Corriere della Sera, 17 maggio 2022
Intervista all’ad di Ferrovie Luigi Ferraris
Un piano da 190 miliardi. «La sfida? Modernizzare il Paese – dice Luigi Ferraris, amministratore delegato di Ferrovie —. Servono certezze sull’esecuzione delle opere e che le regole siano trasparenti».
Non ci sono molte aziende nel mondo che si apprestano a varare un piano da oltre 190 miliardi di euro di investimenti entro i prossimi 10 anni. Una di queste aziende è italiana. E attorno a quel piano, che rappresenta tutt’altro che la prosecuzione di quanto fatto sinora, si gioca anche molto della partita nazionale in termini di modernizzazione del Paese e accrescimento della sua capacità competitiva. Ma anche di sostenibilità dal punto di vista economico, ambientale e sociale. Non sarà una passeggiata. Quello che Luigi Ferraris e il suo team alle Ferrovie dello Stato hanno messo a punto è un piano che sposta il suo orizzonte, di norma calibrato sui 3-5 anni, fino a 10 anni. Con un contesto macroeconomico in forte movimento per le vicende legate all’Ucraina ma anche con un imperativo per il Paese: poter contare su una infrastruttura di mobilità che sia snodo essenziale per lo sviluppo. E con la necessità di un deciso cambio di passo. Testimoniato dal fatto che proprio le Fs saranno l’azienda che dovrà trasformare la porzione più ampia delle risorse del Pnrr in realizzazioni concrete. Non è un caso che nel piano gli impatti previsti sul prodotto interno lordo del Paese siano indicati nella misura del 2-3% all’anno (tra i 30 e i 45 miliardi ogni 12 mesi). Con riflessi sull’occupazione dell’indotto che possono variare tra i 220 mila e i 270 mila posti di lavoro, a fronte di un aumento di un 30% di trasporto ferroviario passeggeri e di quasi un raddoppio rispetto al 2019 se parliamo di trasporto merci.
Un piano a 10 anni, da che cosa nasce una decisione così forte?
«Innanzitutto dalla necessità di una pianificazione che guardi alla realizzazione e al completamento delle infrastrutture» spiega Ferraris, da maggio dello scorso anno indicato dal governo Draghi alla guida del gruppo FS. Manager estremamente riservato, si devono a lui alcune grandi operazioni industriali e finanziarie come la quotazione di Enel Green Power e Poste italiane. Ma anche il lancio e consolidamento di Terna come una delle migliori società di rete elettrica al mondo. Lombardo di nascita ma ligure di adozione, proprio ieri ha dato il via a una grande sfida con un piano industriale da quasi 200 miliardi.
Ciclo completo delle opere, che intende?
«Quando si parla di infrastrutture non dovremmo più considerare i singoli lotti nei quali si divide una linea ferroviaria o una strada, quanto quello che i tecnici chiamano l’opera a “vita intera”».
Cosa cambia nel considerare un’infrastruttura a vita intera?
«Significa finanziare e pianificare la realizzazione completa, dando certezze sulla sua esecuzione e sui tempi e creando così le condizioni per realizzare investimenti sull’indotto turistico o imprenditoriale. Traguardare le necessità future anche sul fronte delle professionalità occorrenti. Consentire agli appaltatori di attuare politiche di protezione dei costi, con un approvvigionamento preventivo di materiali per ridurre rischi prevedibili o meno, come quelli generati dalla crisi ucraina e dalla pandemia».
In effetti, spesso nei piani ci sono i bei progetti, ma il punto vero è realizzarli.
«Esatto, ed è il nostro obiettivo. Per centrare il quale servono anche regole certe e trasparenti».
Ma cosa dovrebbe cambiare ? Comunque a pagare è lo Stato...
«Nella situazione attuale è così. Si dovrebbe invece arrivare a contratti di programma regolati da un meccanismo trasparente di copertura delle nuove opere e della manutenzione straordinaria. Adottando un modello di remunerazione del capitale investito che preveda il finanziamento a cura dell’impresa, tenendo conto anche degli ammortamenti per l’intero arco temporale di realizzazione e manutenzione».
Torniamo al piano, ambizioso e con tanti obiettivi. I primi quattro?
«Realizzare tutti gli investimenti programmati. Rendere attraente il trasporto collettivo rispetto a quello individuale. Raddoppiare la quota di trasporto merci su rotaia. Arrivare a coprire almeno il 40% del nostro fabbisogno energetico da soli, in autoproduzione, da fonti rinnovabili».
E per raggiungerli avete riorganizzato l’intera galassia delle vostre società?
