Il Messaggero, 17 maggio 2022
Sostituzione etnica, l’idea che arma i folli
Nel discorso che ha tenuto ieri al parlamento ungherese, che lo ha rieletto come Primo ministro per la quinta volta nella sua carriera politica, Viktor Orbán ha fatto riecheggiare con toni oscuri la previsione di un«periodo di pericolo, insicurezza e guerra» per l’Europa. «La politica delle sanzioni ha causato una crisi energetica e il rialzo dei tassi di interesse da parte degli Stati Uniti ha generato un’era di inflazione. Tutto ciò porterà recessione economica e le minacciose epidemie potrebbero riapparire», ha spiegato. E poi ha insistito: «L’Occidente è in preda a una follia suicida». «Il prossimo decennio sarà un’era di pericoli, incertezza e guerra», ha detto il premier ungherese, denunciando la «follia del gender» e «il grande programma per la sostituzione della popolazione europea». Orbán ha così fatto riferimento apparentemente al piano Kalergi, una teoria cospirazionista secondo la quale c’è un piano per sostituire la popolazione in maggioranza bianca europea con immigrati.
IL COCKTAIL
Una teoria che, con le dovute differenze, è riecheggiata in questi giorni anche oltreoceano. Payton Gendron, il suprematista bianco di 18 anni autore della strage (in diretta online) di Buffalo era infatti ispirato dalla stessa teoria del cosiddetto great replacement, ossia del rischio di vedere la maggioranza bianca rimpiazzata dalle minoranze, anche a causa delle politiche migratorie dei democratici. L’indagine per «crimine d’odio» sulla strage, avvenuta sabato e nella quale sono rimaste uccise 10 persone, ha riacceso così le polemiche su un cocktail esplosivo in America: il razzismo dilagante, il mancato controllo sulle armi e sui social, ma anche la sponda politica di anchorman tv e repubblicani a teorie cospirative, prima fra tutte proprio quella del great replacement.
Ora, con il suo discorso, Orbán porta lo spettro di queste teorie anche nel vecchio continente. «Viktor Orbán è uno dei simboli del 1989. Era il giovane leader di un partito liberale e filoeuropeista, che ora vince le elezioni con i manifesti Fermiamo Bruxelles. Dopo l’impegno e il protagonismo nel 1989, era partito per Oxford con una borsa di studio della fondazione Open Society del finanziere ungherese George Soros. Il giovane e promettente borsista è diventato l’avversario del concetto di società aperta. Dieci anni dopo il 1989, aveva già rotto con l’eredità del dissenso liberale». Il politologo Jacques Rupnik, docente al Collegio d’Europa di Bruges e docente a Sciences Po a Parigi, nonché consigliere del primo presidente della Repubblica Ceca, Václav Havel, protagonista della Rivoluzione di velluto che pose fine al regime comunista cecoslovacco nel 1989, descrive così la parabola del primo ministro ungherese, eletto ieri per la quinta volta alla carica (la prima volta è accaduto nel 1998), che per la conquista del potere si è presentato come il difensore dell’Ungheria e dell’Unione Europea dalla presunta invasione di migranti sui quali ha costruito parte consistente della propria narrazione politica. Nel suo discorso al parlamento nazionale, dopo il giuramento, Orbán ha fatto riecheggiare questi toni e contenuti che proiettano nel fenomeno globale dell’emigrazione, che è legata a molteplici fattori dalle guerre agli effetti del cambiamento climatico, una sorta di volontà di cambiamento culturale se non addirittura di sostituzione etnica dei Paesi di approdo. L’anello fondamentale nella reazione a catena che spazzò via i regimi comunisti in Europa dell’Est è stato l’apertura della cortina di ferro fra l’Ungheria e l’Austria in tre fasi dal marzo del 1989. Alla fine dell’estate 1989 i tedeschi dell’Est rientrarono da lì nel territorio della Germania Occidentale. Oggi in Ungheria, dove l’economia e la politica procedono strettamente intrecciate con Orbán al centro del sistema, è tornata a sventolare la bandiera degli Stati nazione e delle frontiere chiuse con il mirino politico e mediatico puntato con costanza sui migranti. Ágnes Heller, allieva di György Lukács ed esponente di spicco della cosiddetta scuola di Budapest, filosofa ungherese di origine ebraiche, classe 1929, sopravvissuta all’Olocausto, una delle intellettuali più influenti del Novecento, che fino alla morte nel luglio del 2019 ha continuato a esercitare la propria dissidenza ed essere una voce critica nel cuore dell’Europa, ha studiato a fondo le dinamiche del consenso elettorale di Orbán. Heller ha sostenuto come la propria politica sui migranti abbia risvegliato o ricreato nel Paese, senza una salda tradizione democratica, un nazionalismo etnico, retaggio della storia, con derive semiautoritarie.
LE APERTURE
«Ho pensato che non si potesse tornare indietro sulla via delle aperture democratiche in Europa. Mi sono sbagliato spiega Tom Nichols, professore della Harvard Extension School e dello U.S. Naval War College . Nell’Europa centrale e orientale c’è anche un rifiuto di ciò che è stato percepito come un’imposizione della cultura liberale europea in conclamata crisi d’identità». L’analisi di Nichols, di estrazione conservatrice, specializzato anche nella storia della Guerra Fredda che insegna all’università, allarga la prospettiva anche agli Stati Uniti, dove l’immigrazione e il cosiddetto progetto di sostituzione etnica sono utilizzati dalla propaganda dei gruppi di suprematisti bianchi che l’FBI e la National Security Agency hanno dichiarato come la principale minaccia terroristica all’America. Il nazionalismo bianco è divenuto un pericolo incombente nel Paese con manifestazioni violente. A ventitré anni di distanza dall’eccidio commesso nella Columbine High School, la crescita delle stragi di massa negli Stati Uniti è stata esponenziale. Il 20 aprile del 1999, due teenager, poi suicidatisi, uccisero dodici studenti e un insegnante della Columbine, ferendo altre 24 persone. Si trattava del quinto attentato più sanguinoso negli Stati Uniti dalla Seconda Guerra Mondiale. Sabato a Buffalo, nello Stato di New York, il giovane suprematista bianco, antisemita, fascista Payton S. Gendron, che nel 2021 aveva minacciato di compiere una sparatoria nel proprio liceo, nel parcheggio del supermercato Tops ha ucciso dieci persone, ferendone altre tre. L’obiettivo del suo atto criminale razzista premeditato erano gli afroamericani. Sulle tredici persone colpite, undici erano nere. Nelle prime ricostruzioni dell’attacco di stampo terroristico si presume che l’assassino sia un seguace della cosiddetta teoria complottista della sostituzione etnica dei bianchi, che unisce il fanatismo violento della estrema destra.
L’ATTACCO
Nel documento manifesto le farneticazioni di Gendron erano imbevute e si richiamavano alla versione classica della White Replacement Theory che teorizza la volontà da parte delle élite globali di rimpiazzare la popolazione bianca. Gli immigrati non bianchi sarebbero usati per eseguire questa operazione. Gendron ha evocato un altro attacco sanguinario che è stato presentato in nome di ciò. Il riferimento è a Brenton Tarrant, condannato all’ergastolo in Nuova Zelanda per il massacro compiuto in due moschee di Christchurch, dove uccise 51 persone durante la preghiera del venerdì, filmando anche lui l’azione armata. Tra gli esempi menzionati da Gendron c’è anche un italiano, Luca Traini, che aveva sparato a sei migranti per le strade di Macerata ed è stato condannato in Cassazione.