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 2022  maggio 17 Martedì calendario

Intervista ad Andrii Ponomar

MONTESILVANO «La bici è la mia fuga. Mi distraggo e non penso più alla guerra, a mio padre che combatte in Donbass, alle bombe che sono cadute sulla mia città, Cernihiv, finalmente libera dai russi». Andrii Ponomar, 19 anni, talentino della Drone Hopper, ennesima scoperta di Gianni Savio («Di buono ha il motore: va forte a cronometro, recupera bene, tiene in salita. Farà parlare di sé» promette il patron), è il bambino del Giro. Il più giovane del gruppo pedala veloce per lasciarsi alle spalle i racconti che arrivano dalla sua terra e per costruirsi un futuro da passista da grandi giri («Il mio sogno è puntare alla classifica generale») e classiche («Due su tutte: Lombardia e Roubaix»).
Ponomar, come sta la sua famiglia?
«Mia mamma Olena, 44 anni, e la mia sorellina Oleksandra, 7, mi hanno raggiunto a Nove, vicino a Vicenza, dove vivo. Ora va meglio, grazie».
Come sono arrivate?
«Con un lungo viaggio, dopo essere rimaste chiuse tre settimane in un bunker sotterraneo. Ci sono voluti cinque giorni, su un furgone con tre famiglie a bordo, solo per arrivare al confine con la Polonia. Hanno viaggiato su strade secondarie, attraverso il bosco, e per cinque volte sono tornate indietro quando hanno visto il check point russo. Leopoli-Polonia-Romania-Slovacchia. Poi, finalmente, le ho riabbracciate».
Erano spaventate?
«Terrorizzate e stanche. La guerra le aveva mandate via di testa: non ridevano più, erano morte dentro, come zombie. Non volevano uscire: per giorni sono rimaste chiuse in casa a fissare il muro. Ogni ambulanza ricordava loro le sirene dei bombardamenti: hanno visto i missili, vissuto cose orribili».
Ora va meglio?
«Dopo due mesi, piano piano, stanno provando a fare una vita normale. Oleksandra si è inserita a scuola, impara velocemente: capisce già più parole di italiano di me! Una signora viene a dare lezioni, l’accoglienza del Veneto è stata grandiosa. Mamma la accompagna alle 8, io la vado a prendere alle 16, dopo l’allenamento in bici».
E suo padre?
«Mio papà Vikacheslav, che ha 43 anni, è militare sul campo: combatte al fronte del Donbass, l’accordo era che dopo un anno tornasse a casa ma allo scadere la Russia ha invaso l’Ucraina e lui è rimasto là».
Vi sentite? Riesce a seguirla qui al Giro d’Italia?
«È orgoglioso di me e della mia carriera, che è appena cominciata. Quando c’è un po’ di linea ci sentiamo, sennò ci scriviamo».
Cosa le racconta?
«Che è sempre nervoso, che l’adrenalina della guerra lo tiene sveglio. Mi spiega che se scatta un attacco russo bisogna rispondere. Dice che il suo dovere è buttare i russi fuori dall’Ucraina. Anche se è abituato a quella vita, perché la guerra in Donbass va avanti da anni, lo sento stanco».
E lei, Andrii, cosa gli racconta del suo secondo Giro?
«Lo distraggo con gli itinerari e le storie delle mie tappe però mi rendo conto che non mi dice tutto: non vuole che mi preoccupi troppo».
Perché a 11 anni ha scelto la bicicletta?
«Non so perché, ma il calcio non mi è mai piaciuto. Nemmeno lo guardo. A scuola, un giorno, arrivò un talent scout: chi vuole provare a fare un giro in bici intorno all’isolato? Io, ho risposto. Del ciclismo amo l’emozione della velocità, il testa a testa con l’avversario. La mia famiglia non mi ha mai ostacolato».
La prima gara?
«A 13 anni, una cronometro su 8 chilometri. Ho subito vinto, e con un bel distacco sugli altri! Ma ho iniziato in mountain bike, all’epoca nemmeno sapevo esistessero le biciclette da strada!».
E quando l’ha scoperto?
«Quando mi hanno regalato una bici di alluminio, con il manubrio ricurvo come quello di Pantani. Alla prima vittoria mi hanno dato una medaglia, alla seconda dei guantini nuovi, alla terza gli occhiali. Ho iniziato correndo con i pantaloncini normali e il casco indossato al contrario!».
Di strada ne ha fatta.
«Nell’agosto del 2019, per venire a correre in Italia il Giro di Lunigiana e il Trofeo Buffoni feci 20 ore di bus dall’Ucraina, tre giorni di gare e 20 ore di bus per tornare indietro. Quell’anno ho vinto gli Europei juniores su strada».
Cos’è la bici per lei?
«Oggi dico grazie alla stanchezza, che non mi fa pensare alla guerra. Un litro di gasolio costava 80 centesimi, ora 2,5 euro e devi fare 3 km di coda. Dell’Ucraina mi manca tutto. Il Paese si potrà ricostruire, ma chi restituirà il sorriso alla mia gente?».