«Sì, occorreva una solida governance e un approccio di sistema. Stiamo quindi aggregando tutte le società in soli quattro poli: infrastrutture, passeggeri, logistica e urbano, e attivando un coordinamento centrale di tutte le attività internazionali. Ogni polo ha una propria missione, ma il progetto è unico: rendere la mobilità merci e quella collettiva passeggeri più efficace, semplice e sostenibile, rivitalizzando le città e i territori e sostenendo attività produttive e turismo».
Torno a ripetere, facile da dire...
«Ma possibile anche da fare. Puntando a due fondamentali fattori abilitanti, le persone, da valorizzare e motivare, e l’innovazione digitale».
Cosa c’entra il digitale?
«La tecnologia digitale consente, con piattaforme ad hoc, e noi ne realizzeremo cinque, di rendere rapidi ed efficaci processi aziendali complessi, dalla logistica al monitoraggio delle infrastrutture fino a creare le condizioni per una mobilità passeggeri smart e integrata, per rendere la vita facile a chi viaggia, con un biglietto unico, orari sincronizzati, informazioni in tempo reale. Più un altro progetto di estensione della fibra su tutti i nostri 17 mila chilometri di rete ferroviaria fino alle 2.200 stazioni. Cosa che permetterà di aumentare la connettività anche in aree poco servite».
Ma questo sembra il libro dei sogni.
«Non lo è affatto. In Svizzera una piattaforma del genere esiste e mette insieme ben 300 diversi soggetti. Si debbono siglare accordi in tal senso con altri partner, come abbiamo fatto con Aeroporti di Roma. E realizzare sinergie di sistema che la nuova organizzazione faciliterà, producendo modelli virtuosi di concreta integrazione di infrastrutture e servizi per far crescere la quota di trasporto pubblico».
Fare sistema, anche tra RFI e Anas.
«Certo, integrare i nostri 17 mila chilometri di linee ferroviarie con i nostri 32 mila chilometri di strade di Anas. Mettere a sistema i lavori sulle infrastrutture e sugli oltre 40 mila ponti e viadotti significa fare economie di scala, ottimizzare le scelte strategiche sul territorio, progettare in maniera integrata, coordinare gli interventi manutentivi per minimizzare i disagi a chi viaggia».
E poi il mantra, la parola chiave dell’integrazione.
«Sì, perché su tante rotte noi ridurremo i tempi di viaggi, andremo ad esempio da Napoli a Bari in due ore, ma se poi non trovo la coincidenza con un servizio locale, o non ho parcheggi di scambio dove lasciare l’auto, rischio di vanificare quel risultato».
Quindi lavorate anche sui parcheggi?
«Nella missione del Polo urbano, oltre a rigenerare asset immobiliari e fondiari non più strumentali al servizio ferroviario, c’è anche quello. Già oggi abbiamo 84 parcheggi, vogliamo arrivare a 250 con migliaia di colonnine per auto elettriche e spazi per lo sharing. E poi realizzare e gestire infrastrutture per una mobilità urbana sostenibile, e fornire soluzioni di logistica di primo e ultimo miglio nelle stesse aree urbane».
Logistica e merci, altro tasto dolente. Oggi vince sempre il trasporto su gomma.
«Il primo e ultimo miglio competono alla gomma, dopo i 400 km il treno diventa competitivo ma occorrono porti, retroporti e terminal per integrare efficacemente strade e binari. Per farlo dobbiamo diventare un operatore di sistema, anche attraverso partnership mirate. È poi vero che oggi l’autotrasporto gode di forti agevolazioni, servirà quindi anche maggiore attenzione a livello regolatorio per evitare l’invasione di Tir. Ma si può fare. In Europa lo fanno».
Cominciamo dall’Italia...
«No, l’approccio deve essere europeo. Perché l’Europa è ormai il nostro mercato domestico. Siamo in Germania, Olanda, Francia, Grecia, Gran Bretagna e presto in Spagna. Perché l’Italia è una piattaforma logistica europea nel Mediterraneo, a servizio dell’Europa. Perché un porto come quello di Genova, completato il Terzo Valico, vincerà la concorrenza di Rotterdam facendo risparmiare 4-5 giorni di navigazione».
Poi c’è questa novità della produzione di energia...
«Sì, sfruttando nostre aree, e anche i tetti delle officine, e con un presidio unico di Gruppo su consumo, approvvigionamento e produzione di energia, potremo sostenere fino al 40% del nostro fabbisogno e contribuire alla transizione ecologica del Paese».
Tutto bello, e chi lo realizza?
«Le nostre persone. Le colleghe e i colleghi che, com’è successo finora, saranno capaci di raccogliere queste nuove sfide e vincerle, a servizio del Paese».