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 2022  maggio 17 Martedì calendario

Libano, Hezbollah perde voti

Chi conosce Beirut sa che le strade vuote e le serrande dei negozi abbassati non sono mai un buon segno. Ieri la capitale libanese si è svegliata proprio così: tesa e semi- deserta, in attesa di un verdetto che potrebbe essere l’inizio di un tanto atteso quanto necessario cambiamento o il ritorno indietro nel caos. Quale strada si prenderà non è ancora chiaro: perché dalle urne di domenica, con i risultati non ancora del tutto definitivi, escono poche certezze e molti interrogativi.
La certezza numero uno è la sconfitta dell’alleanza politica guidata da Hezbollah: il partito sciita ha conservato quasi tutti i suoi seggi, ma i suoi alleati principali, i cristiani guidati dal presidente Michel Aoun, hanno perso, e perso molto. Così come Amal del presidente del Parlamento Nabil Berri: inamovibile per 30 anni, forse non sarà rieletto. Tutto ciò mette in bilico la maggioranza: il blocco aveva 71 dei 128 seggi, non è chiaro se arriverà a 65. Senza contare le sconfitte simboliche: quella del vicepresidente del Parlamento, Elie Ferzli, nella Valle della Bekaa. Quella dello storico alleato druso Taslan Arslan nello Chouf. E, la più pesante, il seggio perso – ed è la prima volta – nel Sud, la roccaforte sciita, dove gli elettori hanno premiato il medico Elias Jarabè, 55 anni.
Seconda certezza: la vittoria delle Forze libanesi di Samir Geagea, uno dei signori della guerra civile che fra il 1975 e il 1990 ha spaccato il Paese. Geagea, che rappresenta l’ala più di destra della comunità, diventa il leader dei cristiani libanesi grazie al fondamentale appoggio dell’Arabia Saudita che ha finanziato la sua campagna.
Terza certezza: una polarizzazione ancora più forte di quella attuale, con Teheran e Riad ancora più opposte che in passato, a causa dell’assenza dei sunniti di Saad Hariri, che spesso ha fatto da mediatore fra le fazioni opposte finendo per inimicarsi l’appoggio saudita. Il risultato potrebbe essere un ritardo di mesi nella formazione del governo, nella scelta del futuro presidente della Repubblica (il mandato di Aoun scade in autunno) e soprattutto nel varo delle riforme che servono per rilanciare un Paese al collasso. Non è un caso che nel giro di poche ore il cambio lira/dollaro sia passato da 27mila a 30mila: è un chiaro segno di sfiducia.
In mezzo ai poli opposti, una presenza nuova: sono almeno dieci – ma potrebbero essere anche di più a spoglio concluso – gli indipendenti eletti. Nello scorso Parlamento ce ne era una sola: un segnale chiarissimo alla classe politica che dominaquesto Paese da trenta anni. Che non si capisce però in cosa sfocerà: «Per ora, celebriamo questo nuovo elemento, che mai sarebbe stato possibile senza la rivoluzione di piazza del 2019 – dice Nadim Houry della Arab reform initiative –: in Parlamento arrivano facce del tutto nuove, che hanno attraversato i confini settari in nome di un Libano diverso. Dove questo porterà, lo vedremo». Il Libano aspetta, ma di temponon ne ha più molto.