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 2022  maggio 17 Martedì calendario

M5S, a casa otto parlamentari su dieci

Nei gruppi parlamentari del M5S se ne discute ormai da mesi, serve un alto grado di confidenza tra colleghi deputati e senatori per affrontare il discorso che a taluni toglie il sonno, ma la consapevolezza è diffusa: anche nelle migliore delle ipotesi gran parte degli eletti del 2018 dovrà drammaticamente tornarsene a casa. Con percentuali variabili, certo, ma il rischio concreto è che su dieci di loro nella prossima legislatura ne rientreranno due. Non è solo politica, ma matematica. Tutto ciò significa una cosa: che i disposti a seguire Giuseppe Conte in un ipotetico salto nel buio, cioè l’uscita dal governo e le probabili conseguenti elezioni anticipate, si contano sulle dita di una mano. Sono solo quelli che, più o meno, sono convinti di rientrare anche al prossimo giro.
Nel 2018 il M5S portò in Parlamento 226 deputati e 112 senatori: quel 32 per cento fu un exploit che andò oltre le aspettative, al sud il Movimento in solitaria vinse quasi tutti i collegi uninominali contro centrodestra e centrosinistra. All’epoca i 5 Stelle, che pure nel 2013 presero il 25 per cento, raddoppiarono gli eletti. Oggi le cose sono molto cambiate. Intanto grazie alla riforma fortemente voluta propriodal M5S, i 945 seggi scenderanno a 600. E poi c’è la crisi del consenso, ormai inesorabile, che mese dopo mese sta rosicchiando punti percentuali: la media rilevata dagli istituti di sondaggio è del 13 per cento. Né la guida di Conte ormai inaugurata ufficialmente da circa nove mesi né l’appoggio critico al governo – anche su un tema molto sentito come la guerra, con il Movimento in versione pacifista, maggioritaria nel Paese – stanno frenando l’emorragia. Come mai? Secondo Giovanni Diamanti, analista di You-Trend, «il gradimento tuttora alto di Conte non è però al leader di partito ma all’ex presidente del Consiglio che si era costruito un’immagine di prestigio e terzietà rafforzata in un momento di grande crisi, cioè l’emergenza Covid, quando gli italiani non cercavano dei capi di partito ma delle personalità autorevoli». Comunque sia, dei 338 che staccarono il biglietto per il Palazzo, con queste percentuali il numero si ridurrà a 60-70 persone. E va bene che gli addii sono stati parecchi e oggi il M5S conta “solo” 228 parlamentari, ma il taglio rimane notevole. Alla sforbiciata matematica ne andrà aggiunta un’altra dovuta alle scelte di Conte, il quale ovviamente mirerà a comporre un futuro nuovo gruppo parlamentare con uomini e donne a lui più vicini, personalità pescate al di fuori della politica. «Anche se oggi i parlamentari sono in maggioranza con lui – confida un senatore – Conte sa bene che si tratta di gente che prima era con Luigi Di Maio, o con Roberto Fico, o con Beppe Grillo. Davvero suoi non ce ne sono».
Il presidente del M5S affronterà il dossier liste partendo dal tema dei temi, subito dopo le ammini-strative, ovvero il limite ai due mandati, che sarà rimosso ma solo attraverso delle deroghe. Già, ma quali? Con che criteri un eletto arrivato in teoria a fine corsa secondo le regole del M5S avrà un bonus? Qui si entra nel campo dell’imponderabile, l’unica certezza che gli unici ad essersi detti sicuri di non voler fare il tris sono due: Danilo Toninelli e Vito Petrocelli. Gli altri invece sperano, bramano, tramano. Certezze ce ne sono poche se anche esponenti del Movimento con ruoli di governo sono tutt’altro che certi di ottenere la deroga. Ma per dire, il presidente della Camera Roberto Fico può davvero terminare la sua attività politica? E il ministro degli Esteri Luigi Di Maio? E la vicepresidente vicaria del partito e del Senato Paola Taverna? Davvero un fedelissimo di Conte ed ex capo del partito come Vito Crimi tornerà a fare l’assistente giudiziario alla Corte di Appello di Brescia? E gli altri ministri uscenti? E i sottosegretari? E i presidenti di commissione? E i capigruppo? Né basterà essere messi in lista: dove, in quale collegio? Tema che sarà oggetto di ulteriore trattativa con gli (eventuali) alleati del Pd per la quota maggioritaria del Rosatellum. Insomma, sarà un ginepraio nel quale mettere mano che si preannuncia complicatissimo e foriero di malumori. Comunque, tra deroghe e candidature più o meno annunciate (dai cinque vice di Conte a Rocco Casalino, da Virginia Raggi a Chiara Appendino) e altre in quota Conte (quotatissimo c’è il diplomatico Piero Benassi), di caselle libere e veramente contendibili per tutti gli altri ne resteranno poche o nulla. Nel frattempo da giorni si vocifera di uno slittamento di qualche settimana delle elezioni nel 2023, entro fine anno va rifatto il censimento della popolazione con possibili modifiche ai collegi elettorali: due mesi in più in Parlamento, vista l’aria che tira, buttali via.