un dovere.
Come inviato speciale ho superato altre prove. Ho bevuto tè preparato in un secchio arrugginito da contadini libici nell’oasi di Gadames, al confine con il Sahara. E spezzatino di cammello di latte a casa di un venditore di tappeti a Marrakech. Avere uno stomaco forte fa parte del talento professionale di un inviato speciale.
L’antica cucina tedesca sta scomparendo, e a me piace, anche i würstel di maiale, non è pari alla nostra o alla francese ma non è male. Quando lo scrissi in un libro, la casa editrice ricevette una cinquantina di lettere di insulti, ero un nazista perverso. Forse influenzato dai ricordi letterari, Melville e Moby Dick, mi piace perfino il Labskaus, il piatto dei balenieri, purè di patate e carne secca, un’aringa cruda e un uovo in padella. Quando tornai a Lubecca per gustarlo, lo storico ristorante dei marinai era già stato contagiato dalla nouvelle cuisine.
La cucina migliore, come sempre, è quella regionale: i Maultaschen del Baden, grandi ravioli alla griglia, o l’Eisbein, il cosciotto di maiale, al forno o bollito, specialità bavarese. Le Wienerschnitzel sono ovviamente austriache, e i tedeschi di solito le copiano male.
Gli insulti internazionali sfruttano i gusti popolari, come fa anche l’ambasciatore ucraino. I francesi sono mangia rane per gli inglesi, i tedeschi mangia crauti, noi siamo spaghettifresser, divoratori di spaghetti. Giorni fa, la Süddeutsche Zeitung per criticare l’influenza di Rtl sul settimanaleStern, diventato di sua proprietà, ha coniato il nuovo termine «Spaghettisierung», spaghettizzazione, sinonimo di stampa volgare e popolare. Non mi offendo, in realtà è un segno del loro complesso di inferiorità. Hanno imparato anche loro a cucinare gli spaghetti al dente, e i ristoranti italiani veri e falsi a Berlino sono un migliaio.
Per caso ho scoperto la Groschenkeller, l’osteria del centesimo, che risale alla Repubblica di Weimar, che offre i buoni piatti del tempo antico. Nel menù, le varie specialità sono accompagnate da frasi di artisti, letterati, filosofi e politici. «Vivo di buone zuppe e non di bei discorsi», di Molière, o «Si deve offrire qualcosa di buono al corpo affinché l’anima ci abiti volentieri», di Winston Churchill, «Meglio gustare e poi rimpiangere, invece che lamentarsi e non gustare» di Boccaccio. Da Christian Dior a Oscar Wilde, tutti stranieri, tranne Albert Einstein, anche se loda la cucina vegetariana, fuori posto alla Groschenkeller, che ritiene di dover difendere i suoi piatti economici ad alto tasso di colesterolo. Mangiare alla tedesca è una colpa?